STORIE DI VITA: IL MAESTRO GIO BATTA LEPORI

di Tommaso Francesco Anastasio

Il maestro Gio Batta Lepori

Cosa rende umano l’uomo?

Marzo 2023. Fuori piove. Mozart mi fa compagnia mentre rimiro su internet quadri della scuola Labronica. Rapisce la mia attenzione un quadro del maestro Gio Batta Lepori dal titolo “Giornata di Pioggia”. Leggo la biografia dell’artista: padre di 10 figli che negli anni ’40 ha lasciato il suo lavoro di operaio per dedicarsi alla sua passione, l’arte. Numerosi riconoscimenti e mostre. Cerco su internet altre informazioni e trovo una fondazione a suo nome (1).Chiamo. Risponde Caterina, gentile e disponibile, nipote del maestro. Mi presento, chiedo informazioni sul quadro che ho successivamente acquistato e le chiedo se le va di raccontare la storia di vita di suo nonno. Entro in contatto con suo papà, Leonardo, nono figlio del Maestro, capisco che la gentilezza è di casa. Gli parlo del laboratorio di sociologia e psicologia clinica dell’ASI (2),che tra le sue attività vi è anche quella di osservatorio e di come suo papà, a mio avviso, sia stato uno dei precursori dell’attuale fenomeno del “quiet quitting” e di quanto mi affascina chi segue la propria “vocazione” prendendo scelte forti e coraggiose nonostante il contesto difficoltoso. James Hillman direbbe che si tratta di seguire la propria “ghianda” affinché diventi quercia. E ciò comporta anche lasciarsi guidare da quella “volontà involontaria” sartriana come ha fatto il Maestro Lepori.

Il fenomeno del quiet quitting, letteralmente “abbandono silenzioso”, ha assunto anche un significato di  “fare il minimo nel proprio lavoro” ma ritengo che questa concezione sia molto riduttiva rispetto alle possibili dinamiche psichiche che spingono gli individui a lavorare di meno oppure a dimettersi dal proprio posto di lavoro.

Dall’inizio della pandemia il numero degli under 40 che ha deciso di licenziarsi è aumentato del 26% (3).

Ma la domanda che mi pongo è: da quali lavori si dimettono? Per dimettersi devono essere dei lavoratori dipendenti.

I lavoratori, che siano operai, impiegati, quadri o dirigenti, debbono rispondere a dei processi industriali in cui “tutto è prevedibile e procedurizzato” e se da un lato ciò “deresponsabilizza” gli impiegati facendoli sentire “sollevati” da questa fuga dalla responsabilità, dall’altro rende l’uomo “passivo”, rendendolo molto vulnerabile a disagi psichici ed esistenziali. Il sistema uomo per funzionare bene necessita che siano soddisfatti sia i suoi bisogni materiali (cibo, casa, auto, ecc) che i suoi bisogni immateriali (ad esempio senso di vita e trascendenza).Se vengono solo soddisfatti i bisogni materiali, abbiamo individui che sopravvivono ma che di fatto non vivono.

Cosa rende umano l’uomo?

Ecco una lista, non esaustiva, delle possibili definizioni umane: Homo faber, capace di creare; Homo negans, capace di dire no; Homo ludens, capace di attività prive di “scopo”, di giocare; Homo sapiens, capace di una comprensione profonda dei fenomeni; Homo esperans, capace di sperare. Tra le esperienze propriamente umane possiamo citare: L’amore, la trascendenza, la fede, il coraggio, la speranza, la tenerezza e la compassione.

Ora, se l’uomo nella maggior parte della giornata non è nelle condizioni di creare, di dire di no, di fare attività “prive di scopo”, di riflettere o addirittura di sperare, che cosa diventa? Mi verrebbe da dire un “animal laborans” che piuttosto di chiedere “perchè?” chiede “come?” dinanzi a ogni ordine impartito. Ma l’uomo sente anche il bisogno di lavorare, di sentirsi utile, ma ha bisogno di un lavoro che lo faccia sentire “attivo” e non un mero ingranaggio passivo e alienato.

La soluzione quale sarebbe?

Rimando il lettore, per un’esaustiva risposta che non può essere affrontata in questa sede, alla lettura del testo “Rivoluzione della Speranza” di E. Fromm in cui vengono proposte delle iniziative per umanizzare la società e il lavoro. Ma fortunatamente non tutti siamo passivi, alcuni “ribelli” rendono viva e attiva la società emanando sapienza, forza e bellezza attraverso le loro “attività creative”, come nel caso del Maestro Gio Batta Lepori.

