SIGNIFICATO E VALENZA DEL CONCETTO DELLA “PENA” AI GIORNI NOSTRI

di Francesca Santostefano

“Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un esseresensibile. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.“C. BEccaria”

<==Dott.sa Francesca Santostefano

Cesare Beccaria, noto giurista vissuto attorno alla metà del Settecento, in pieno fulgore illuminista, divenuto famoso per l’opera “Dei delitti e delle pene” testo ancora oggi usato come esempio nell’ambito penale, ove viene condotta un’analisi sia politica che giuridica attorno al concetto di “pena di morte”, sulla base del razionalismo ed utilitarismo pragmatico usuale in quel periodo. Il concetto di pena di morte all’epoca era molto esteso e vissuto con molto timore in quanto per un semplice reato (come il commettere un furto o mancare di rispetto verso un’autorità) veniva inflitta conseguentemente una pena rigida che talvolta prevedeva l’utilizzo di torture sino a condurre alla morte del detenuto.

Durante il decorso del tempo tale concetto ha subito enormi modifiche soprattutto nel sentire comune, partendo dal presupposto che il concetto di pena è connesso, anzi si trova in una vera e propria simbiosi con il concetto di sanzione (punizione prevista per chi non osserva una normativa o un ordine) mentre per pena si intende in diritto una sanzione predisposta per la violazione di un precetto penale comminata secondo il diritto penale. È erogata dall’autorità giudiziaria, con le forme e le garanzie previste dalla legge. Altresì si parla spesso della cosiddetta sanzione coattiva appunto imposta dalla legge. Loco ove vengono inflitte le pene o sanzioni coattive (proporzionate appunto al reato commesso) è il sistema carcerario; la Costituzione Italiana sancisce all’art. 27 co. 3 che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” (una sorta di quid pluris in melius ove viene appunto intesa, la pena,  in maniera propositiva nell’ambito del reinserimento del detenuto nel contesto sociale e civile).

Da tale formulazione si ricava uno dei fondamentali principi del nostro ordinamento penale il quale costituisce altresì l’espressione di una delle basilari funzioni della pena stessa. Infatti oggigiorno il carcere si riconferma essere il modello dominante di sanzione penale, luogo ove avviene la rieducazione del condannato. Da un  punto di vista storico durante il secondo dopoguerra la situazione di disagio degli istituti penitenziari fu aggravata dal fatto che in questa fase storica si registrò in Italia il picco di criminalità più elevato del ‘900. Venne inoltre applicata contro i criminali di guerra e i collaborazionisti una serie di normative speciali che determinarono l’effetto di affollare ulteriormente le carceri (dando luogo anche a fenomeni di protesta collettiva dei carcerati molto drammatici).

Questa iniziale fase di stallo e compressione dell’idea rieducativa della pena comincia ad essere superata negli anni ’60, è proprio in questo clima storico e culturale che vengono emanate la legge 26 luglio 1975, n. 354, intitolata ≪Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative della libertà≫ ed il relativo ≪Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.”

Per la prima volta il carcere viene visto in un’ottica di occasione data al recluso di reinserirsi nella società e non inteso solo come luogo di reclusione e sofferenza. Il detenuto diviene un soggetto che non deve solo “subire” ma essere al contempo partecipe attivamente e viene visto come il fine vero e proprio dell’istituzione carceraria.  La legge sull’ordinamento penitenziario promosse dunque strumenti di risocializzazione (i cosiddetti agenti socializzanti) come l’istruzione, le attività culturali, religiose ed anche lavorative, cercando di far vivere il detenuto il più possibile un decorso normale vissuto precedentemente prima dell’esperienza carceraria. Inoltre venne promosso anche il contatto del detenuto verso l’esterno, mediante colloqui riservati con i familiari, l’utilizzo dei mezzi di informazione, ecc..

Tuttavia oggi nell’ordinamento italiano spesso a prevaricare vi sono delle ingiustizie infondate, vengono commessi reati gravi, ma nonostante alla base vi siano tali gravità le condanne inflitte sono piuttosto effimere e poco concise, non sono proporzionate al reato commesso anche grazie ai benefici derivanti dall’adozione del rito abbreviato e fino a poco tempo fa del concordato in appello, le pene venivano ridotte di oltre due  terzi (La Malapianta, Gratteri N; p.16). Nell’opera del sociologo M. Foucault “Sorvegliare e punire, la nascita della prigione egli espone il contrasto tra due forme di punizione: il pubblico supplizio, violento e caotico, e la pedante programmazione giornaliera prevista per gli internati in una prigione agli albori del XIX secolo. La tesi di Foucault è che la legge era considerata un’estensione del corpo del sovrano, pertanto era pienamente logico che la vendetta si incarnasse nella violazione dell’integrità fisica (corpo) del condannato.

I prigionieri, secondo quanto illustrato nell’opera, sarebbero stati costretti a svolgere lavori che riflettevano i loro crimini, in tal modo fornendo alla società una riparazione per le loro deviazioni. Attualmente i crimini nella società aumentano con una rapidità tale in concomitanza al mutamento sociale che il sistema sta attraversando, secondo l’Istat le rapine sono diminuite del 30 % nell’UE tra il 2012 e il 2017. Nel 2017 sono stati commessi 4 300 omicidi volontari e 589 000 aggressioni nell’UEappunto sono sorti nuovi crimini connessi al femminicidio, alle baby gang, cyber bullismo ecc. e studiare questi nuovi casi diviene rilevante in modo tale da escogitare sanzioni esemplificative connesse a tali gravità.

Dott.ssa Francesca Santostefano – Sociologa, specializzanda in SAOC (Scienze delle amministrazioni e delle organizzazioni complesse, Counselor Sociolostico ASI.


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