SPIEGHIAMO AI RAGAZZI CHE NON ESISTONO VERITÀ ASSOLUTE E CHE NON SEMPRE LA STRADA PIÙ COMODA E’ LA PIU’ EFFICACE

 

 

Lettera aperta al preside del Liceo V. Capialbi di Vibo Valentia

moslerNel nostro istituto abbiamo un indirizzo economico-sociale. Il percorso valorizza il diritto e l’economia. La speranza è che attraverso questi studi possa nascere in Calabria una classe imprenditoriale sana, dove vengono occupati i bravi, abbandonando logiche clientelari in favore della meritocrazia”.Con giusto orgoglio il preside (sarà poco attuale, ma io, che odio burocrazia e burocratese, continuo a chiamarli presidi rinunciando a terminologie che sembrano pensate più a dare enfasi che sostanza!) del Liceo Capialbi, quello che un tempo era il Magistrale ed a Vibo Valentia ha rappresentato storicamente una eccellenza didattica, ha spiegato il lavoro che i suoi studenti hanno realizzato in occasione del Festival per l’Economia.Ed è uno degli aspetti più interessanti e di maggiore valore di questo Festival che, pensato da un brillante Alessandro De Salvo e coniugato con le riconosciute capacità organizzative di Gilberto Floriani (e dello splendido team di giovani che lavora con entusiasmo e professionalità), contribuisce a fare di Vibo Valentia un punto di riferimento per chi vuole fare cultura e crede che sia la cultura, e la conoscenza, l’unica strada che porta allo sviluppo sociale ed economico. Perché il rapporto con i giovani è quello che deve essere maggiormente curato, perché è con le scuole che bisogna dialogare (bello ed interessante è stato anche l’incontro tenutosi, sempre in questa occasione, al Liceo Classico Morelli, con il giovane imprenditore di successo Angelo Bruscino), perché è agli studenti che bisogna dare nuovi orizzonti, nuove prospettive, nuove opportunità di conoscenza, di crescita, di vedute. Perché è in loro che dobbiamo credere, è in loro che abbiamo il dovere di dare fiducia aiutandoli ad esprimere le loro idee, a realizzare i loro sogni. Responsabilizzandoli. Ed in questa prospettiva è da salutare con grande apprezzamento la bellissima idea non solo di far realizzare a loro una “edizione straordinaria di tg”, quanto soprattutto di aver fatto indossare loro i panni di premier e di membro del governo, per far vivere l’esperienza di affrontare i grandi temi, economici in questo caso, e pensare a come risolverli

Ed è qui che mi rivolgo al mio vecchio amico d’infanzia Antonello Scalamandré, il preside. L’esercizio fatto fare agli studenti dell’indirizzo economico-sociale è stato sicuramente il migliore: aver MAURIZIO BONANNO 22 gennaio 2016fatto rivestire proprio a loro i panni di Presidente del Consiglio e di ministri è stata la strada migliore, soprattutto perché hanno affrontato il compito con spirito critico, scegliendo di cambiare la linea dell’esecutivo in ambito economico.E la linea scelta è rispettabile, un interessante esperimento, basata sul principio che: “Espandere i limiti del deficit consentirebbe di uscire dalla situazione in cui ci troviamo oggi”. Bello, facile, comodo, ma…È la sola strada percorribile? È la soluzione di tutti i problemi? È il classico “uovo di Colombo”? E, se fosse così semplice, perché finora si è evitato di seguire questa strada? Perché ai ragazzi abbiamo il dovere di dire tutte le verità, di dire che esistono opzioni diverse, punti di vista diversi, idee diverse: poi spetterà a loro, al loro spirito critico decidere quale strada percorrere, qual è la migliore, tenendo presente che “non esistono verità assolute e che non sempre la strada più comoda è la più efficace”.Certo, capisco che questa impostazione per il lavoro dei ragazzi dei Capialbi è stata “influenzata” dal “gruppo De Salvo”, ovvero i seguaci di Warren Mosler e del gruppo MMT, che è poi chi ha voluto, pensato ed organizzato questo splendido Festival per l’Economia. Ma c’è altro.Il problema dal loro punto di vista si risolve variando l’inflazione. Secondo i “mosleriani”, per combattere la disoccupazione è sufficiente che lo Stato si faccia carico dei disoccupati dando loro un lavoro a salario minimo garantito. Il ragionamento di Warren Mosler, presente al Festival è, a suo modo, lineare: “Troppo rischioso per le aziende assumere disoccupati. Se una persona lavora – secondo la visione dell’economista –  è possibile valutare se affidabile o meno e quindi se assumerlo o meno. La riserva di disoccupati non funziona quando l’economia va bene. Perciò se l’economia va meglio, la disoccupazione non diminuisce”.