La mia indole da psicologo unita alla “sensibilità sociologica” mi ha spinto a indagare cosa avesse spinto e come avesse vissuto il Nostro Artista a lasciare il proprio lavoro “sicuro” per dedicarsi all’incertezza e alla trascendenza del mondo artistico. Quello che segue è il materiale gentilmente offerto dalla Fondazione Lepori a seguito di telefonate, corrispondenza a mezzo e-mail e anche a mezzo della romantica e nostalgica “posta ordinaria”. Leggiamo di un uomo che contiene, come tutti noi, l’intera umanità. Un uomo capace di conoscere la sua ombra e di integrarla nella propria personalità. Un uomo sublimato.Un uomo profondamente umano.

RELAZIONE DEI FIGLI SU GIO BATTA LEPORI (4)

Dopo la scomparsa di Gio Batta Lepori (2002) i figli, si sono dedicati alla sistemazione dell’archivio che ha permesso di leggere i numerosi scritti gelosamente custoditi nello studio dell’artista: racconti autobiografici, poesie, impressioni e ricordi dai quali risulta evidente la gran passione di Gio Batta per l’arte, di cui era veramente innamorato, come si evince dal racconto autobiografico intitolato NILDE (vedi monografia pag. 9). Molto attenta all’evolversi di questa sua passione era la moglie che lo ha sempre sostenuto, infondendogli coraggio e tanta fiducia e ammirazione. Mamma infatti aveva la chiara percezione che suo marito era un artista. (vedi vedi Monografia pag. 10 Metamorfosi) . Babbo spesso si alzava all’alba quindi, legata la cassetta dei colori alla sua bicicletta, andava alla ricerca del paesaggio campestre o marino per realizzare l’opera d’arte che era nata nella sua mente. Dopo il lavoro veniva a casa e dedicava ampi spazi alla famiglia.

Con noi era severo: vincolo della nostra obbedienza era il suo esempio. Era capace di empatia e dedizione. Ci ha educati alla nobiltà d’animo ,al rispetto reciproco e ad una comunicazione che escludeva qualsiasi tipo di volgarità. Nel tempo la severità si è stemperata e non era indifferente ai profondi cambiamenti della società. Un vero stress per lui era l’allestimento delle mostre personali dalle quali però riceveva grandi soddisfazioni sia dalla critica che dal pubblico. Affidava al suo segretario la parte commerciale dell’esposizione, perché babbo preferiva non rinunciare a dipingere. Fino agli anni 70 ha raccolto molti successi: gli estimatori venivano da varie parti d’Italia e questo ha significato un certo benessere. In seguito si è concentrato sulla pittura, lettura, scrittura, gustando pienamente la sua desiderata solitudine. Abbiamo ancora nelle orecchie il tic-tac della sua Olivetti (Lettera 22), alla quale affidava i suoi ricordi, le sue riflessioni e anche le barzellette con le quali ci faceva tanto ridere! Era allegro, anche un po’ burlone,un narratore simpatico e brillante, un tipo accentratore che con le sue imitazioni affascinava gli ascoltatori.

Spesso cantava, e dipingendo ascoltava musica classica; in particolare apprezzava il melodramma CAVALLERIA RUSTICANA del concittadino Pietro Mascagni, il cui figlio venne a conoscere babbo, perché aveva visto la realizzazione pittorica del brano “Inno alsole” dell’opera IRIS. Era il pubblico che lo rendeva esilarante, ma nello stesso tempo Gio Batta conosceva anche la malinconia e la nostalgia. (vedi allegato frasi autobiografiche tratte da LUCI e OMBRE ed altri scritti) Se riceveva critiche, ne soffriva; se per periodi piuttosto lunghi non venivano i “clienti” perdeva vitalità; come pure bastava un segno di apprezzamento per riprendere la consapevolezza del privilegio di essere portatore di un dono divino così grande e prezioso. Rimpiangeva gli anni di successo , conclusosi troppo presto. Noi figli nel 2009 abbiamo costituito una Fondazione per mantenere viva la sua figura, perchè ammiriamo e amiamo l’arte di babbo; ci sentiamo fruitori di beni preziosi, non solo artistici, ma umani e spirituali legati alla famiglia. Siamo circondati di bellezza: i suoi dipinti ci comunicano vitalità, serenità e anche fierezza.

