Nella società contemporanea, il rapporto tra esseri umani e animali da compagnia ha assunto un’importanza sempre più centrale, trasformandosi da semplice coabitazione a un legame affettivo e simbolico complesso. Da una prospettiva sociologica, questa relazione riflette e contribuisce a modellare dinamiche culturali, economiche e psicologiche che caratterizzano la vita moderna.
Uno degli aspetti più rilevanti è la crescente tendenza a considerare l’animale domestico non solo come un compagno, ma come un vero e proprio membro della famiglia. Termini come “pet parenting” o “genitori di animali” evidenziano come cani, gatti e altri animali da compagnia vengano sempre più antropomorfizzati, ricevendo cure, attenzioni e affetto che un tempo erano riservati solo ai membri umani della famiglia. Questo fenomeno può essere letto anche come risposta a cambiamenti strutturali nelle relazioni sociali: l’aumento della solitudine urbana, l’invecchiamento della popolazione, la riduzione della natalità e la maggiore mobilità individuale. In questo contesto, l’animale diventa un punto di riferimento emotivo stabile, una forma di affetto incondizionato in una realtà spesso frammentata. Un altro elemento sociologicamente interessante è l’aspetto identitario legato alla presenza di un animale da compagnia. Alcune razze, specie o modalità di cura vengono associate a determinati stili di vita, classi sociali o valori culturali. Il possesso di un determinato animale può diventare un segnale di status economico, estetico o ideologico, come nel caso di razze di cani rare o di animali “esotici”. Inoltre, la crescente industria del pet care — che include alimenti biologici, vestiti, accessori di lusso, assicurazioni veterinarie e persino psicologi per animali — riflette una società in cui anche il consumo legato agli animali da compagnia diventa parte dell’identità personale e collettiva. Altresì, gli animali da compagnia svolgono anche importanti funzioni terapeutiche e sociali. La pet therapy è ormai riconosciuta come efficace in diversi contesti clinici e scolastici, migliorando la qualità della vita di persone con disabilità, anziani e bambini. Più in generale, la presenza di un animale può ridurre lo stress, combattere la depressione e stimolare relazioni sociali, soprattutto nei contesti urbani dove l’isolamento è più frequente.
Tuttavia, l’umanizzazione degli animali pone anche interrogativi etici. Se da un lato il crescente affetto verso gli animali da compagnia ha portato a una maggiore e fondamentale attenzione verso i loro diritti e al benessere, dall’altro può sfociare in forme di consumo irresponsabile o in pratiche che non rispettano la natura dell’animale stesso. Inoltre, l’impatto ambientale legato all’allevamento, alla produzione di cibo e agli accessori per animali solleva questioni che vanno integrate nel più ampio dibattito sulla sostenibilità. In sintesi, gli animali da compagnia nella vita odierna non sono più semplici presenze affettuose all’interno delle mura domestiche: rappresentano simboli, strumenti relazionali, soggetti terapeutici e, talvolta, status symbol. L’analisi sociologica di questo fenomeno rivela le trasformazioni più profonde del nostro modo di vivere, amare, consumare e relazionarci con il mondo. In un’epoca segnata da incertezze e cambiamenti rapidi, il legame con l’animale da compagnia si fa specchio e rifugio della nostra condizione umana.
Dott. Franco Faggiano, EPS (Esperto Progettazione Sociale) socio dell’ASI (Associazione Sociologi Italiani) | Blog di divulgazione scientifica: retisocialienetworking.blogspot.com
In un panorama associativo sempre più complesso e dinamico, la Convenzione tra il Centro XXV Aprile e l’Associazione Italiana Combattenti Interalleati (A.I.C.I.) emerge come un esempio significativo di come la sinergia tra enti possa generare benefici tangibili e favorire l’integrazione di scopi e finalità. L’ accordo, incentrato sull’inquadramento dei Soci Onorari Collettivi del Centro XXV Aprile come «Soci Simpatizzanti A.I.C.I.», rappresenta un modello innovativo che coniuga aspetti sociologici e normativi, con un focus sulla rete associativa e i vantaggi che ne derivano.
Aspetti Sociologici: Integrazione e Riconoscimento
La convenzione, basata su un «Patto di Mutuo Riconoscimento e Alleanza» (in acronimo PMReA), testimonia una profonda comprensione delle dinamiche relazionali e identitarie che caratterizzano il mondo associativo. Essere già parte della rete fisica e virtuale del Centro XXV Aprile in quanto Socio Onorario Collettivo (enti o istituzioni, che si sono distinte per particolari meriti acquisiti nella promozione degli scopi e delle finalità dell’Associazione o per prestigio personale, oppure in grado di fornire direttamente o indirettamente supporto o contributi alle attività dell’associazione) rappresenta il punto di partenza per un’ulteriore integrazione. Dal punto di vista sociologico, l’iniziativa mira a: Rafforzare l’identità collettiva: L’affiliazione automatica, pur con le limitazioni di voto, crea un senso di appartenenza allargato, consentendo ai membri delle associazioni collettive di riconoscersi parte di una rete più ampia e consolidata. Questo favorisce lo scambio di esperienze, la condivisione di valori e la creazione di un capitale sociale diffuso. Facilitare l’aggregazione: Il meccanismo del silenzio-assenso è un elemento sociologicamente rilevante. Riduce le barriere all’ingresso, incentivando l’adesione e superando la potenziale inerzia burocratica. In un contesto in cui il tempo e le risorse sono spesso limitati, la semplificazione delle procedure di affiliazione è cruciale per l’espansione e la vitalità delle reti. L’adozione del silenzio-assenso, debitamente comunicato e con possibilità di opposizione, si configura come un atto di fiducia reciproca e di ottimizzazione delle risorse. Promuovere la partecipazione indiretta: sebbene i Soci simpatizzanti non abbiano diritto di voto o di ricoprire cariche, la possibilità di partecipare a eventi, attività e usufruire dei servizi A.I.C.I.offre un beneficio di rete significativo. Questo tipo di partecipazione indiretta consente un’interazione costante e la possibilità di influenzare, seppur non formalmente, le attività e le direzioni delle associazioni coinvolte. Creare un «effetto rete»: L’integrazione di più associazioni sotto un unico «ombrello» simbolico e operativo genera un «effetto rete» positivo. Le singole realtà, mantenendo la propria autonomia, beneficiano della visibilità, del prestigio e delle risorse condivise. Questo può tradursi in una maggiore capacità di attrazione per nuovi membri, una più ampia risonanza delle iniziative e una maggiore efficacia nell’advocacy di interessi comuni.