La nostra proposta – ha spiegato Mosler – prevede che la Bce finanzi un piano di lavoro (di transazione), al fine di aiutare la transazione tra disoccupazione e occupazione nel settore privato, mantenendo piena occupazione e stabilità dei prezzi”.

Insomma, nuovi strumenti di politica monetaria, secondo gli economisti MMT, potrebbero essere adottati dalla Banca centrale europea, per riportare l’inflazione al 2% l’anno. Tutto così semplice? Così ovvio, al punto da avere affascinato i giovani studenti del Capialbi, che ne hanno sposato idee e principi?

E no! Non è proprio così.

Ed il gruppo di studiosi che a Vibo Valentia si sono radunati nel Centro Studi socio-economici “Caprilli” (ideologicamente antagonisti al gruppo MMT) ha idee diverse, che è bene che si conoscano, soprattutto è importante che gli studenti sappiano, per poter poi scegliere con maggiore obiettività la strada da percorrere.

La formula del magnate americano – un uomo di successo, indubbiamente: fondatore dell’omonima casa automobilistica che produce solo bolidi per super ricconi, quindi gestore di edge fund (ovvero i rinomati fondi speculativi) – tramutatosi in guru dell’economia mondiale al punto da essere il predicatore della Teoria Economica Moderna, ovvero un mix ubriacante di postkeynesismo (giusto per ricordare la necessità dell’intervento pubblico statale nell’economia con misure di politica di bilancio e monetaria) con una spruzzatina di cartalismo (per cui, una nazione dotata di sovranità monetaria, non può mai essere costretta a fallire, in quanto la sua “capacità di pagamento” è illimitata parimenti a come è illimitata la sua capacità di stampare moneta), è di una semplicità disarmante: non ci sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibili da parte di una nazione, poiché essa ha un potere illimitato di finanziare questi disavanzi stampando moneta.

Ecco spiegato perché, secondo i “mosleriani”, l’Unione Europea e quel “maledetto” Trattato di Maastricht sono il grande problema, a danno soprattutto dei territori deboli come il Sud dell’Italia.

Per Mosler non ci sono dubbi: i sistemi a moneta unica, come appunto l’euro, creano squilibri commerciali determinanti instabilità economica che alla fine sfocia in un sistema monetario impraticabile, che fa saltare la garanzia occupazionale, che è il metodo migliore di conseguire il pieno impiego e la stabilità dei prezzi. In altri termini, lo stato si fa carico di assicurare, tramite l’offerta di posti di lavoro solitamente a salario minimo nel settore pubblico ma anche in quello privato), una occupazione a tutti i cittadini. La garanzia occupazionale agirebbe in modo elastico e anticiclico, pertanto alla sua diminuzione si ridurrebbe il deficit rallentando la corsa di un’economia in piena accelerazione e alla sua espansione si aumenterebbe il deficit stimolando le economie depresse.

Ma Warren Mosler non si accontenta, va oltre e propone ampie riduzioni fiscali, se non proprio una completa sospensione delle tasse (tax holiday), in caso di alta disoccupazione e bassa crescita economica. E questo perché, applicando la teoria monetaria moderna, ridurre la pressione fiscale può favorire la ripresa sia dell’economia che dei consumi aumentando così produzione e occupazione.