FRASI AUTOBIOGRAFICHE TRATTE DAGLI SCRITTI DI GIO BATTA LEPORI (5)

L’energia e la vitalità che sprigionano dai quadri del Lepori da dove nascono? Forse il suo paesaggio interiore era tutta luce? No, anch’egli aveva le sue zone d’ombra ed era ben consapevole della fatica del vivere. Nel suo intimo erano presenti profonde lacerazioni, ferite, fragilità sentiva malinconia e più ancora la nostalgia, come emerge dai suoi scritti. La colonna sonora delle sue mostre personali era la musica di Mascagni proprio perché ci ritrovava consonanza fra il suo stato d’animo e il tono emotivo del compositore livornese.

Allora, perché tutta questa bellezza, tutta questa esultanza di colore e di vitalità nei suoi dipinti?

Gio Batta dipingeva dal vero, era capace di cogliere il linguaggio della natura, fatto di ordine, armonia, intelligenza, che gli donava meraviglia e stupore. La sua sensibilità molto viva, era dotata di numerose vibrazioni e captava dalla natura: le oscillazioni dell’aria, il sussurrare del vento, il canto degli uccelli, la miscela profumata di fiori e erbe, lo stormire delle fronde, il mormorio delle acque, i colori sfumati o intensi relativi all’ora e alla stagione, che gli offriva il paesaggio in cui si trovava e insieme al fuggevole gioco di luci e di ombre ne rimaneva sedotto. Tutto questo risvegliava in lui una ebbrezza che lo afferrava, dalla quale si sentiva preso e trattenuto come un ostaggio. Allora era incapace di sottrarsi all’imperativo interiore di esprimere la gioia della sua esperienza, di fronte alla perfetta costruzione architettonica che è la natura. Quindi Lepori non poteva che esprimere tutto questo che definiva “ misteriosa forza che dà potenza creatrice.”

A proposito della sua sensibilità è interessante questo suo ricordo: “Quand’ero ancora infante spesso trascorrevo la notte insonne per un fuoco che mi bruciava in petto. Cos’era quel fuoco che mi toglieva il sonno? Era paura, tormento o fantasia? No. Mi accorsi poi che era poesia, che presomi, mai più mi lasciò. Per tutta la vita fui legato al sentimento, al mistero che è tormento: è poesia”. possiamo tradurla con ESPRESSIONE ARTISTICA. “Il giorno in cui saprò imprimere sulla tela un attimo di ciò che sento, potrò dichiararmi soddisfatto di aver speso un’intera vita per l’arte “ Quindi quel fuoco di cui parla nel ricordo di bambino, è un insieme di sensazioni e di sentimenti incontenibili che urgevano nel suo animo e che desiderava ordinare ed esplicitare.

LEPORI facendo arte, ha compiuto il processo di conoscenza della sua interiorità : ha fatto evolvere ed ha integrato la sua ombra nella sua personalità e questo gli ha conferito una decisa identità, Quale? Quella dell’artista.

Sentiamo cosa dice a proposito dell’artista:

“L’uomo artista è per così dire un malato per un ideale che lo tormenterà ovunque: lo farà soffrire e godere, passando da un eden ad un tormento infernale con se stesso e con gli altri. L’artista ama la sua arte più di ogni altra cosa…” e quindi il suo più grande dolore è quando vede il disprezzo delle proprie opere”. LEPORI ha amato l’arte più della fama, del successo, del denaro. E ancora: “Gli artisti, quando lavorano, non appartengono più al mondo e spesso le loro mani sono guidate da una misteriosa forza che dà loro potenza creatrice”. Qual è la concezione dell’arte di L? Ce lo dice lui stesso: “L’arte ha un linguaggio misterioso che arriva al cuore dell’uomo, è sollevare da terra gli uomini e spiritualizzare la materia, a tal punto da rapire il pensiero degli uomini e portarlo in alto”. Arte dunque come attività spirituale, come linguaggio universale capace di far vibrare in ogni persona gli aspetti belli, nobili, consoni alla sua dignità , quindi secondo L. l’arte contribuisce ad umanizzare l’uomo, ogni uomo, e a farlo sentire parte di quell’unica avventura che è il cammino dell’umanità.

Tommaso Francesco Anastasio

Materiale offerto gentilmente dalla Fondazione Gio Batta Lepori

Tommaso Francesco Anastasio insieme alle opere  “Giornata di Pioggia”  e “La Legnaia” del Maestro Gio Batta Lepori

1 https://www.leporigiobatta.it/

2 https://www.asi-sociology.com/e-learning/laboratorio-di-sociologia-e-psicologia-clinica/

3 https://www.ilgiornale.it/news/economia/quiet-quitting-italiani-vedono-lavoro-2079246.html

4 Ricevuta via mail dalla Fondazione Lepori il 12 aprile 2023.

5 Allegato ricevuto via mail dalla Fondazione Lepori il 12 aprile 2023.


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