Aspetti Normativi: Trasparenza, Consenso e Tutela
Premessa: Basandosi sullo Statuto del Centro XXV Aprile e sul Patto di Alleanza con l’A.I.C.I., che prevede l’adesione automatica (co-iscrizione) dei soci reciproci (salvo opposizione), è emersa la necessità di inquadrare normativamente i Soci Collettivi del Centro (enti/istituzioni). Dato che il regolamento A.I.C.I. ammette solo soci individuali, l’opzione più idonea per una collaborazione strutturata è stata includere tali Soci Collettivi come «Soci Simpatizzanti», nonostante alcune limitazioni operative. La convenzione è un esempio di come sia possibile conciliare l’efficienza operativa con la piena conformità normativa. Gli aspetti legali e procedurali sono stati attentamente definiti per garantire trasparenza e tutela degli interessi di tutte le parti coinvolte. La delibera del Consiglio Direttivo del Centro XXV Aprile dell’11 novembre 2024 evidenzia in particolare le ragioni di armonizzazione tra gli statuti delle due associazioni. Premesso che il Centro XXV Aprile contempla soci onorari collettivi, mentre lo statuto dell’A.I.C.I. ammette solo soci individuali, l’inquadramento dei soci collettivi del Centro come «Soci Simpatizzanti A.I.C.I.» è stata l’unica soluzione regolamentare per formalizzare la collaborazione senza alterare lo statuto dell’A.I.C.I. Questo compromesso, pur con limitazioni (assenza di elettorato attivo e passivo), permette il riconoscimento formale degli enti affiliati al Centro XXV Aprile. Atto Unilaterale Recettizio con Effetti Favorevoli: la convenzione si configura come un atto che produce effetti favorevoli dal momento in cui il destinatario ne ha conoscenza. Questa qualificazione giuridica sottolinea l’intento di facilitare e agevolare il processo di affiliazione, pur nel rispetto della volontà individuale.Tutela della Privacy (G.D.P.R.): l’attenzione alla normativa G.D.P.R. (Regolamento Ue 2016/679) è un pilastro fondamentale dell’accordo. La distinzione tra dati trattati come informazioni pubbliche (quelli delle persone giuridiche) e dati personali (in caso di opposizioni individuali) dimostra un approccio rigoroso alla protezione dei dati. L’obbligo per i Soci Collettivi di informare adeguatamente i propri membri sul loro status di Soci Simpatizzanti A.I.C.I. e sulla possibilità di opposizione rafforza il principio del consenso informato. Clausole di Aggregazione e Validità: la previsione di clausole che confermano la volontà di adesione dei singoli membri e la possibilità di nomina di un referente per il tesseramento sono espedienti normativi intelligenti per gestire il passaggio da una forma associativa collettiva a un riconoscimento individuale. La validità dell’affiliazione, subordinata all’assenza di opposizioni o alla tempestiva comunicazione delle variazioni, garantisce la costante attualità e accuratezza dei dati. Recesso e Revisione: la possibilità di recesso e la revisione annuale della convenzione sono garanzie di flessibilità e adattabilità. Queste clausole normative consentono alle parti di adeguare l’accordo a eventuali cambiamenti nel contesto associativo o normativo, assicurando la sostenibilità a lungo termine della collaborazione.
Beneficio in Rete per le Associazioni Coinvolte
Il cuore di questa convenzione risiede nel beneficio in rete che essa genera per le associazioni coinvolte. Essere già parte della rete fisica e virtuale del Centro XXV Aprile in quanto Socio Onorario, e quindi ottenere l’automatica inclusione come «Socio Simpatizzante A.I.C.I.», offre: Amplificazione della visibilità: le associazioni collettive beneficiano di una maggiore visibilità all’interno del network Centro XXV Aprile – A.I.C.I., accedendo a un pubblico più vasto e a nuove opportunità di collaborazione e promozione delle proprie attività. Accesso a risorse e servizi: la possibilità di partecipare a eventi, attività e usufruire dei servizi riservati ai membri A.I.C.I. amplia il ventaglio di opportunità per le associazioni e i loro membri. Questo può includere l’accesso a convenzioni, formazione, spazi o piattaforme di comunicazione. Networking e scambi di esperienze: l’integrazione facilita la creazione di nuove connessioni e il rafforzamento di quelle esistenti. Questo networking informale e formale è fondamentale per la crescita e l’innovazione, permettendo lo scambio di buone pratiche, la risoluzione di problemi comuni e la creazione di progetti congiunti. Rafforzamento della rappresentatività: essere parte di una rete più ampia e riconosciuta aumenta la capacità di advocacy delle singole associazioni. Le istanze e le esigenze dei membri possono essere veicolate con maggiore forza e autorevolezza, contribuendo a influenzare le politiche pubbliche e a promuovere gli interessi del settore. Riduzione degli oneri amministrativi: l’automatismo nell’affiliazione e il riconoscimento dei documenti di identificazione dell’associazione di appartenenza snelliscono le procedure e riducono il carico amministrativo sia per le associazioni sia per i singoli membri.
In conclusione, la convenzione tra il Centro XXV Aprile e l’A.I.C.I. rappresenta un esempio virtuoso di come la collaborazione tra associazioni possa essere strutturata in modo efficace e innovativo. Attraverso un sapiente equilibrio tra obiettivi sociologici di integrazione e un’attenta regolamentazione normativa, l’accordo crea un beneficio di rete significativo, dimostrando come la solidarietà e la sinergia siano leve fondamentali per la vitalità e il progresso del terzo settore.
SCHEMATIZZAZIONE DEL MODELLO
Di seguito si riporta una schematizzazione del modello proposto tratta dalla: 🌐 Sezione denominata LAB del Blog RETI SOCIALI & NETWORKING. Al suo interno, troverete modelli di approccio allo sviluppo di sinergie tra enti e/o sodalizi, sperimentati con ottimi risultati, tuttavia sempre in continua evoluzione e miglioramento.
CASE #1 UN MODELLO INNOVATIVO DI COLLABORAZIONE PER LA VALORIZZAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI: LA CONVENZIONE TRA CENTRO XXV APRILE E A.I.C.I.
La convenzione tra il Centro XXV Aprile e l’Associazione Italiana Combattenti Interalleati (A.I.C.I.) istituisce un modello di cooperazione innovativo, fondato su un Patto di Mutuo Riconoscimento e Alleanza. L’accordo consente l’integrazione automatica degli enti Soci Onorari Collettivi del CXXVA come Soci Simpatizzanti A.I.C.I., rafforzando la rete, promuovendo l’identità condivisa e creando valore sia sociologico che normativo. Punti chiave del modello:
Aspetti sociologici:- Rafforza l’identità collettiva e il senso di appartenenza.- Introduce il silenzio-assenso per semplificare l’adesione e superare barriere burocratiche.- Promuove una partecipazione indiretta a eventi e servizi A.I.C.I.- Crea un effetto rete sinergico, mantenendo l’autonomia dei singoli enti.
Aspetti normativi:- L’accordo armonizza gli statuti: A.I.C.I. accetta solo soci individuali; perciò, i collettivi del CXXVA diventano Soci Simpatizzanti.- È un atto unilaterale recettizio, efficace alla conoscenza del destinatario.- Rispetta il GDPR: tutela i dati personali e informa sui diritti di opposizione.- Prevede strumenti di adattamento come recesso, revisione annuale e nomina di referenti.
Benefici per le associazioni coinvolte:- Maggiore visibilità nel network condiviso.- Accesso a risorse e servizi A.I.C.I.- Opportunità di networking e collaborazione progettuale.- Rappresentatività potenziata nelle sedi istituzionali.- Semplificazione amministrativa grazie all’affiliazione automatica.ConclusioneLa convenzione rappresenta un modello replicabile per le realtà del Terzo Settore che desiderano crescere in rete, coniugando efficienza normativa, inclusione sociologica e valorizzazione reciproca.
Ing. Antonio Rossello, Dr. Hc in Sociologia e Dott. Franco Faggiano, EPS (Esperto Progettazione Sociale) soci dell’ASI (Associazione Sociologi Italiani)
Bibliografia di riferimento
Convenzione tra il Centro XXV Aprile e l’Associazione Italiana Combattenti Interalleati (A.I.C.I.) «SOCI ONORARI COLLETTIVI CENTRO XXV APRILE E SOCI SIMPATIZZANTI A.I.C.I.».
Statuto del Centro XXV Aprile (in particolare l’Art. 4 sui Soci Onorari).
Regolamento A.I.C.I. (in particolare l’Art. 9, Comma I.V. sui Soci Simpatizzanti).
Patto di Mutuo Riconoscimento e Alleanza del 2 febbraio 2020.
Disposizioni attuative del 21 aprile 2023.
Delibera del Consiglio Direttivo del Centro del 11 novembre 2024.
Verbale di Approvazione della Delibera del 11 novembre 2024 del Centro XXV Aprile.
Accettazione del Comitato Esecutivo di A.I.C.I. del 23 novembre 2024.
Regolamento Ue 2016/679 (G.D.P.R.).
Art. 1334 Codice civile.
