Tre domande a… Giorgio Benvenuto. “Dagli Stati Generali dell’economia molte parole e nessun piano operativo”

di Patrizio Paolinelli

Gli Stati generali dell’economia volgono al termine. Che bilancio si può fare?

Si ricorda quando nella Tv in bianco e nero s’interrompeva la programmazione e compariva l’Intervallo in cui si succedevano immagini agresti accompagnate da sonate di musica classica? Ecco, come nell’Intervallo della vecchia Tv a me gli Stati generali dell’economia hanno dato l’impressione di un’interruzione dal normale corso delle cose. Che per un governo significa decidere, programmare, agire. Insomma, si è trattato di una tanto encomiabile quanto generica kermesse da cui purtroppo non è venuta fuori nessuna indicazione concreta. Da giorni assistiamo alla sempre più stanca manifestazione di tanti buoni propositi, tante richieste e i problemi reali come quelli dell’Alitalia, delle acciaierie di Taranto e delle altre centinaia di vertenze sono rimasti fuori dalla porta. Da una settimana stiamo vedendo esponenti delle più diverse categorie produttive e delle forze sociali succedersi a Villa Pamphili. Ognuno dice la sua, il governo dà ragione a tutti e poi si torna a casa.  Dunque un bilancio di questa iniziativa non si può fare. Manca la materia prima, ossia un’idea progettuale per il Paese. Mi pare che gli Stati generali abbiano evidenziato una mancanza generalizzata di tale idea: non ce l’ha il governo, non ce l’hanno gli industriali e neanche le forze sociali. Dove, come secondo quali priorità spenderemo le nostre risorse e quelle ben più cospicue che verranno dall’Europa per rilanciare la nostra economia? Come me credo che molti cittadini si aspettassero dagli Stati generali una discussione intorno a questo tema.

Per diversi osservatori gli attacchi della Confindustria al governo sembrano parte di una strategia volta sia a drenare risorse pubbliche che a dettare l’agenda della politica. È d’accordo con questa interpretazione?

Cosa vuole che le dica… Più che strategicamente mi pare che la Confindustria si muova ancora come nella fase 1 della pandemia. Invece siamo nella fase 3, quella che deve rilanciare l’economia del Paese. E per questo rilancio oltre alle rivendicazioni di categoria, come hanno fatto tutti, occorre immaginare nuovi rapporti tra sindacato e imprenditori, lanciare idee per l’economia verde, organizzare il lavoro a distanza.  Invece si fa un gran rumore sul rimborso delle accise. Le quali, per carità, andranno pure rimborsate ma i problemi sono ben altri. Quello che mi lascia perplesso è vedere attori economici così significativi pensare in via prioritaria al proprio orticello. Certo, i titoli delle cose da fare li ripetono tutti, dall’ammodernamento delle infrastrutture agli investimenti nel digitale passando per lo snellimento della burocrazia, ma poi le pagine restano bianche. Nessuno svolge il tema e per di più i titoli dell’elenco si spostano in base agli interessi di questa o quella categoria.  D’altra parte non sono state definite prima le priorità e non ci si poteva aspettare molto di più. Si è discusso, il che va bene, ma non sono emerse novità. Nel frattempo i cittadini misurano uno scarto notevole tra le tante parole e i pochi fatti. Il risultato è lo stallo. Ogni tanto sento parlare di piani operativi, uno d’assaggio a luglio, poi a settembre si formuleranno delle ipotesi. E nel frattempo?

Da quanto dice mi sembra di capire che a suo giudizio ci troviamo in un pantano di parole e zero fatti…

Esattamente. La scuola non ha riaperto, gli impiegati del settore pubblico sono in larga misura ancora a casa, gli autobus vanno in giro vuoti. Siamo fermi in attesa che l’Europa metta mano al portafogli. Ma nella migliore delle ipotesi i finanziamenti arriveranno l’anno prossimo, peraltro in data ancora da definire. Anche il recentissimo summit europeo è finito in maniera interlocutoria nonostante gli entusiasmi di Conte. Questa è la situazione mentre da noi si parla di questi fondi europei come di un tesoro da distribuire.  In realtà si dovrebbe parlare di risorse da investire. La differenza è sostanziale. Perché se parliamo di investimenti dobbiamo decidere le direzioni verso cui indirizzarli. Detto in altri termini, bisogna fare delle scelte. Prenda i finanziamenti dell’Unione per il settore sanitario, che sono quelli più a portata di mano. Concretamente per cosa li useremo? Ancora non mi pare che le idee siano chiare. Mentre a settembre-ottobre potrebbe esserci una recrudescenza della pandemia e non possiamo continuare a confidare nell’eroismo del personale sanitario. Dobbiamo farci trovare preparati. L’equivoco di fondo è che l’Europa ci sosterrà solo se ci saranno dei progetti operativi. Cosa ci cui finora non s’è vista traccia. E non c’è da farsi illusioni: l’Unione non permetterà che il Piano di recupero si trasformi in una distribuzione a pioggia delle risorse che ci verranno assegnate.

Patrizio Paolinelli – giornalista e sociologo


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio