LA TECNICA DELLO SMART WORKING E I DIRITTI DEI LAVORATORI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

 

NUOVA FOTO FRANCESCA SANTOSTEFANOLa minaccia pandemiologica (nell’accezione lata) ha imposto, senza ombra di dubbio, un mutamento radicale delle nostre attività quotidiane, ciò che prima pareva scontato per certi versi ed abitudinario (come il semplice recarsi sul posto di lavoro o a scuola o ancora semplicemente prendere un caffè con un amico al bar, azioni modeste di per sé) sono state completamente sradicate dall’obbligo di rimanere nelle nostre abitazioni e uscire per motivi necessari e vitali.

Il decreto varato da Conte ha richiesto l’immediata chiusura di tutte le attività commerciali nonché dei luoghi di lavoro. Per cui determinate aziende hanno proposto agli operatori un metodo alternativo e semplice per poter svolgere il lavoro prima eseguito in ufficio comodamente da casa. La tecnica dello Smart working ( lavoro agile) è un modello organizzativo che interviene nel rapporto individuo e azienda, propone autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati e presuppone un ripensamento intelligente delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli “fisici” e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa e ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità.

Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali lo Smart Working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi ovviamente stabilita tra dipendente e datore di lavoro, favorendo la crescita e la produttività del lavoratore stesso. Nell’epoca dell’ormai decaduto posto fisso, ove prevalgono i cosiddetti “Influencer” sui social network, vale a dire esperti in business e marketing che attraverso le loro pagine promuovono e pubblicizzano prodotti o per meglio intenderci “Brand” di note aziende o ancora la professione dello “Youtuber” i quali guadagnano in base ai “like” sul quel determinato video e attraverso le visualizzazioni ottenute, insomma un connubio semplice e pratico per chi desidera svolgere il lavoro comodamente dalla propria abitazione conciliando in modo tranquillo la vita quotidiana, presupposto ancora positivo soprattutto in tal periodo, per cui il lavoro da casa nonostante sia vietato recarsi sul posto di lavoro, incrementa la produttività, insomma si parla di veri e propri Manager in questo campo.

Ma questi lavoratori così occupati da chi vengono tutelati? Come sostiene Castel Robert nella sua opera “L’insicurezza sociale, cosa significa essere protetti?” egli delinea quello che dovrebbe fare uno Stato protettore, il quale tutela i cittadini all’interno dello stato di diritto (stato di natura,Hobbes, stato liberale, Locke) e dunque secondo egli “Si parla di dissociazione sociale (contrario della coesione sociale) per dare nome a quelle situazioni come quella dei proletari del diciannovesimo secolo che si trovavano in uno stato di precarietà permanente. Ma come garantire la sicurezza di tutti gli individui all’interno di una nazione? La scissione fra proprietari e non proprietari si traduce in una scissione fra soggetti di diritto e soggetti non di diritto (al contrario il diritto è solo formale come sosterrà  Marx). Si è giunti a vincere l’insicurezza sociale assicurando la protezione sociale di tutti i membri ad esempio fissando delle forti protezioni sul lavoro o costruendo un nuovo tipo di proprietà.

Due sono i concetti che ruotano attorno all’insicurezza: fissare protezioni e fissare diritti alla condizione dei lavoratori stessi. Il lavoro smette così di essere una relazione pienamente commerciale retribuita nel quadro di un rapporto pseudo contrattuale (contratto di locazione nel codice civile) tra un datore di lavoro e un salariato deprivato. Il lavoro è diventato l’impiego cioè una condizione dotata di uno statuto che include garanzie non commerciali come il diritto ad un salario minimo, le protezioni del diritto del lavoro, la copertura dagli infortuni, dalla malattia, il diritto alla pensione, la condizione del lavoratore è diventata una condizione salariale ossia la disponibilità di risorse sulle quali il lavoratore può contare.” Oggi giorno, più che mai, l’insicurezza è il rovescio della medaglia di una società che garantisce la sicurezza.

Paradossalmente a quello che accade adottando la tecnica dello smart working da un lato, dall’altro il dispotismo del lavoro pare primeggiare in tale situazione di emergenza. Per cui vi sono episodi di persone che hanno giustamente paura di andare a lavorare, poiché nonostante il decreto alcune strutture pare siano rimaste aperte pur avendo adottato tutte le precauzioni necessarie sancite dal decreto (distanza di almeno un metro tra gli operatori, l’utilizzo di guanti, mascherine, la misurazione della temperatura corporea). Un episodio mi colpisce e mi rattrista in maniera negativa e sento il dovere di raccontarlo, seppur in modo sintetico e restando nella sfera dell’anonimato, una  giovane donna (ometto i dati personali per una questione di privacy) madre di famiglia, si rifiuta, in uno stato civile ove vige la democrazia, di recarsi al lavoro poiché ha paura di mettere a repentaglio la salute dei propri familiari, pertanto viene licenziata, nonostante durante il decorso degli anni addietro abbia prestato la propria capacità lavorativa all’interno della stessa struttura.

Episodi sgradevoli e non accettabili in tale situazione emergenziale e soprattutto in una società civile, costretta da un lato a fare i conti con una pandemia sempre più invasiva e con il senso di irresponsabilità della maggior parte, dall’altra con la paura di dover perdere un posto di lavoro tanto sudato e di non venir retribuiti nonostante si rimanga a casa non per proprio volere ma per cause di forze maggiori. Salute e soldi vanno di pari passo in un circolo vizioso per cui “se l’italiano ha i soldi necessari può accedere alle cure, altrimenti la sanità non provvede alle sue cure essenziali”. Meglio sani che ricchi o meglio ricchi e recarsi ugualmente al lavoro rischiando?

Dott.ssa Francesca Santostefano – Sociologa


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