Sitografia
Blog RETI SOCIALI & NETWORKING Sezione LAB https://retisocialienetworking.blogspot.com/p/lab.html
Sito del Centro XXV Aprile, pagina “Un modello innovativo” https://centroxxvaprile.blogspot.com/p/un-modello-innovativo.html
Una macchina può fare il lavoro di cinquanta uomini ordinari, ma nessuna macchina può fare il lavoro di un uomo straordinario. (Elbert Green Hubbard)
Negli ultimi decenni, l’evoluzione tecnologica ha introdotto innovazioni radicali nei processi produttivi e nei servizi. Tra queste, l’impiego di androidi nel mondo del lavoro rappresenta una delle trasformazioni più significative e controverse. Gli androidi, robot umanoidi dotati di intelligenza artificiale avanzata, stanno iniziando a occupare ruoli tradizionalmente riservati agli esseri umani. Questo fenomeno solleva interrogativi cruciali sull’impatto che avranno sulla società, sul lavoro e sulle relazioni umane. Uno degli effetti immediati dell’introduzione degli androidi è l’aumento della produttività. Gli androidi possono lavorare 24 ore su 24 senza bisogno di pause, ferie o retribuzione. Nei settori industriali, logistici e perfino nei servizi al cliente, i robot umanoidi garantiscono efficienza, precisione e affidabilità. Ciò comporta vantaggi economici significativi per le aziende, che possono ridurre i costi operativi e migliorare la competitività. L’aspetto più dibattuto riguarda però l’impatto occupazionale. Se da un lato l’automazione consente la creazione di nuovi ruoli altamente specializzati (come ingegneri robotici o programmatori di IA), dall’altro minaccia milioni di posti di lavoro tradizionali, soprattutto quelli ripetitivi o manuali. La sostituzione della manodopera umana con androidi potrebbe accentuare le disuguaglianze sociali, creando una spaccatura tra chi ha competenze tecnologiche avanzate e chi ne è privo.
L’ingresso degli androidi impone una riflessione sul significato stesso del lavoro. L’essere umano sarà spinto verso attività che richiedono creatività, empatia, pensiero critico e capacità relazionali — ambiti in cui, almeno per ora, gli androidi non possono competere pienamente. Questo potrebbe rappresentare un’opportunità per valorizzare aspetti del lavoro oggi poco riconosciuti e per sviluppare una nuova economia basata sull’intelligenza emotiva e culturale. L’utilizzo di androidi pone però sfide etiche complesse. Chi è responsabile se un androide commette un errore? Come garantire che non si sviluppino forme di discriminazione algoritmica? È giusto affidare l’assistenza agli anziani o l’educazione dei bambini a esseri artificiali? Questi interrogativi richiedono un quadro normativo chiaro e aggiornato, capace di proteggere i diritti umani e di regolamentare lo sviluppo e l’impiego dell’intelligenza artificiale.
Dal punto di vista sociale, la presenza crescente di androidi potrebbe modificare le dinamiche relazionali. In alcuni casi, potrebbero ridurre la solitudine, ad esempio attraverso la compagnia offerta agli anziani. In altri, però, potrebbero aumentare l’alienazione, sostituendo il contatto umano con interazioni artificiali. Il rischio è una progressiva perdita di coesione sociale e di empatia collettiva. L’integrazione degli androidi nel mondo del lavoro è una realtà sempre più concreta. Sebbene porti con sé benefici tangibili in termini di efficienza e innovazione, solleva interrogativi cruciali sull’equilibrio tra progresso tecnologico e benessere umano. Sarà fondamentale affrontare questa trasformazione con politiche lungimiranti, investimenti nella formazione e un’etica condivisa che metta l’essere umano al centro. Solo così potremo costruire una società in cui tecnologia e umanità possano evolvere insieme.
Franco Faggiano, EPS (Esperto Progettazione Sociale) socio dell’ASI (Associazione Sociologi Italiani) | Blog di divulgazione scientifica: retisocialienetworking.blogspot.com
Santiago non è la fine della strada, è l’inizio. (Paulo Coelho) Nella foto: Franco Faggiano mentre percorre il Cammino di Santiago
Il Cammino di Santiago di Compostela, una delle vie di pellegrinaggio più celebri al mondo, si estende per centinaia di chilometri, attraverso la Spagna, con diramazioni che partono anche da altri paesi europei. Sebbene storicamente legato alla religione cattolica e alla venerazione dell’apostolo Giacomo, oggi il Cammino è un fenomeno globale e polisemico, che attira ogni anno centinaia di migliaia di pellegrini e turisti da tutto il mondo. Dal punto di vista sociologico, il Cammino di Santiago rappresenta un interessante oggetto di studio. Esso incarna dinamiche complesse che riguardano la spiritualità postmoderna, il turismo esperienziale, la costruzione dell’identità individuale, la socialità temporanea e la riscoperta dei luoghi rurali. Questo articolo analizza il Cammino secondo queste lenti interpretative, cercando di comprendere perché continui a esercitare un così forte richiamo in una società sempre più secolarizzata, globalizzata e tecnologica. In molte società tradizionali, i riti di passaggio (come descritti da Arnold van Gennep e successivamente elaborati da Victor Turner) marcano i momenti cruciali dell’esistenza: nascita, pubertà, matrimonio, morte. Nella società contemporanea, però, questi riti sono spesso svuotati del loro significato o completamente assenti. Il Cammino di Santiago, pur non essendo ufficialmente un rito istituzionalizzato nella nostra cultura, ne ha assunto molte caratteristiche. Molti pellegrini intraprendono il Cammino in momenti di transizione personale: dopo un lutto, un divorzio, la perdita del lavoro, il pensionamento, o come passaggio simbolico verso l’età adulta. Il percorso diventa così uno spazio liminale, fuori dalle strutture quotidiane, dove l’individuo può riflettere, rinegoziare la propria identità e reintegrarsi nella società con una nuova consapevolezza. In questo senso, il Cammino può essere letto come una forma moderna di “rite of passage”, secolarizzato e volontario, che risponde a un bisogno di significato in una società spesso priva di riferimenti stabili.
Zygmunt Bauman ha descritto la nostra epoca come “modernità liquida”, caratterizzata da identità fluide e da relazioni instabili. Allo stesso modo, anche la spiritualità diventa “liquida”: non più legata a dogmi rigidi o istituzioni religiose, ma vissuta in modo personale, soggettivo e mutevole. Il Cammino di Santiago riflette questa trasformazione. Solo una minoranza dei pellegrini compie il percorso per motivi esplicitamente religiosi. La maggior parte lo fa per ragioni “spirituali” non codificate: bisogno di introspezione, desiderio di contatto con la natura, ricerca di autenticità, o semplice sfida fisica. Il Cammino diventa così un contenitore flessibile, capace di accogliere un’ampia varietà di significati: religioso, laico, culturale, sportivo. Questa pluralità riflette l’individualizzazione della fede tipica della modernità avanzata, in cui l’esperienza religiosa non è più imposta dall’esterno ma costruita attivamente dal soggetto. Un altro aspetto sociologicamente rilevante è la trasformazione del pellegrinaggio in forma di “turismo esperienziale”. In una società dominata dalla digitalizzazione e dalla vita urbana, cresce il bisogno di esperienze autentiche, corporee, lente. Il Cammino risponde a questa esigenza, offrendo un’esperienza concreta, immersiva, scandita dalla fatica fisica, dall’interazione con l’ambiente naturale e dal contatto diretto con altri viandanti. A differenza del turismo di massa, spesso standardizzato e passivo, il Cammino si basa sull’autenticità percepita. Anche quando è organizzato da agenzie o mediato da tecnologie (app, GPS, social media), mantiene una narrazione di “viaggio vero”, “esperienza trasformativa”, “ritorno all’essenziale”. Questo fenomeno si collega al concetto di “capitalismo simbolico”: il valore del Cammino non è solo economico ma anche simbolico, legato alla costruzione di un’identità narrativa. Chi compie il Cammino può raccontarlo come un’impresa personale, spesso mitizzata, che contribuisce alla propria autodefinizione.
