La civile indiscrezione dei fratelli Goncourt

di Patrizio Paolinelli

Prof. Patrizio Paolinelli

“Un’altra nostra forza, forza assai rara, è lo spirito d’osservazione, lo squadrare le persone, una scienza e una costituzione di fisiognomi morali che ci fa denudare i caratteri a prima vista, penetrare nell’intimo di tutti quelli con cui ci strusciamo, toccare tutte le molle delle marionette, presagire e dedurre l’umanità di ciascuno.”

Queste parole rappresentano come meglio non si potrebbe il tipo di sguardo con cui i fratelli Goncourt radiografavano la personalità altrui. Vennero scritte il 3 maggio 1859 e pubblicate nel celeberrimo Journal. Di cui oggi abbiamo una preziosa antologia, curata da uno specialista dei due fratelli, Vito Sorbello, intitolata “La civile indiscrezione”, (Aragno editore, Torino, 499 pagg., 30,00 euro). In Italia l’edizione integrale di queste memorie è stata pubblicata, sempre da Aragno, tra il 2007 e il 2009.

Le cronache del Journal coprono un arco di tempo che va dal 1851 al 1896. Un periodo lunghissimo in cui i Goncourt compilano a quattro mani un diario dell’anticonformista vita letteraria parigina (dal 1870 resterà solo Edmond a portare avanti l’impresa a causa della prematura scomparsa del fratello). I loro ritratti dipingono una lunga serie di personaggi che popolano il mondo culturale dell’epoca. Un mondo abitato da intellettuali in corsa per affermarsi sulla scena sociale e che si ritrovano negli spazi della convivialità borghese: noti ristoranti, caffè alla moda, teatri, esclusivi salotti letterari come quello della Principessa Mathilde, cugina dell’Imperatore Napoleone III.

Nei confronti del nascente ceto medio che bene o male riusciva a vivere grazie alla penna, le parole e i toni utilizzati dai Goncourt sono acidi, veri e propri lanci di vetriolo a cui seguono impietosi giudizi. Ai loro occhi nessuno si salva, perlomeno mai del tutto. Nel loro mondo la competizione, l’esibizionismo e l’autocelebrazione sono di casa. Perciò Flaubert è apostrofato come un provinciale, ipocrita e arrivista: “ha un animo grossolano e pesante, come il suo corpo. … Manca di charme la sua allegrezza di bove.” Sainte-Beuve è presentato come un abile venditore: il suo è “un ruolo di origliante di bidè, di confessore di discordie, di patrocinante di riconciliazioni, sempre strisciante nei segreti delle donne.” Ingres? “era nato per essere pittore, così come Newton era nato per essere cantante!” Renan? “Da quest’uomo, malsano, mal congegnato, brutto a vedersi, d’una bruttezza morale, esce una vocina stridula e in falsetto.” Taine? “ha l’arte ammirevole di insegnare oggi agli altri quello che ieri ignorava.” Hugo? “il Titano del luogo comune, e il banditore del sublime.” Zola? Un “grosso ragazzo, pieno di candore infantile, di esigenze da corrotta puttana, d’invidia un po’ socialista.” Baudelaire? “non è affatto, lo ripeto, un prosatore originale. Traduce sempre Poe, anche quando non è più il suo traduttore e aspira a fare del Baudelaire.” E così di seguito per ognuna delle personalità prese di mira dai Goncourt.

In un mondo prevalentemente maschile non mancano le donne, anche perché “ordinario oggetto di conversazione” delle infinite serate mondane a cui partecipavano i due fratelli. I quali, si sa, erano misogini, vivevano sotto lo stesso tetto e condividevano la medesima amante. Sul Journal tutti o quasi vengono smascherati e fatti a pezzi. Ma nei confronti delle donne si aggiunge un pizzico di cattiveria in più: “Le donne non hanno mai fatto niente di ragguardevole se non andando a letto con molti uomini, succhiando loro il midollo spinale: Mme Sand, Mme de Staël. Credo che mai si troverà una donna virtuosa che valga due soldi d’intelligenza. Mai una vergine ha prodotto qualcosa.” Posizione che, per essere indulgenti, oggi qualificheremmo come politicamente scorretta. Eppure, per quanto corrosivi, i due fratelli sono sottili, attenti alle distinzioni ed eccoli ritornare parzialmente sui propri passi: “Solo tre donne intelligenti con differenti disposizioni ho incontrato sinora. Tutte e tre grasse e amanti del maschio: la Principessa, la Lagier e Grisette.”