E poi, quella soglia del 3% sul deficit/Pil imposta dal Trattato di Maastricht per loro è sbagliato: bisogna farla salire fino all’8%.

E le coperture? I conti, questi conti, chi li paga?

Perché noi, la nostra generazione, sta già pagando i conti di chi ha scialacquato negli anni yuppie. Ai miei figli banalmente ricordo: quando vi sedete al ristorante, ordinate pure tutto ciò che vi piace, ma ricordatevi di controllare quanto avete nel portafogli, perché poi, dopo aver gozzovigliato, arriva sempre l’oste che vi chiedete il conto… E bisogna pagarlo, il conto!

Mosler, intanto, ricorda che noi italiani (e i meridionali soprattutto) siamo sempre stati grandi risparmiatori ed è un delitto che questa contingenza, questo “euro cattivo”, non ci consenta quel benefico risparmio, ma… se io, che in un anno arrivo a guadagnare, ad esempio 30.000€ e saggiamente ho contenuto le spese totali per 25.000€, a fine anno ho accumulato risparmi per 5.000€, va tutto bene; se invece, a causa di un imprevisto, ho superato il limite arrivando a 45.000€, la scelta sarà di ridurre i risparmi per 15.000€ e di indebitarmi se non sono sufficienti. Un ragionamento che ogni famiglia sana fa ed ha sempre fatto e che non è diverso se ci si sposta alla gestione dello Stato.

In questo caso, accade che ogni anno ci sono diversi miliardi che entrano (sono soprattutto le tasse), e diversi miliardi che escono, ovvero le spese di vario tipo: stipendi ai dipendenti pubblici, investimenti (costruzione di opere pubbliche), pensioni e altri assegni previdenziali (sussidi di disoccupazione, ecc), acquisti di beni e servizi (per esempio farmaci per gli ospedali, e via elencando). Tra le spese che vengono considerate nelle uscite finali ci sono anche gli interessi che lo Stato paga sul debito.

Ora accade che in Italia abbiamo circa 2.000 miliardi di euro (2.000.000.000.000) di debito pubblico (circa 32.000€ per abitante), che si tramuta in interessi da pagare! (così come una famiglia paga gli interessi sul mutuo per comprare la casa o l’auto, anche lo Stato paga gli interessi sui suoi debiti). La differenza tra questi valori, è quello che viene chiamato “deficit”. Quindi, se lo stato incassa 1.000 miliardi e ne spende 1.005, il suo deficit è di 5 miliardi. Cioè ha speso 5 miliardi in più di quello che è entrato (delle tasse incassate).
Certo, i vari Mosler che accusano questo fantomatico rapporto del deficit al PIL trascurano il piccolo particolare che considerarlo in valore assoluto non avrebbe senso, perché un deficit di 5 miliardi è piccolo sul PIL italiano (che è oltre 1.800 miliardi di euro: solo uno 0,27%), ma enorme per il Lussemburgo, che ha un PIL di 55 miliardi di euro, e in tal caso 5 miliardi di deficit sono molto più rilevanti (un 9,1%) !
Ecco perché si è stabilito di fissare un tetto percentuale che, in base alle norme dell’Unione Europea (o, meglio, per il trattato di Maastricht, firmato anche dall’Italia), obbliga gli Stati a mantenere il rapporto deficit/PIL inferiore al 3%. Altrimenti, un deficit troppo elevato farebbe esplodere il debito pubblico. E se il deficit è troppo elevato, il debito pubblico in rapporto al PIL cresce sempre di più, e così crescono gli interessi, che a loro volta fanno aumentare le spese e crescere il deficit: è un circolo vizioso, che non può essere superato dalla Banca centrale (in questo caso la BCE) continuando a stampare moneta finché c’è carta.

Ora, ascoltando il miliardario Warren Mosler raccontare queste storie viene da chiedersi quanti abbiano mai letto la storia di Artur Alves dos Reis, l’uomo che escogitò il più audace piano di contraffazione che sia mai stato attuato nel corso della storia. Questa operazione (siamo nel 1925) portò in una prima fase a risultati eccezionali: Reis invase, letteralmente, il Portogallo con banconote fresche di conio, e l’economia portoghese entrò conseguentemente in una fase di espansione.