Altra caratteristica sociologicamente rilevante del Cammino è la nascita di comunità effimere ma intense. Pellegrini di diverse nazionalità, età e provenienze sociali condividono per giorni o settimane esperienze quotidiane: camminare, dormire in rifugi, mangiare, affrontare difficoltà fisiche e psicologiche. Questa socialità è spesso orizzontale, priva di gerarchie rigide. I ruoli sociali tradizionali vengono sospesi: un manager può dormire accanto a uno studente o a un disoccupato, e tutti si ritrovano nella stessa condizione di pellegrini. In questo contesto nasce una forma di “communitas”, secondo la definizione di Victor Turner: una comunità spontanea e paritaria, basata sulla condivisione di uno stato liminale.Tuttavia, questa communitas è temporanea: si dissolve al termine del percorso. Ma l’intensità delle relazioni stabilite sul Cammino spesso lascia un segno profondo nei partecipanti, testimoniando il bisogno umano di connessione autentica al di là delle strutture sociali convenzionali. Il Cammino di Santiago ha anche un impatto sociale ed economico sui territori attraversati. Molti paesi e villaggi rurali, un tempo marginalizzati e in via di spopolamento, sono stati rivitalizzati grazie al flusso di pellegrini. Nascono o si rafforzano attività economiche legate all’accoglienza: albergues, ristoranti, negozi di artigianato. Tuttavia, non mancano le contraddizioni. Alcune comunità lamentano una “turistificazione” eccessiva, che altera l’autenticità locale e genera tensioni tra residenti e visitatori. Inoltre, la presenza stagionale e discontinua dei pellegrini rende difficile uno sviluppo strutturato e sostenibile. Da un punto di vista sociologico, questo fenomeno può essere interpretato come un esempio di “glocalizzazione”: un’interazione tra dinamiche globali (il Cammino come fenomeno internazionale) e risorse locali (paesaggi, cultura, ospitalità). La sfida consiste nel trovare un equilibrio tra valorizzazione e tutela, evitando la trasformazione del Cammino in una semplice “attrazione” turistica.
Il Cammino di Santiago, nella sua complessità, rappresenta un laboratorio privilegiato per l’analisi della società contemporanea. Esso incarna molte delle tensioni e delle trasformazioni tipiche della modernità avanzata: la crisi dei riti tradizionali, la ricerca di spiritualità individualizzata, il bisogno di autenticità, la riscoperta del corpo e del tempo lento, la socialità fluida e la connessione globale-local. Camminare verso Santiago oggi non significa solo percorrere un itinerario fisico, ma compiere un viaggio simbolico all’interno della propria identità e della società. Per questo, il Cammino continua ad attrarre pellegrini di ogni provenienza: perché offre una risposta, seppure temporanea e personale, a una domanda universale di senso.
Il Subbuteo è molto più di un semplice gioco da tavolo; è una vera e propria istituzione per gli appassionati di calcio e di strategia. Nato negli anni ’40 in Inghilterra, il Subbuteo ha conquistato il cuore di milioni di giocatori in tutto il mondo, diventando un simbolo di competizione e divertimento. Ma quali sono le sue origini e la sua storia? Il Subbuteo fu inventato da Peter Adolph nel 1947, inizialmente come un modo per ricreare le partite di calcio in miniatura. Il nome “Subbuteo” deriva da un uccello, il “Hobby”, che era il soggetto di un gioco di società che Adolph aveva creato in precedenza. Con il passare degli anni, il gioco si è evoluto, introducendo squadre, stadi e accessori sempre più dettagliati, diventando anche vero modellismo con la personalizzazione dei giocatori e la creazione di diorami. E come si gioca? Il gioco si basa su una semplice ma avvincente meccanica: i giocatori utilizzano miniature di calciatori montate su basi circolari per muoverli, colpendo con la punta del dito gli stessi, sul campo di gioco, e cercando di segnare gol contro l’avversario. Ogni giocatore può controllare la propria squadra, con particolari strategie gestendo le posizioni e le azioni al fine di ottenere la vittoria. Le partite possono essere giocate in modalità amichevole o in tornei ufficiali (locali, nazionali ed internazionali), dove la competizione è inevitabilmente serrata.
Uno degli aspetti più affascinanti del Subbuteo è il suo potere di unire le persone, ovvero l’aspetto sociale, essendo un microcosmo sociologico tra gioco, identità e comunità. Che si tratti di una partita tra amici in casa o di un torneo, il gioco crea un’atmosfera di convivialità e competizione amichevole. Molti giocatori formano legami duraturi attraverso il Subbuteo, condividendo non solo la passione per il calcio, ma anche momenti di divertimento e sfida. Infatti, negli ultimi anni, la comunità del Subbuteo ha visto una rinascita, con nuovi giocatori che si avvicinano al gioco grazie ad eventi, tornei e gruppi online. Le piattaforme social e i forum dedicati permettono agli appassionati di scambiarsi consigli e strategie, nonché miniature esclusive ed uniche. Fin dalla sua creazione, il Subbuteo ha rappresentato una miniaturizzazione del calcio, uno sport che ha forti connotazioni sociali e identitarie. I giocatori, le squadre, gli stadi in scala ridotta hanno permesso a milioni di appassionati di “vivere” il calcio anche fuori dal campo, riproducendo partite leggendarie o inventandone di nuove. In questo senso, il Subbuteo riflette il bisogno collettivo di appartenenza e la passione viscerale per il calcio, trasformandosi in una forma di espressione personale e culturale. Inoltre, dal punto di vista sociologico, chi gioca a Subbuteo partecipa ad una vera e propria sottocultura. Club ed associazioni si sono sviluppati ovunque, creando reti sociali strutturate, con regole, gerarchie, rituali e simboli condivisi. Questa dimensione collettiva va oltre il gioco stesso: i club diventano luoghi di socializzazione, di trasmissione di valori e tradizioni, dove si costruiscono legami intergenerazionali e si rafforza il senso di comunità.
Il Subbuteo, poi, è anche un contenitore di memoria e nostalgia. Per molti adulti, rappresenta un legame con l’infanzia e con un’epoca in cui il gioco fisico aveva un ruolo centrale nella crescita. Questo legame emotivo contribuisce alla costruzione dell’identità personale e sociale. Allo stesso tempo, collezionare squadre, costruire stadi personalizzati e “vivere” il gioco secondo le proprie regole è una forma di auto-rappresentazione e di narrazione del sé, simile a quella che si ritrova nei giochi di ruolo. Peraltro, pur essendo stato storicamente un gioco maschile, il Subbuteo sta attraversando una trasformazione. In alcune comunità emergono pratiche più inclusive, con la partecipazione crescente di donne e persone di ogni età. Questo cambiamento riflette dinamiche più ampie legate all’evoluzione dei ruoli di genere e all’apertura del mondo del gioco a nuove forme di partecipazione. Infine, con la diffusione dei videogiochi e del calcio virtuale, il Subbuteo potrebbe sembrare un’anomalia, eppure continua a sopravvivere e a rinnovarsi. La sua dimensione “analogica”, fisica e tattile, rappresenta una forma di resistenza culturale al digitale. Al tempo stesso, molte comunità hanno saputo ibridare tradizione e modernità, usando social network, streaming e forum online per mantenere vivo il dialogo e ampliare la partecipazione. Insomma, si può tranquillamente affermare che il Subbuteo è un gioco che trascende il tempo, continuando ad affascinare generazioni di giocatori. Che uno sia un veterano o sia un neofita, il Subbuteo offre un’esperienza di gioco coinvolgente e appassionante, sfidando i propri amici e vivendo l’emozione di una partita di calcio in miniatura, dove ogni mossa può fare la differenza!
dott. Franco Faggiano, EPS (esperto di progettazione sociale), membro dell’Associazione Sociologi Italiani | Blog: retisocialienetworking.blogspot.com
Il “rabbino più amato” e il “rabbino buono” era solito dire che due avvenimenti avevano segnato la sua vita: “Le leggi razziali e la creazione d’Israele”. Non si può non ricordare il suo sorriso tipicamente romano, i suoi occhi vispi e la sua naturale propensione non solo al dialogo ma alla pacificazione.