Va aggiunto che i Goncourt non saranno sempre irriverenti e mal disposti nei confronti dell’altro sesso. Prova ne sia, per esempio, quel capolavoro del naturalismo che è La donna nel XVIII secolo (Sellerio, 2010). Ma il Journal non è un gentile ricamo. È la pubblica esposizione dei panni sporchi altrui. Una sorta di telecamera nascosta puntata su quella che Goffman ha definito l’interazione strategica tra individui la cui preoccupazione principale è salvaguardare, rafforzare, promuovere la propria reputazione. Mai perdere la faccia, dimostrare sempre di essere conversatori brillanti, avere la battuta pronta, fare buona impressione. Ogni incontro è l’occasione per affermare il proprio personaggio, per esibire il proprio status. E immancabilmente i Goncourt colgono falle nella rappresentazione che ognuno offre del proprio Sé.

Il Journal può essere considerato il diario di due scettici pronti a cogliere ogni minima contraddizione del circuito sociale a cui appartengono e dal quale non intendono affatto affrancarsi. Criticano tutti e con tutti o quasi sono in buoni rapporti. Assistono con civile indiscrezione alla perpetua commedia degli inganni rappresentata sotto i loro occhi nella vita di società. Due raffinatissimi uomini di cultura spiano altri uomini di cultura, li deridono e li dileggiano mettendo a nudo le incoerenze tra parole e fatti, tra immagine pubblica e immagine privata, tra scena e retroscena della loro esistenza.

Ci sarebbe da chiedersi il motivo di così tanta acredine. Non certo per denunciare i mali del loro ambiente: da ricchi borghesi qual erano i Goncourt credevano solo in sé stessi. Più semplicemente perché: “Dire male degli altri, soprattutto di amici e parenti, è la più grande ricreazione mai scoperta dall’uomo sociale. Cos’è la società? Un’associazione di maldicenza”. E ancora: “Niente lega due persone quanto il dir male di una terza: forse il più grande vincolo della società.” Conclusioni assai riduttive verrebbe da dire, e non ci addentriamo oltre. Ma in effetti la forte rivalità tra scrittori per affermarsi nel mercato editoriale alimentava la maldicenza e costituiva un dispositivo linguistico abituale nell’universo di discorso che animava la loro vita notturna. Cene, serate, feste, ricevimenti, occasioni mondane sono tra i momenti in cui i Goncourt raccolgono le battute, gli sfoghi, le schermaglie, le confidenze, le preoccupazioni, i pettegolezzi dei partecipanti. Rientrati a casa li riportano nel loro Journal. Ovviamente non disdegnano di raccontare gli incontri diurni. In cui descrivono l’arredo delle case di chi li ospita, l’abbigliamento dei proprietari, il più delle volte gli stessi della bohème letteraria, facendone lo specchio delle singole personalità.  

Svelare manie, preferenze sessuali, calcoli personali e meschinità che agitavano le interazioni tra i rappresentanti della vita letteraria pagina dell’Ottocento serviva forse a rinsaldare l’indissolubile legame tra i due fratelli. I quali erano infatti un corpo e un’anima. Condividevano ogni cosa. Della scrittura, del tetto e dell’amante abbiamo già detto. Si può aggiungere la visione del mondo, gli orientamenti culturali, i desideri, i viaggi, i rancori, le paure e le idee reazionarie. La loro simbiosi era unica, perfetta e in quanto tale immune alla critica che riservavano unicamente al prossimo. “Gemelli in tutto e per tutto” i Goncourt del Journal sono stati soprattutto testimoni di un’epoca che non amavano e come altri naturalisti nulla fecero per cambiarla. Il valore del loro Journal resta tuttavia intatto in quanto documento sulla formazione dello spirito borghese.

Patrizio Paolinelli, Via Po cultura, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro


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