Ringhio e il tramonto del sarrismo

di Antonio Latella

Le ultime bollicine del sarrismo sgonfiate dal ponentino di una notte romana. Alla fine del sarrismo, modulo di gioco morto e sepolto, ha contribuito in modo determinante tale Gennaro di Corigliano Calabro, attuale trainer del Napoli che mercoledì scorso ha conquistato l’annuale edizione della Coppa Italia

<<=== Gennaro Gattuso

Trofeo vinto con pieno merito contro una Vecchia Signora presuntuosa che, dopo otto scudetti consecutivi, ha perso quell’eleganza storica del club calcistico più amato dagli italiani.

Il sarrismo, in Italia, ha vinto “zero tituli”, ma per i tre anni trascorsi ai piedi del Vesuvio è stato esaltato sia dall’intera città di San Gennaro, sia dalla critica calcistica che, contro lo strapotere bianconero, ha sempre fatto il tifo per il tecnico campano – toscano.

 Il suo modulo di gioco si è guadagnato un posto finanche sull’Enciclopedia Treccani che considera il sarrismo la concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; anche, il modo diretto e poco diplomatico di parlare e di comportarsi che sarebbe tipico di Sarri”.

Nulla di personale nei confronti del Sig. Sarri il quale, anche a Torino, ha dimostrato, nonostante la polmonite che lo ha colpito ad inizio di stagione, di essere un gran lavoratore. Ma come tutte le mode calcistiche anche il sarrismo ha avuto un inizio ed oggi, ad un anno esatto dal suo trasferimento a Torino, la sua fine. Un’attenuante la concediamo: l’aver dovuto gestire un organico scelto da altri prima ancora del suo trasferimento nella città della Mole Antonelliana. Ma questo è un altro discorso che non abbiamo voglia di affrontare, anche se non escludiamo un certo appannamento del cosiddetto stile Juve.  

Quello stile che, per i figli del dopoguerra, era diventato una fede calcistica, una religione nei confronti di un club che nell’Italia del tempo rappresentava uno dei motivi della lotta di classe che vedeva nella Juve la squadra dei padroni. I figli di contadini, di commercianti, di operai, che tifavano per la squadra dell’Avvocato Gianni Agnelli, venivano etichettati come traditori, addirittura come borghesi.  Ma quella fede calcistica non era una scelta di campo, ma si basava sul fascino, sui successi di questo sodalizio sportivo. Le frequenti scazzottate, l’isolamento anche da parte degli amici  più cari, dal punto di vista sociologico, divenne un fenomeno da studiare.

E quando Maurizio Sarri, per il deterioramento del rapporto con il presidente De Laurentis, scelse la Premier League (dove con il Chelsea vinse la Coppa Uefa) la città di Napoli, improvvisamente raffreddò, fino a farli diventare glaciali, i sentimenti nei confronti di un condottiero che aveva fatto sognare il popolo dei tifosi azzurri. E non si esclude che anche San Gennaro ci rimase male.

Già, il Patrono di Napoli che don Bruno Sodaro di Serra San Bruno-  parroco e rettore del Santuario Mariano di Torre di Ruggero ( morto nel 2017 all’età di 96 anni)  in un passo del suo libro “Santi e beati della Calabria” (pubblicato negli anni Novanta dello scorso secolo) – ipotizzò avesse origini calabresi: nativo di un villaggio, oggi scomparso, alla periferia di Ioppolo (nel vibonese). Tesi che don Bruno confermò nel corso di una mia trasmissione televisiva, “Filo Diretto” (in onda più di un quarto di secolo fa su Telespazio Calabria) e che provocò le ire dei napoletani e le perplessità di numerosi storici.

Oggi, a distanza di tanto tempo, non siamo in grado di stabilire se la ricerca di mons. Sodaro abbia un fondamento, oppure se si sia trattato di una supposizione della tradizione religiosa orale.

La circostanza che sia stato un calabrese di nome Gennaro a dare il colpo di grazia al sarrismo, con tanto di rispetto per il Patrono di Napoli, esalta l’impresa di Ringhio Gattuso che, con la Coppa Italia, è entrato nella storia della Capitale culturale del Mezzogiorno.

Antonio Latella – giornalista e sociologo


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