Classe 1915, figlio del rabbino livornese Alfredo Sabato, ancora giovanissimo, Elio iniziò presso il Collegio rabbinico di Livorno (allora diretto da suo padre Alfredo) sia gli studi ebraici sia, in parallelo, quelli liceali. E’ il 1938 quando Elio conseguì il primo livello del titolo di rabbino, quello di maskil (cólto). Negli anni precedenti aveva anche seguito gli studi universitari, condotti presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa. Il 5 luglio 1939 – nonostante le discriminazioni antiebraiche già in corso e l’opposizione del capo della commissione, Widar Cesarini Sforza – Toaff conseguì la laurea in legge, con una tesi su “Le società commerciali in Palestina”, relatore Lorenzo Mossa, docente di diritto commerciale. Nel 1938, il governo italiano aveva promulgato le prime leggi antiebraiche (le cosiddette leggi razziali), e l’anno seguente Elio espresse al padre l’intenzione di trasferirsi, come già avevano fatto i suoi fratelli; ma questi lo convinse a rimanere in Italia, affermando (soprattutto in vista delle dure prove a cui presumibilmente sarebbe stata sottoposta la comunità ebraica italiana): «Un rabbino non ha la stessa libertà di scelta degli altri. Un rabbino non abbandona mai la sua comunità». Nel 1951, dopo la morte del rabbino capo di Roma, David Prato, Toaff (che aveva allora 36 anni) fu chiamato a sostituirlo. In quanto rabbino capo della maggiore comunità ebraica del Paese, gradualmente assunse de facto il ruolo di capo spirituale dell’intero ebraismo d’Italia. E questa comunità non l’ha mai abbandonata. Non sono anni facili: gli ebrei sono una minoranza ma grazie alle capacità di relazionarsi sia con le autorità nazionali che con quelle cittadine, Toaff riesce a portare in risalto una complessa serie di problemi concernenti i diritti religiosi e civili degli ebrei, in particolare l’esenzione da mansioni lavorative o la convocazione a concorsi pubblici nei giorni delle festività ebraiche comandate. Toaff fu particolarmente attento alla promozione dell’istruzione ebraica, e durante il suo rabbinato, nel 1973, fu creato a Roma un liceo ebraico, il Renzo Levi, che si aggiunse alle scuole già esistenti (quella elementare, la Vittorio Polacco, e quella media, la Angelo Sacerdoti). Il ruolo di guida per il suo popolo lo incarna molto bene alla fine degli anni 50, quando a Roma gli ebrei hanno subito diverse aggressioni; immediatamente Toaff chiese l’intervento delle autorità di ristabilire e mantenere l’ordine. Fu, inoltre, promotore di provvedimenti volti ad assicurare, sia in quel momento, sia negli anni successivi, l’autodifesa della comunità di fronte alle provocazioni.
Il Rabbino Toaff è ricordato soprattutto perché dagli anni ’60 iniziò a tessere una tela di relazioni con il Vaticano che ha portato gradualmente la Chiesa Cattolica a cambiare la propria posizione nei confronti degli ebrei, che si manifestarono durante il pontificato di papa Giovanni XXIII (1958-63), e furono seguiti dalla promulgazione da parte di papa Paolo VI, nel 1965, della dichiarazione Nostra aetate (Nel nostro tempo). Il testo affermava (al punto 4) che «quanto è stato commesso durante la […] passione [di Gesù] non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo». Era un serio passo in avanti rispetto alla tradizionale accusa di deicidio nei confronti dell’intero popolo ebraico. Inoltre nel documento si condannava, per la prima volta in modo esplicito, l’antisemitismo: «La Chiesa […] deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque». L’azione di ricongiungimento tra Chiesa Cattolica ed ebraismo fu l’apertura della porta della sinagoga a Giovanni Paolo II in nome delle comuni verità bibliche. Ma questo non gli impedì di assumersi una certa responsabilità nell’attaccare la stampa cattolica che spargeva menzogne e odio su Israele.Così, nel 1988, Toaff accusò il Vaticano di condurre “una politica antisemita attraverso i mass media cattolici che demonizzano Israele e il sionismo”,Toaff accusa alcuni giornali cattolici di “antisemitismo di antica matrice religiosa, razzista, fascista che demonizza Israele, il sionismo, l’ebraismo e banalizza la più grande tragedia di questo secolo paragonandola a pur gravi manifestazioni di violenza israeliane. Peggio, si cerca di dimostrare che le vittime dell’Olocausto non erano poi cosi innocenti”. Perché lui stava sempre dalla parte di Israele. Abile e docile nel costruire rapporti diplomatici, eppure fermo e deciso nel difendere i diritti e la sicurezza degli ebrei.Gli anni difficili non mancano, come non manca il pericolo di odio e l’orrore vissuto che forse non va mai via dagli occhi per chi quell’orrore lo ha guardato dritto negli occhi.Vari sono stati gli episodi contro gli ebrei vissuti, affrontati e risolti da Toaff: Cgil di Luciano Lama, che aveva chiesto agli ebrei romani di “dissociarsi” da Israele. Toaff lo attaccò dopo lo sciagurato gesto di alcun esponenti della sinistra di lasciare una bara di cartone davanti alla Sinagoga di Roma, in coda a un corteo della Triplice. L’assassinio del bambino ebreo Stefano Taché per lo scoppio di una bomba palestinese il 9 ottobre 1982 nei pressi del Tempio sul Lungotevere, in occasione del giorno di Simchà Torah che conclude il ciclo annuale della lettura del Pentateuco e lo ricomincia, Toaff si scaglia duramente verso chi riteneva una frangia esigua di minoranza, per lui era un’“indegna esplosione di antisemitismo” che per lui rievocava il “lontano e infausto periodo che va dal 1939 al 1944”.Un evento che lo scosse duramente fu nel 1982 quando Yasser Arafat venne in visita a Roma e fu accolto dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini mentre il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini si era rifiutato di incontrare il leader dell’Olp e i segretari dei tre principali partiti (Dc, Pci e Psi) lo avevano accolto con gli onori di un capo di governo. a cui Toaff non si fece scrupolo a ricordare al Capo dello Stato italiano che il leader palestinese e i suoi seguaci avevano versato il sangue di molti ebrei e voleva distruggere tutta Israele.
L’eredità di Toaff è pesante, non solo per la comunità ebraica, ma per Roma, l’Italia e i rapporti diplomatici tra nazioni. Toaff ci ha insegnato a dialogare, e ci ha fatto capire per trovare la pace bisogna cercare i punti in comune che diventano forza, rispetto. Ci ha insegnato a non dimenticare, perché la memoria fa comunità, fa identità e se non sappiamo chi siamo è sempre difficile sapere dove si vuole andare. La pace è quando si ha coscienza della propria identità e si ha rispetto di quella degli altri. Ciao Elio, in questo momento storico manchi a tutti
Universo 25 è uno degli esperimenti più affascinanti, inquietanti e dibattuti nella storia della psicologia e dell’etologia. Condotto dallo scienziato americano John B. Calhoun negli anni ’60 e ’70, questo esperimento aveva l’obiettivo di studiare il comportamento sociale delle popolazioni animali in condizioni di sovrappopolazione e abbondanza di risorse. I risultati furono talmente estremi da spingere molti a considerare Universo 25 come una possibile metafora del destino dell’umanità.
L’esperimento. Universo 25 fu l’ultima e più celebre versione di una serie di studi simili condotti da Calhoun. L’esperimento prevedeva la creazione di un habitat artificiale ideale per una colonia di topi, un “paradiso dei roditori”: abbondanza illimitata di cibo e acqua, temperatura controllata, assenza di predatori e malattie, con spazio sufficiente per una popolazione di circa 4000 individui. Nel luglio 1968, otto topi (quattro maschi e quattro femmine) vennero introdotti in questo ambiente. Inizialmente, la colonia crebbe in modo rapido e sano. Tuttavia, dopo circa 600 giorni, la popolazione si stabilizzò attorno ai 2200 individui e cominciò un lento e inquietante declino.
