COMPORTAMENTO AGGRESSIVO E ORIGINI DELL’EDUCAZIONE

 

LE RICERCHE SCIENTIFICHE SUL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO E LE ORIGINI DELL’EDUCAZIONE,  COMMENTO DEL SOCIOLOGO ALESSANDRO SAVY 

          Comportamento aggressivo

ALESSANDRO SAVY FOTODal punto di vista etologico, Konrad Lorenz nel 1973 Premio Nobel per la fisiologia e la medicina, considerò l’aggressività un istinto animale innato (come la fame, la sessualità e la fuga) che svolge una funzione fondamentale per l’adattamento della specie. Il fisiologo distingue due diverse tipologie di comportamento aggressivo: quello “interspecifico”, che si manifesta tra individui di specie diversa ed è finalizzato alla ricerca del cibo, e quello “intra-specifico”, che si attua tra membri della stessa specie. Lo studioso individua una serie di ragioni che rischiano di annientare la nostra civiltà pregiudicando il futuro della specie, tra queste: l’eccessiva, la devastazione dell’ambiente naturale, la competizione continua tra esseri umani, l’estinguersi dei sentimenti e una crescente intolleranza verso tutto ciò che provoca dolore, l’annullamento dei meccanismi di selezione naturale sul patrimonio genetico e sui modelli di comportamento sociale ecc.… Un segnale preoccupante della crisi dei ruoli familiari e della valorizzazione sociale della funzione educativa degli adulti è dato dall’aumento degli episodi di violenza da parte dei figli nei confronti dei propri genitori e degli abusi intra ed extrafamiliari nei confronti dei minori e delle donne. (1) Queste esperienze costituiscono una vera e propria piaga sociale e segnano chi le vive in modo profondo sia sul piano psicologico sia somatico, come dimostrano ricerche recenti che hanno evidenziato un significativo aumento dei disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia) e delle malattie organiche e funzionali (in particolare gastrointestinali, urinarie e ginecologiche) nelle persone che hanno subito nel corso della vita abusi sessuali o fisici. (2)

Nella prospettiva della teoria dell’attaccamento, così come in quella etologica, l’aggressività viene considerata una componente innata della costituzione umana, ma perde la propria connotazione negativa assumendo un significato adattivo ed evolutivo. il comportamento aggressivo è in questo paradigma attivato da situazioni ambientali percepite come un pericolo o una minaccia. Le ragioni della sua esistenza possono essere ricondotte a quattro ambiti fondamentali che andiamo solo ad elencare:

  1. a) un’esperienza infantile di deprivazione materna;
  2. b) un comportamento di protesta teso ad evitare esperienze di separazione e di perdita;
  3. c) uno sviluppo carente della funzione riflessiva legato ad abusi, maltrattamenti o scarsa sensibilità genitoriale;
  4. d) lo sviluppo di un attaccamento insicuro.

Gli studi sull’attaccamento infantile, realizzati utilizzando la Strange Situation ideata da Mary Ainsworth (Aisworth, Witting 1969), hanno evidenziato che i bambini con alcune forme di attaccamento insicuro (evitante, disorganizzato e coercitivo) manifestano più frequentemente problemi di condotta (isolamento, aggressività, rifiuto scolastico).(3) La maggiore precocità dello sviluppo di difese di evitamento è risultata correlata alla manifestazione successiva di comportamenti aggressivi e ostili.

                                                                    

           Le origini dell’educazione                                                                      

 Etimologicamente il termine deriva dal verbo latino educĕre, cioè «trarre fuori, “tirar fuori” o “tirar fuori ciò che sta dentro”, derivante dall’unione di ē- (“da, fuori da”) edūcĕre (“condurre”). Furono però i Greci ad individuare nel rapporto con la cultura l’elemento indispensabile per l’autoformazione dell’individuo, cominciando a parlare per la prima volta di Paideia, che rappresentava la stretta relazione fra educazione, filosofia e vita associata. La Paideia concepiva la formazione dell’uomo in quanto uomo, cioè, era l’espressione della trasmissione di modelli, consuetudini e valori di una determinata classe sociale. In questo senso, la figura non del semplice insegnante, ma dell’educatore, si delineò per la prima volta proprio in Grecia. Il  vero cambiamento avvenne solo quando vi fu la necessità di preparare i giovani ad affrontare la nuova vita di cittadini all’interno della polis. I cardini dell’educazione erano fondamentalmente due: la dialettica, intesa come l’abilità di prevalere sul proprio interlocutore, e la retorica intesa invece come l’arte del “persuadere”.

