Pensavo fosse un semplice virus invece era un calesse

«Qualsiasi ordine sociale è sempre molto fragile: noi diamo per scontata l’esistenza e la resistenza di una società, ma basta un invisibile virus per azzoppare la società e determinare una contrazione del sociale fino alla sua estinzione, anche se per fortuna solo temporanea».

SOCIOLOGAQuesto è quanto afferma Franco Ferrarotti, decano dei sociologi italiani. Mette in risalto questo improvviso blocco della nostra vita sociale, con tutte queste limitazioni forzate, facendoci riflettere in particolar modo sulla fragilità della nostra società e dunque, il messaggio è quella di farcela apprezzare, non dandola più per scontata ma considerandola una conquista umana da difendere e da salvare. Soffermiamoci sul concetto di “società”, dunque della realtà nella quale tutti noi siamo immersi e viviamo quotidianamente, la società è una presenza invisibile che ci accompagna nel corso di tutta la nostra vita. La maggior parte delle persone non ha ben chiaro tale concetto, proprio per questo motivo Peter Berger, un noto sociologo, ricorre a un aneddoto per spiegarcelo:

C’è una storiella che parla di un ubriaco e di un bidone dell’immondizia. Sembra che questo ubriaco fosse seduto sul marciapiede di fronte a un bidone di spazzatura e che tentasse con molto impegno e con il massimo sforzo di abbracciarlo. Alla fine, dopo un certo numero di tentativi falliti, l’ubriaco riuscì a circondare con entrambe le mani il bidone di immondizie: sorrise con un ghigno di trionfo, ma immediatamente gli si dipinse in viso un’espressione di sgomento ed egli mormorò tra sé e sé “Sono circondato!”

ll vero significato di tale aneddoto si nasconde proprio all’interno della società, la quale guida i nostri pensieri e le nostre azioni anche quando pensiamo di essere liberi.

I sociologi R. Collins e M. Makowsky, paragonano l’uomo a un pesce: il pesce vive nell’acqua, ma si accorge di averne bisogno solo quando lo tirano fuori, così l’uomo vive in una dimensione sociale ma ne prende consapevolezza solo quando “qualcosa va storto”, cioè quando la società in cui vive non funziona come dovrebbe o come ci si aspetterebbe. La gente di solito parla di paura, ma la paura ha sempre un oggetto determinato. E quindi è un ottimo meccanismo di difesa per riuscire a salvarsi da quel pericolo: quando attraversiamo la strada guardiamo a destra e sinistra perché abbiamo paura di essere presi sotto dalle automobili; quando vediamo un incendio scappiamo perché ne abbiamo paura. Qui invece si tratta di angoscia, che è un concetto differente perché non ha un oggetto determinato, non si sa da dove viene il pericolo e quindi si è sempre in uno stato di fibrillazione perenne. Come dice Heidegger, “non c’è nulla a cui agganciarsi” e allora si assumono atteggiamenti scomposti, pratiche e pensieri sbagliati

Viviamo in una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel “non-spazio” del virtuale, del social network, dandoci l’illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto.
Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?

L’unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunità, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi.

Dott.ssa Denisa Alexandra Cojocariu – Sociologa 


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