Il “crollo del comportamento”. Una delle osservazioni più importanti fu il cosiddetto “behavioral sink” (abisso comportamentale). I topi, pur disponendo di tutte le risorse materiali necessarie, iniziarono a manifestare comportamenti anomali: aggressività estrema tra maschi; madri negligenti o violente, che spesso abbandonavano o uccidevano i propri cuccioli; isolamento sociale e apatia in molti individui; la comparsa dei cosiddetti “belli” (the beautiful ones): topi che si isolavano, non interagivano più con gli altri, non si riproducevano, e passavano il tempo a mangiare e pulirsi, privi di qualsiasi funzione sociale.Nonostante la disponibilità di cibo e sicurezza, la popolazione non riprese mai a crescere. Alla fine, l’intera colonia collassò e si estinse.
Le implicazioni. Calhoun vide in Universo 25 una rappresentazione simbolica della società umana. Secondo lui, il collasso della colonia non fu causato da carenze materiali, ma dalla rottura dei legami sociali, del significato dei ruoli e dalla perdita dello scopo. Una società iperstrutturata, iperprotetta e iperconcentrata, sosteneva Calhoun, avrebbe potuto portare alla stessa fine. Alcuni hanno interpretato Universo 25 come un ammonimento verso la sovrappopolazione e l’urbanizzazione estrema. Altri lo hanno criticato, affermando che l’esperimento non può essere applicato direttamente agli esseri umani, dotati di cultura, simbolismo e capacità di autocritica.
Critiche e rivalutazioni. Negli anni successivi, l’esperimento è stato ampiamente dibattuto. Alcuni studiosi hanno criticato la metodologia di Calhoun, sostenendo che l’ambiente, sebbene “ideale”, fosse comunque un sistema artificiale e limitato, incapace di rappresentare la complessità della società umana. Inoltre, la mancanza di stimoli cognitivi e sfide avrebbe contribuito al collasso comportamentale. Tuttavia, Universo 25 resta ancora oggi un monito importante nella riflessione su temi come l’alienazione sociale, il benessere psicologico collettivo, e il rapporto tra abbondanza materiale e salute mentale. Universo 25 è molto più di un semplice esperimento sui topi: è una riflessione simbolica e potente sul rischio di disintegrazione sociale in un mondo che, pur essendo ricco di risorse, può diventare povero di significato. Ci ricorda che la salute di una società non si misura solo in termini materiali, ma anche — e forse soprattutto — in termini relazionali, psicologici e culturali.
dott. Franco Faggiano, Esperto di progettazione sociale e socio ASI
blog di divulgazione scientifica: https://retisocialienetworking.blogspot.com/
Con l’avvicinarsi della Pasqua, si ricorda un rito che nella nostra tradizione era molto caro alle nonne, chi non ha mai sentito parlare delle “pulizie pasquali”? Anche quando ci si dedica con molta cura ai mestieri casalinghi ci si sente dire se quelle che si stanno facendo sono le pulizie pasquali. Con l’arrivo della nuova stagione nell’emisfero settentrionale, emerge una voglia contagiosa di far sparire le ragnatele ed eliminare il disordine. Le pulizie di primavera, una pulizia profonda della casa, sono una tradizione radicata nelle società di tutto il mondo, le cui radici risalgono ai tempi antichi.
In questo tempo solenne dal punto di vista religioso per Ebrei e Cristiani, che spesso coincide con l’arrivo della primavera, si sente la necessità di purificare la casa, ma vediamo perché. L’usanza delle pulizie di Pasqua deriva dalla tradizione ebraica di purificare la casa, tradizione che celebra la liberazione dalla schiavitù egizia, avvenuta circa 3.300 anni fa. L’usanza di fare una grande pulizia in casa, prima delle celebrazioni pasquali deriva da una prescrizione della Pasqua ebraica, Pesach (letteralmente “passaggio”), che nei giorni precedenti la festa impone una scrupolosa pulizia della casa per eliminare ogni più piccolo residuo di sostanze lievitate, infatti Pesach, la “Festa del passaggio” citata nella Bibbia, dura 7 giorni In Israele (8 giorni fuori dal Paese), inizia con la cena della prima sera, detta seder (“ordine”), in cui si cena con un preciso ordine, mangiando cibi che ricordano l’amarezza e il duro lavoro della schiavitù, come verdure amare e una miscela di datteri, noci, miele. Il pane azzimo e scondito ricorda invece che il popolo eletto dovette fuggire tanto in fretta dall’Egitto verso la Terra promessa, da non avere il tempo di far lievitare le pagnotte: ecco da dove deriva il detto “fare le pulizie di Pasqua”. Così, l’usanza delle pulizie di primavera nasce dalla necessità di eliminare i residui di lievito rimasti, dato il divieto di consumare o possedere alimenti lievitati durante l’intero periodo.
Oltre all’aspetto più pratico e religioso, fare le pulizie di primavera, ha un aspetto anche spirituale. Questo rito viene, infatti, associato ad un atto di pulizia spirituale in un rito di rinnovamento annuale con lo scopo di allontanare da sé qualsiasi negatività. Occorre inoltre sapere, che nelle famiglie ebraiche, non è solo la donna ad occuparsi delle pulizie, ma viene coinvolta l’intera famiglia, bambini compresi. Allo stesso modo, i cattolici puliscono gli altari nelle chiese il Giovedì Santo in vista del Venerdì Santo , che si tiene ogni anno in primavera, a marzo o aprile. Il Nowruz , celebrato intorno all’equinozio di primavera a marzo, prevede la tradizione chiamata khāne-takānī o “scuotere la casa”. Le persone lavavano vestiti, coperte e tessuti per prepararsi a questa festa che risale a circa 3.000 anni fa e che può essere fatta risalire allo Zoroastrismo, una delle prime religioni monoteiste del mondo. Anche in Russia, con l’arrivo della Pasqua ortodossa, è comune dedicarsi alla pulizia e alla decorazione della casa. Prima del Capodanno lunare , in Cina è consuetudine ripulire la casa dalla sfortuna e dalle disgrazie. Conosciuta come “spazzare la polvere”, la pulizia fa spazio alla fortuna e alla prosperità del nuovo anno, dice Patten. Le pulizie devono essere fatte prima della festività, in genere a gennaio o febbraio, poiché spazzare dopo i festeggiamenti è visto come una rimozione della buona sorte.
In Thailandia, durante il Songkran , in aprile, è consuetudine pulire a fondo case, scuole e spazi pubblici per purificarli in vista del Capodanno tailandese. Le persone si gettano acqua addosso per le strade per lavare via la sfortuna dell’anno precedente e sulle statue di Buddha per assicurarsi la fortuna per l’anno a venire. Sebbene il concetto di pulizie di primavera sia precedente alla tecnologia moderna, progressi come l’elettricità e gli elettrodomestici hanno influenzato la sua pratica. Ad esempio, prima delle luci elettriche, per illuminare e riscaldare le case ci si affidava al fuoco di carbone, olio e legna, che lasciava dietro di sé una notevole quantità di fuliggine. Le finestre venivano tenute ben chiuse per evitare l’ingresso di correnti d’aria mortali. In primavera era pragmatico aprire le finestre per arieggiare le case soffocanti, rimuovere la sporcizia e riparare i danni che si erano verificati durante i mesi invernali. Invenzioni come aspirapolvere, lavatrici e detergenti hanno reso il processo più efficiente e conveniente, consentendo una pulizia più profonda e accurata degli spazi abitativi.