Grazie inoltre ai Sofisti si assistette ad una “democratizzazione” del sapere e della politica, essi furono anche i primi ad elaborare un’idea di educazione definita  “umanistica” nel senso che l’educazione era rivolta all’uomo in quanto tale. In tal senso, se in un primo tempo lo scopo dell’educazione sofistica era di carattere politico, in un secondo momento era fine a se stessa. Anche Aristotele affrontò il problema dell’educazione nella dimensione della polis, tuttavia il rapporto tra questa ed il cittadino era basato più su di un esame delle reali condizioni della società, che non sull’ideale platonico. (4) Aristotele indicava anche un modello di studi dove la famiglia era in prima linea   impegnata direttamente della responsabilità educativa dei propri figli, dalla nascita  fino ai sette anni, mentre, in seguito,  dai 7-14 anni circa, ero lo Stato ad occuparsene, attraverso l’insegnamento di lettere, ginnastica, musica e disegno, ed in fine, ovvero la terzo fase  successiva , che va dai 14-21 anni, il giovane approfondiva nel Liceo ciò che aveva imparato nella fase precedente. Agostino affermava invece, che «L’educazione doveva essere un processo di tipo dialettico attraverso cui l’uomo penetrava nella propria coscienza e vi faceva luce, perché è in se stesso che avrebbe trovato la verità». (5)

Sarà nel passaggio alla contemporaneità che la formazione, nel Settecento, a definirsi proprio in senso sociale e scientifico, in fatti da questo momento la formazione svolge funzione di omologazione sociale e di promozione della coscienza civica per una promozione del razionale scevra da pregiudizi e da credenze. La paideia, la formazione umana attraverso le attività culturali e incarna la tensione enciclopedica del mondo classico, l’apertura verso tutti i saperi, ritorna come bildung nella sua piena espressione formativa nell’Ottocento, ovvero come formazione umana e culturale che interconnette individualità, scienza e arte per un modello di uomo che elabora e rielabora la propria forma interna, la propria immagine, ovvero la Bild.

La paideia che ricomprenda in sé tutti gli elementi in gioco, seppure in modo sinergico ed evolutivo e concorra in tal modo alla definizione di un nuovo modello di Bild. Il termine Bildung, assume il suo significato attuale solo dalla seconda metà del ‘700 nel contesto di un nuovo umanesimo, ovvero del progetto di una formazione di tipo armonica di tutte le forze sia fisiche sia spirituali dell’uomo.  Un modello che oggi, nella società del post-moderno nella quale la cultura è relativizzata, il soggetto è destrutturato e l’interezza paidetica diventa sempre più specializzata, va formulata oltre la Bildung.

Verso quindi una nuova paideia che ricomprenda in sé tutti gli elementi in gioco, seppure in modo sinergico ed evolutivo e concorra in tal modo alla definizione di un nuovo modello di Bild.

                              Alessando Savy – sociologo

                                  

 

(1) Lorenz K. (1973): Gli otto peccati capitali della nostra civiltà. Adelphi, Milano, 1974.

(2) Baldoni F. (2001): Psicosomatica dell’adolescenza. In: Acanfora L. (a cura di), Disagio

  giovanile. Gioventù cotta, cruda o bruciata? Edizioni Scientifiche Ma.Gi., Roma.

(3) Greenberg M.T. (1999): “L’attaccamento e la psicopatologia dell’infanzia”. In: Cassidy J.,

   Shaver P.R. (a cura di): Manuale dell’attaccamento. Teoria, ricerca e applicazioni cliniche.

  Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2002.

(4 )Cfr. G. Gentile, Il concetto scientifico della pedagogia, Franco Angeli, Milano 2004, p.67. 

(5) Cfr. A. Agostino, De Magistro, a cura di D. Gentili, Città Nuova, Roma 1976, p.76

 

 


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