IL PECCATO ORIGINALE DEL REDDITO DI CITTADINANZA

di Antonio Latella

Sullo stucchevole dibattito tra favorevoli e contrari al reddito di cittadinanza, riteniamo la neutralità una posizione buona e giusta.

<<===== Antonio Latella

Disinteresse a parte, ci sia consentito fare una considerazione di fondo sulla genesi politica che ha portato il governo Conte I e la sua maggioranza a legiferare in materia. Se l’art. 4 della Costituzione stabilisce che la Repubblica riconosce “ai cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”, mentre milioni di italiani sono privi di occupazione, allora spetta allo Stato ricercare idonei strumenti per invertire questa atavica tendenza. Oppure, intervenire con l’assistenza, in attesa che disoccupati e inoccupati entrino a fare parte del sistema produttivo.

Non abbiamo elementi certi per dubitare che questa sia stata la logica che ha ispirato il governo dell’”avvocato” degli italiani e, soprattutto, del Movimento 5S (solida maggioranza parlamentare dell’epoca). Tuttavia non possiamo esimerci dal fare alcune considerazioni sulla cronica inefficienza dei Centri per l’impiego in seno ai quali sono stata catapultati i “navigator”: orientatori preposti a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, cioè tra i beneficiari del sussidio e le imprese. Figure che sono rimaste ostaggio della vecchia burocrazia che ha negato loro qualsiasi spazio di autonomia d’iniziativa.

Per una corretta analisi sull’impatto sociale del reddito di cittadinanza bisogna scindere due aspetti: il profilo assistenziale da quello del reinserimento lavorativo. È incontestabile il dovere di solidarietà sociale dello Stato a favore dei cittadini che, trovandosi sulla soglia della povertà e non certo per negligenza, rischiano di non poter soddisfare i bisogni primari di una famiglia: la casa, il carrello della spesa, l’istruzione, la sanità. Su questo appare pacifica la bontà del reddito come strumento di welfare. E non bisogna neanche trascurare l’incidenza che lo stesso ha avuto sui consumi.

Altro, invece, è il giudizio sulla efficacia di questa misura nell’incremento dell’occupazione. In questo senso va osservato che, soprattutto in occasione dell’ultima campagna elettorale, il dibattito sul reddito di cittadinanza non ha mai visto nessuno fornire dei dati: quanti disoccupati hanno trovato lavoro grazie ai navigator? E conseguenzialmente di quanto è diminuita la platea dei percettori di questa misura?

In assenza di strumenti di misurazione, è molto difficile formulare un giudizio compiuto sul successo o l’insuccesso del Rdc, ma certamente emergono limiti (ad esempio sull’esperienza dei navigator, e gli  strumenti operativi in loro possesso) che hanno rafforzato la consapevolezza di dover correggere questa misura. Va inoltre riscritto il sistema dei controlli sui furbetti che hanno truffato lo Stato e, al tempo stesso, ne hanno minato la credibilità. Con un paradosso finale: il mancato rinnovo del contratto per migliaia di navigator passati in breve tempo ad ingrossare le file di quei disoccupati di cui prima si prendevano cura.

Adesso si presenta, nella migliore delle ipotesi, un orizzonte di incertezza. La crisi economica sempre più grave, anche per gli effetti del conflitto russo- ucraino, e le prospettate scelte di politica economica per la prossima legge di bilancio rischiano di accendere la miccia di uno scontro sociale reso più probabile dalla polarizzazione delle opinioni e dalla radicalizzazione dello scontro politico. Un’eventualità ancora più elevata nel Mezzogiorno, dove il numero dei percettori del reddito è più elevato e dove si respira un  particolare pessimismo alla luce della probabile introduzione dell’autonomia differenziata che potrebbe acuire il divario tra nord e sud del Paese.

Antonio Latella – giornalista e sociologo


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