Il comportamento umano è fortemente influenzato dai cicli della natura. Nei mesi più freddi abbiamo meno energie da dedicare a lavori come la pulizia profonda. Non si tratta di pigrizia: la luce del giorno limitata attiva l’ormone della melatonina , che ci fa dormire di più. Ma vi è anche un significato simbolico. Considerata come un “nuovo inizio”, questa tradizione simboleggia il passaggio dall’inattività della stagione invernale alla vibrante crescita della primavera. Le pulizie di primavera rappresentano un’occasione per dare nuova vita alla casa dopo i mesi invernali. Si tratta di un riordino approfondito che va oltre la pulizia quotidiana: si lavano tende, tappeti, finestre e superfici, si riordinano armadi e si eliminano oggetti inutilizzati. Questo processo non ha solo una funzione pratica, ma anche psicologica: rinnovare gli spazi domestici contribuisce a una sensazione di freschezza e benessere, in linea con il ciclo naturale della stagione primaverile. In conclusione, le pulizie di Pasqua e di primavera non sono solo una pratica igienica, ma un vero e proprio rito di passaggio che accomuna molte culture, segnando simbolicamente l’inizio di una nuova fase dell’anno, con freschezza e rinnovamento.
il blog di divulgazione scientifica che indaga il mondo delle reti sociali e del networking da una prospettiva sociologica.
Nel mondo iperconnesso di oggi, comprendere le dinamiche delle reti sociali è fondamentale per valorizzare il potenziale delle relazioni umane e professionali. Il blog “Reti sociali & Networking” rappresenta un punto di riferimento per studiosi, professionisti e appassionati di sociologia, offrendo contenuti di alta qualità su temi chiave, come l’analisi delle reti sociali, la sociologia relazionale e clinica, l’organizzazione delle associazioni e molto altro ancora.
Grazie alla collaborazione con i curatori, soci dell’Associazione Sociologi Italiani, uno in qualità di sociologo e l’altro di EPS (esperto di progettazione sociale), il blog ha approfondito gli elementi fondanti della rete del Centro XXV Aprile, contribuendo al suo sviluppo attraverso studi, esperienze e ricerche. Queste sinergie hanno permesso di migliorare e implementare la rete sociale del Centro, sia a livello nazionale che internazionale tramite delegazioni e sezioni territoriali. Gli articoli presenti su Reti sociali & Networking spaziano da approfondimenti teorici a casi pratici, offrendo una visione completa e aggiornata del settore. Tra i contenuti di spicco troviamo contributi sul tema dell’analisi delle Reti sociali, in particolare applicata al campo dell’associazionismo. Tra questi emergono le metodiche per elevare il riconoscimento e il prestigio delle associazioni locali e i profili legali e sociologici di strumenti attuativi originali di cooperazione interassociativa, quali i Patti di Mutuo Riconoscimento e Alleanza (PmReA) e i Patti di Scambio Associativo (PSA).
per approfondimenti è possibile visitare il blog all’indirizzo web:
retisocialienetworking.blogspot.com
Antonio Rossello (sociologo) e Franco Faggiano (EPS), soci Associazione Sociologi Italiani
ABSTRACT: I Patti di Scambio Associativo rappresentano una modalità innovativa di collaborazione tra associazioni, in cui enti giuridici si uniscono formalmente come soci collettivi per perseguire obiettivi comuni. Questi accordi consentono di ottimizzare le risorse, potenziare l’efficacia delle azioni sociali e promuovere un networking tra organizzazioni con finalità affini. L’articolo esplora i profili legali e sociologici di tali patti, analizzando la loro natura giuridica, i requisiti statutari e le opportunità di cooperazione che offrono, ma anche le sfide e criticità derivanti da potenziali conflitti di interesse e disparità di risorse. In tal modo, facendo seguito ad un precedente articolo dedicato ai Patti di Mutuo Riconoscimento e Alleanza, il presente lavoro si propone di offrire una comprensione completa del valore e delle implicazioni di questi strumenti, sia dal punto di vista normativo che sociale, per le associazioni che decidono di adottarli.
1. Profili legali dei patti di scambio associativo. Definizione e natura giuridica
I patti di scambio associativo sono accordi regolati dagli statuti delle associazioni coinvolte, che consentono a queste ultime di aderire come soci collettivi ai rispettivi enti partner. Tale adesione implica l’assunzione di diritti e obblighi previsti dal regolamento associativo, promuovendo un rapporto di collaborazione stabile e formalizzato.
Requisiti statutari. Affinché un’associazione possa sottoscrivere un patto di scambio associativo, il suo statuto deve prevedere:
• La possibilità di accogliere altre associazioni come soci, riconoscendo loro una posizione istituzionale all’interno dell’organizzazione.
• Procedure chiare per deliberare l’adesione, attraverso organi come il Consiglio Direttivo.
• Disposizioni per regolare la partecipazione dei soci collettivi agli organi sociali e alle attività.
Obblighi contrattuali. Dal punto di vista giuridico, il patto configura un rapporto contrattuale multilaterale, disciplinato dagli articoli del Codice Civile relativi ai contratti associativi. Le parti devono rispettare:
• Le clausole pattuite, che includono l’impegno a partecipare alle attività comuni e a condividere risorse.
• Le norme statutarie delle associazioni partner.
• La trasparenza nella gestione delle iniziative comuni e nella rendicontazione delle risorse condivise.
Durata e risoluzione. I patti di scambio associativo sono generalmente di durata indeterminata, con possibilità di rinnovo automatico. La risoluzione può avvenire per:
• Mutuo consenso tra le parti.
• Inadempimento grave di una delle associazioni.
• Risoluzione statutaria, in caso di modifiche agli statuti che rendano incompatibile l’adesione reciproca.
2. Profili sociologici dei patti di scambio associativo. Promozione di reti associative
Dal punto di vista sociologico, i patti di scambio associativo favoriscono la creazione di reti tra enti che condividono valori, finalità e obiettivi. Questo consente di:
• Rafforzare il capitale sociale: le associazioni coinvolte possono ampliare la propria rete di contatti, creando legami di fiducia e cooperazione.
• Migliorare l’efficacia delle azioni sociali: la condivisione di risorse, competenze ed esperienze consente di sviluppare progetti più strutturati e impattanti.
• Incrementare la visibilità: attraverso il patto, le associazioni possono ottenere maggiore riconoscimento pubblico, attirando nuovi soci e sostenitori.
Sfide e criticità. Tuttavia, l’adozione di patti di scambio associativo presenta alcune sfide:
• Conflitti di interesse: la reciproca adesione può generare situazioni di conflitto, specialmente in caso di divergenze sugli obiettivi strategici.
• Disparità di risorse: associazioni con mezzi o competenze limitate potrebbero non riuscire a contribuire equamente alle attività comuni, rischiando di essere marginalizzate.
• Rigidità istituzionale: l’adesione come socio collettivo comporta vincoli statutari che potrebbero limitare l’autonomia operativa delle parti.
3. Benefici e opportunità
Nonostante le criticità, i patti di scambio associativo rappresentano un’opportunità significativa per il mondo associativo:
• Ottimizzazione delle risorse: la collaborazione istituzionale consente di ridurre i costi e massimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili.
• Innovazione progettuale: le associazioni possono sviluppare iniziative congiunte innovative, combinando le rispettive competenze.
• Solidarietà e inclusione: i patti favoriscono la costruzione di una rete di solidarietà tra enti che operano per il bene comune.
Conclusioni. I patti di scambio associativo si collocano al crocevia tra diritto e sociologia, offrendo una soluzione strutturata per rafforzare le relazioni tra associazioni. Tuttavia, per garantirne il successo, è fondamentale che le parti adottino un approccio equilibrato, basato su trasparenza, rispetto reciproco e obiettivi condivisi. Solo così questi strumenti possono rappresentare un motore di innovazione e coesione sociale, contribuendo al rafforzamento del tessuto associativo.