E cosa c’è di diverso in tutto questo – avrebbe concluso Reis sposando le teorie cartallistiche alla Mosler – rispetto a quello che fa un Governo vero e proprio? C’è davvero una qualche differenza tra keynesismo e contraffazione?

La storia ricorda che l’entusiasmo iniziale si tramutò, una volta scoperta la truffa, in una drammatica sfiducia nelle istituzioni che decretò la fine della democrazia ed aprì la strada in Portogallo alla quarantennale dittatura militare di Salazar.

Il problema è sempre lo stesso: quando qualcuno ti chiede il conto, è bene che tu sia in condizione di pagarlo. Reis è stato l’ultimo dei grandi truffatori: il suo piano aveva stile ed eleganza, ma il monito è che, anche se il “Piranha del Portogallo” è trapassato, ci sarà sempre un nuovo lupo, a Wall Street, che cercherà di trarre dei profitti illeciti a scapito degli altri. Ed ecco spiegata la “bolla” che ha portato all’attuale crisi globale.

Ed allora, siamo davvero sicuri che spetta allo Stato programmare secondo i principi dell’economia pianificata?

O, piuttosto, è bene liberare il mercato e favorire la crescita attraverso la libera concorrenza?

Perché, come ricorda Benjamin Friedman: “La crescita non comporta solo vantaggi materiali. Aumenta opportunità, tolleranza per la diversità, mobilità sociale, rende più facile perseguire l’equità, rafforza la democrazia”. Perché la libera concorrenza non ubbidisce solo a una logica utilitaristica: è anche un “ordine morale” che – paradossalmente, forse, ma ragionevolmente – induce gli uomini a cooperare fra loro. Perché esiste un “ordine spontaneo” che per Hayek è creato dalle economie di mercato, in quanto una economia di libero mercato è “un sistema economico in cui gli individui più che il governo prendono la maggior parte delle decisioni riguardanti le attività e le transazioni economiche“.

Dunque, non più un’economia panificata, ma un’economia che invita l’individuo al rischio della sfida lungo strade aperte, insidiose ma cariche del fascino dell’impresa.

Ed allora, spieghiamo ai giovani che c’è un’altra strada, più difficile, forse, che richiede un maggiore impegno personale, ma affascinante: mettiamoci in gioco, accettiamo la sfida del mercato, lasciamo che sia l’economia di mercato ad individuare il sistema per allocare i beni all’interno della società: chi ottiene cosa e cosa viene prodotto sia determinato non dallo stato, ma dal potere d’acquisto, lasciando che domanda ed offerta siano mediati all’interno del mercato.

Il tutto tenendo presente il valore dell’individuo, del cittadino che deve – perché può – essere protagonista dello sviluppo, della propria crescita; del cittadino quale protagonista della vita sociale e civile e non suddito: che sappia essere autonomo ed indipendente, in grado cioè di saper rispondere quando qualcuno chiede il conto, perché è in condizione di pagarlo. L’alternativa, altrimenti, è quella di rimanere eterni “bamboccioni”, pronti a scappare, intimoriti e piangenti, dallo stato-mamma che coprirà il suo debito stampando moneta.

Ma fino a quando sarà possibile?

Perché non può passare per l’Amazzonia la strada che porta alla soluzione dell’attuale crisi economica globale, soprattutto quella degli Stati dell’Unione Europea, e dell’Italia in particolare.

Perché per l’Amazzonia? Perché, applicando i “rivoluzionari principi” di queste teorie economiche di Warren Mosler, viene da pensare – ironicamente – che finché ci sarà carta a sufficienza per stampare moneta, ogni problema economico troverà soluzione. Ma, prima o poi, anche le foreste dell’Amazzonia non saranno più in grado di offrire carta a sufficienza!

E a quel punto…?

 

Maurizio Bonanno

Direttore Centro Studi socio-economici

“Caprilli”

 

 

 

 

 

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