Dieci anni fa moriva il rabbino di Roma, Elio Toaff

di Sara Spoletini

Il “rabbino più amato” e il “rabbino buono” era solito dire che due avvenimenti avevano segnato la sua vita: “Le leggi razziali e la creazione d’Israele”. Non si può non ricordare il suo sorriso tipicamente romano, i suoi occhi vispi e la sua naturale propensione non solo al dialogo ma alla pacificazione.

Classe 1915, figlio del rabbino livornese Alfredo Sabato, ancora giovanissimo, Elio iniziò presso il Collegio rabbinico di Livorno (allora diretto da suo padre Alfredo) sia gli studi ebraici sia, in parallelo, quelli liceali. E’ il 1938 quando Elio conseguì il primo livello del titolo di rabbino, quello di maskil (cólto). Negli anni precedenti aveva anche seguito gli studi universitari, condotti presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa. Il 5 luglio 1939 – nonostante le discriminazioni antiebraiche già in corso e l’opposizione del capo della commissione, Widar Cesarini Sforza – Toaff conseguì la laurea in legge, con una tesi su “Le società commerciali in Palestina”, relatore Lorenzo Mossa, docente di diritto commerciale. Nel 1938, il governo italiano aveva promulgato le prime leggi antiebraiche (le cosiddette leggi razziali), e l’anno seguente Elio espresse al padre l’intenzione di trasferirsi, come già avevano fatto i suoi fratelli; ma questi lo convinse a rimanere in Italia, affermando (soprattutto in vista delle dure prove a cui presumibilmente sarebbe stata sottoposta la comunità ebraica italiana): «Un rabbino non ha la stessa libertà di scelta degli altri. Un rabbino non abbandona mai la sua comunità». Nel 1951, dopo la morte del rabbino capo di Roma, David Prato, Toaff (che aveva allora 36 anni) fu chiamato a sostituirlo. In quanto rabbino capo della maggiore comunità ebraica del Paese, gradualmente assunse de facto il ruolo di capo spirituale dell’intero ebraismo d’Italia. E questa comunità non l’ha mai abbandonata. Non sono anni facili: gli ebrei sono una minoranza ma grazie alle capacità di relazionarsi sia con le autorità nazionali che con quelle cittadine, Toaff riesce a portare in risalto una complessa serie di problemi concernenti i diritti religiosi e civili degli ebrei, in particolare l’esenzione da mansioni lavorative o la convocazione a concorsi pubblici nei giorni delle festività ebraiche comandate. Toaff fu particolarmente attento alla promozione dell’istruzione ebraica, e durante il suo rabbinato, nel 1973, fu creato a Roma un liceo ebraico, il Renzo Levi, che si aggiunse alle scuole già esistenti (quella elementare, la Vittorio Polacco, e quella media, la Angelo Sacerdoti). Il ruolo di guida per il suo popolo lo incarna molto bene alla fine degli anni 50, quando a Roma gli ebrei hanno subito diverse aggressioni; immediatamente Toaff chiese l’intervento delle autorità di ristabilire e mantenere l’ordine. Fu, inoltre, promotore di provvedimenti volti ad assicurare, sia in quel momento, sia negli anni successivi, l’autodifesa della comunità di fronte alle provocazioni.

Il Rabbino Toaff è ricordato soprattutto perché dagli anni ’60 iniziò a tessere una tela di relazioni con il Vaticano che ha portato gradualmente la Chiesa Cattolica a cambiare la propria posizione nei confronti degli ebrei, che si manifestarono durante il pontificato di papa Giovanni XXIII (1958-63), e furono seguiti dalla promulgazione da parte di papa Paolo VI, nel 1965, della dichiarazione Nostra aetate (Nel nostro tempo). Il testo affermava (al punto 4) che «quanto è stato commesso durante la […] passione [di Gesù] non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo». Era un serio passo in avanti rispetto alla tradizionale accusa di deicidio nei confronti dell’intero popolo ebraico. Inoltre nel documento si condannava, per la prima volta in modo esplicito, l’antisemitismo: «La Chiesa […] deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque». L’azione di ricongiungimento tra Chiesa Cattolica ed ebraismo fu l’apertura della porta della sinagoga a Giovanni Paolo II in nome delle comuni verità bibliche. Ma questo non gli impedì di assumersi una certa responsabilità nell’attaccare la stampa cattolica che spargeva menzogne e odio su Israele.Così, nel 1988, Toaff accusò il Vaticano di condurre “una politica antisemita attraverso i mass media cattolici che demonizzano Israele e il sionismo”,Toaff accusa alcuni giornali cattolici di “antisemitismo di antica matrice religiosa, razzista, fascista che demonizza Israele, il sionismo, l’ebraismo e banalizza la più grande tragedia di questo secolo paragonandola a pur gravi manifestazioni di violenza israeliane. Peggio, si cerca di dimostrare che le vittime dell’Olocausto non erano poi cosi innocenti”. Perché lui stava sempre dalla parte di Israele. Abile e docile nel costruire rapporti diplomatici, eppure fermo e deciso nel difendere i diritti e la sicurezza degli ebrei.Gli anni difficili non mancano, come non manca il pericolo di odio e l’orrore vissuto che forse non va mai via dagli occhi per chi quell’orrore lo ha guardato dritto negli occhi.Vari sono stati gli episodi contro gli ebrei vissuti, affrontati e risolti da Toaff: Cgil di Luciano Lama, che aveva chiesto agli ebrei romani di “dissociarsi” da Israele. Toaff lo attaccò dopo lo sciagurato gesto di alcun esponenti della sinistra di lasciare una bara di cartone davanti alla Sinagoga di Roma, in coda a un corteo della Triplice. L’assassinio del bambino ebreo Stefano Taché per lo scoppio di una bomba palestinese il 9 ottobre 1982 nei pressi del Tempio sul Lungotevere, in occasione del giorno di Simchà Torah che conclude il ciclo annuale della lettura del Pentateuco e lo ricomincia, Toaff si scaglia duramente verso chi riteneva una frangia esigua di minoranza, per lui era un’“indegna esplosione di antisemitismo” che per lui rievocava il “lontano e infausto periodo che va dal 1939 al 1944”.Un evento che lo scosse duramente fu nel 1982 quando Yasser Arafat venne in visita a Roma e fu accolto dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini mentre il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini si era rifiutato di incontrare il leader dell’Olp e i segretari dei tre principali partiti (Dc, Pci e Psi) lo avevano accolto con gli onori di un capo di governo. a cui Toaff non si fece scrupolo a ricordare al Capo dello Stato italiano che il leader palestinese e i suoi seguaci avevano versato il sangue di molti ebrei e voleva distruggere tutta Israele.

L’eredità di Toaff è pesante, non solo per la comunità ebraica, ma per Roma, l’Italia e i rapporti diplomatici tra nazioni. Toaff ci ha insegnato a dialogare, e ci ha fatto capire per trovare la pace bisogna cercare i punti in comune che diventano forza, rispetto. Ci ha insegnato a non dimenticare, perché la memoria fa comunità, fa identità e se non sappiamo chi siamo è sempre difficile sapere dove si vuole andare. La pace è quando si ha coscienza della propria identità e si ha rispetto di quella degli altri. Ciao Elio, in questo momento storico manchi a tutti

Dott.ssa Sara Spoletini, sociologa ed educatrice


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