SCHEMA TIPO DI: PATTO DI SCAMBIO ASSOCIATIVO TRA LE ASSOCIAZIONI A E B
PREMESSA
Le associazioni A e B, entrambe operanti nel settore [specificare settore, es. culturale, sociale, sportivo], riconoscendo la convergenza dei rispettivi obiettivi statutari e il comune impegno nella promozione di [specificare ambito, es. valori tradizionali, solidarietà sociale], decidono di instaurare un Patto di Scambio Associativo basato sulla figura del socio collettivo, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti. Tale figura consente a un ente giuridico di aderire a un’altra associazione per promuovere una collaborazione istituzionale e progettuale stabile e sinergica.
DATI UFFICIALI DELLE PARTI [Associazione A]
• Denominazione completa: [Nome ufficiale dell’associazione]
• Sede legale: [Indirizzo completo]
• Codice fiscale: [Codice fiscale]
• E-mail: [E-mail ufficiale]
• Presidente: [Nome e cognome]
• Scopo: [Breve descrizione della missione e delle finalità dell’associazione].
[Associazione B]
• Denominazione completa: [Nome ufficiale dell’associazione]
• Sede legale: [Indirizzo completo]
• Codice fiscale: [Codice fiscale]
• E-mail: [E-mail ufficiale]
• Presidente: [Nome e cognome]
• Scopo: [Breve descrizione della missione e delle finalità dell’associazione].
ARTICOLI DEL PATTO
Articolo 1:
Obiettivi
1. Rafforzare la collaborazione tra le associazioni A e B.
2. Promuovere la figura del socio collettivo come strumento per consolidare sinergie istituzionali e operative.
3. Condividere risorse, competenze ed esperienze per il perseguimento di finalità comuni.
Articolo 2:
Natura del Patto
1. Il Patto si fonda sull’adesione reciproca come soci collettivi, secondo le disposizioni statutarie di ciascuna associazione.
2. L’adesione non compromette l’autonomia gestionale e organizzativa delle parti.
3. La durata del Patto è fissata in [specificare periodo], con rinnovo automatico salvo comunicazione scritta entro [specificare termine] da una delle parti.
Articolo 3:
Modalità di Adesione
1. L’adesione sarà formalizzata mediante:
Delibera del Consiglio Direttivo di ciascuna associazione.
Registrazione delle adesioni nei rispettivi registri sociali.
2. Ogni associazione parteciperà alle assemblee e agli organi sociali dell’altra attraverso un rappresentante designato, che agirà in qualità di portavoce istituzionale.
Articolo 4:
Diritti e Doveri
1. Ogni associazione, come socio collettivo, ha diritto di:
Partecipare a tutte le attività e iniziative organizzate dall’altra.
Proporre progetti o attività congiunte.
2. Ogni associazione si impegna a:
Rispettare lo statuto e le normative interne dell’altra associazione.
Contribuire, nei limiti delle proprie capacità, al successo delle attività comuni.
Articolo 5:
Progetti e Iniziative Comuni
1. Le iniziative congiunte saranno pianificate e gestite da un Comitato di Coordinamento composto da membri designati da entrambe le associazioni.
2. Ogni progetto sarà disciplinato da accordi specifici che definiscano obiettivi, risorse e responsabilità.
Articolo 6
Risoluzione del Patto
1. Il Patto può essere risolto previa comunicazione scritta con un preavviso di [specificare periodo].
2. In caso di gravi inadempienze agli obblighi previsti, il Patto sarà risolto mediante delibera motivata dei Consigli Direttivi delle parti.
Articolo 7:
Disposizioni Finali
1. Il Patto sarà registrato negli archivi delle rispettive associazioni e comunicato ai soci.
2. Eventuali controversie saranno risolte tramite un Collegio Arbitrale, composto da un rappresentante per ciascuna associazione e un arbitro terzo scelto di comune accordo.
FIRMATO IL [data]
Per l’Associazione A [Nome, cognome e firma del Presidente o Legale Rappresentante]
Per l’Associazione B [Nome, cognome e firma del Presidente o Legale Rappresentante]
Approfondimenti. Caratteristiche degli statuti delle associazioni che sottoscrivono Patti di Scambio Associativo
Ecco una definizione chiara del concetto di socio collettivo per evidenziare l’idoneità del Patto alle associazioni che contemplano questa figura nei rispettivi statuti: un socio collettivo è un’entità giuridica, come un’altra associazione, fondazione, ente pubblico o privato, che entra a far parte di un’associazione in qualità di socio, ma non come individuo fisico. In altre parole, il socio collettivo è un’istituzione che aderisce a un’associazione, assumendo diritti e doveri statutari, ma senza il coinvolgimento diretto di persone fisiche, come accade per i soci ordinari. La figura del socio collettivo è una forma di adesione che consente a enti esterni di entrare in relazione ufficiale con l’associazione, partecipando alle sue attività, beneficiando dei suoi servizi, e contribuendo al raggiungimento degli obiettivi comuni, pur mantenendo una propria autonomia organizzativa. Di solito, i soci collettivi sono associati con il fine di cooperare su progetti comuni, condividere risorse, o promuovere obiettivi sociali, culturali o professionali specifici. Per garantire un’effettiva reciprocità tra le parti, è raccomandabile che non vengano richieste quote associative da nessuna delle parti per l’ammissione a soci collettivi, al fine di evitare che l’ingresso di enti esterni possa risultare condizionato da oneri economici che potrebbero compromettere la genuinità e l’equilibrio della cooperazione. Per sottoscrivere un Patto di Scambio Associativo, gli statuti delle associazioni devono possedere alcune caratteristiche essenziali:
• Apertura alla figura del socio collettivo: lo statuto deve prevedere la possibilità di far aderire altre associazioni o enti giuridici come soci con diritti specifici.
• Finalità compatibili e convergenti: gli obiettivi statutari devono essere in linea con quelli delle altre associazioni coinvolte, garantendo una sinergia tra le parti.
• Previsione di collaborazioni istituzionali: lo statuto deve contemplare meccanismi che agevolino collaborazioni operative, come l’organizzazione di progetti comuni, la partecipazione reciproca agli organi sociali o agli eventi.
• Capacità decisionale degli organi direttivi: il Consiglio Direttivo deve avere l’autonomia di deliberare l’adesione o l’accettazione di patti con altre associazioni.
• Trasparenza amministrativa e rendicontazione: per garantire la gestione chiara delle risorse condivise, gli statuti devono includere norme di trasparenza.
Alternative per le associazioni che non possono sottoscrivere Patti di Scambio Associativo
Se uno statuto non prevede l’adesione di soci collettivi, esistono alternative per instaurare rapporti di collaborazione:
Patti di Mutuo Riconoscimento e Alleanza
È un accordo non istituzionale, che non prevede l’adesione formale delle parti, ma si basa su un reciproco riconoscimento di intenti, scopi e obiettivi.
Le associazioni mantengono piena autonomia e non assumono obblighi reciproci di adesione, pur collaborando in modo strutturato su iniziative comuni.
Il patto può includere protocolli d’intesa per progetti specifici o attività periodiche.
Convenzioni operative:
Accordi temporanei o circoscritti per singole iniziative o eventi.
Non vincolano a un rapporto continuativo, ma consentono di lavorare insieme su specifici progetti.
Reti associative:
Creazione o adesione a network o reti di associazioni che collaborano senza l’obbligo di relazioni bilaterali dirette.
Differenze in termini di risultati tra i Patti di Scambio Associativo e i Patti di Mutuo Riconoscimento e Alleanza
Risultati principali:
• Patti di Scambio Associativo: favoriscono una collaborazione più stretta e duratura, utile per sviluppare progetti strutturati o condividere risorse nel lungo periodo. Tuttavia, richiedono maggiore impegno e compatibilità statutaria.
• Patti di Mutuo Riconoscimento e Alleanza: ideali per collaborazioni flessibili, senza vincoli istituzionali. Consentono di mantenere indipendenza e autonomia, ma possono risultare meno efficaci per obiettivi a lungo termine
Ing. Antonio Rossello, Dr. Hc in Sociologia e socio ASI