L’IMPORTANZA DEI SOCIOLOGI NELLA GESTIONE DELLE EMERGENZE: PREVENZIONE E CORONAVIRUS

“ LA PREVENZIONE ”

La prevenzione è un’attività silenziosa.

Se nessuno si accorge che manca

significa che sta funzionando.

Per attivare

una cultura di prevenzione

bisogna saper leggere e saper far crescere agli altri

nuovi metodi di lettura di se stessi e del mondo …

Gridare, parlare, mostrare e contare

non sono prevenzione,

ma rituali magici

tramite i quali

una cultura fortifica la propria indifferenza verso i deboli,

seppellendoli sotto il monumento della celebrazione…

E’ difficile

che una cultura amante del chiasso e dei grandi titoli

possa desiderare

un’effettiva attività di prevenzione …

(da “Ideee strane sulla normalità” -di M. Buscema-)

 

sonia ASIIl nostro Paese oggi più che mai, è scosso da un’emergenza che sta scuotendo l’opinione pubblica in generale e il singolo in particolare. Stati d’umore altalenanti si intervallano continuamente alla luce delle notizie diffuse a mezzo stampa e che circolano velocemente sui social. La difficoltà nel riconoscere le fonti attendibili da quelle che non sono tali, la fragilità di un pensiero critico e la facile malleabilità psicologica, rendono gli individui vittime dell’informazione distorta ancor prima che vittime dell’emergenza coronavirus vera e propria. Ogni individuo RE-AGISCE (cioè mette in atto una azione di risposta), per affrontare la catastrofe in atto, allo scopo di tornare quanto prima alla sua rassicurante quotidianità. Le sue azioni di risposta saranno però diverse a seconda della personalità, del vissuto, delle esperienze pregresse, delle conoscenze acquisite e del sistema sociale di cui fa parte. A ciò va aggiunto che l’emergenza trasforma, “sic et nunc”, i normali individui in attori diversi sullo scenario dell’evento: vittime, soccorritori e  spettatori. Le loro diverse risposte emotive e cognitive potranno favorire o rendere ancor più difficoltosa l’opera di soccorso, il superamento della fase di emergenza e il ritorno alla normalità.

Da un punto di vista antropologico il concetto di emergenza è un costrutto culturale, finalizzato alla comprensione degli accadimenti, dei cambiamenti e delle conseguenze che il verificarsi di un determinato fenomeno produce entro un contesto sociale specifico (Calhoun, 2010). L’uso del concetto di emergenza ha conosciuto negli ultimi quarant’anni un aumento esponenziale, determinando nuove modalità di pensare e rendere comprensibile il mondo (Fassin e Pandolfi, 2010). Con la parola “emergenza” ci si riferisce cognitivamente a catastrofi, conflitti, fenomeni destabilizzanti, crisi e, in generale, a tutte quelle situazioni caratterizzate da un alto grado di sofferenza umana. Il lemma descrive un evento improvviso e imprevedibile che da un lato, nel suo verificarsi, mina la normalità e l’equilibrio interni ad una società, causando sofferenza, dolore e pericolo; dall’altro, necessita di una risposta urgente e tempestiva.

L’emergenza, definita anche come “evento determinato da un agente fisico, che produce un impatto distruttivo sul territorio in cui si manifesta, la cui entità dipende sia dalle caratteristiche fisiche e fenomenologiche dell’evento stesso, sia dalla struttura socio-politica preesistente nel territorio di riferimento” o definita come “l’insorgere di un evento critico che interrompe la normalità e il ciclo del vissuto emozionale ed esistenziale dell’individuo”, induce a pensare che non sia solo l’agente fisico in sé, ma anche la capacità di reazione del sistema -del singolo individuo e del gruppo sociale- a determinarla. Ovvero, la memoria del vissuto e la sub-cultura del disastro insieme a ciò che ognuno di noi è, consentono di vivere l’emergenza e farvi fronte con modalità diverse. Nella risposta al pericolo, il livello emotivo gioca un ruolo tanto più elevato quanto più è confuso o carente il livello cognitivo.

La conoscenza dei possibili rischi e delle modalità con cui affrontarli, divengono allora elementi di estrema importanza per il singolo individuo e per la comunità di cui fa parte. Scopo prioritario è rendere ogni singolo cittadino consapevole dei rischi cui potrebbe essere soggetto il territorio in cui vive, perché possa affrontarli con più efficaci “strumenti” personali e possa assumere un ruolo attivo. La conoscenza e la preparazione , si pongono quindi in un tempo che necessariamente precede l’emergenza, ovvero si pongono nel momento della prevenzione.

Nel predisporre le attività di prevenzione, è importante sapere cosa sta accadendo a livello di costruzione di significati a livello sociale:

  • una scarsa e spesso non corretta conoscenza degli elementi significativi e rilevanti della situazione del territorio in cui vive e dei rischi prioritari;
  • una scarsa conoscenza, spesso falsata da quanto diffuso dai mass-media, dell’evento accaduto, delle reali strutture che sono effettivamente in grado di operare e delle modalità di intervento delle stesse;
  • – una scarsa capacità di utilizzo delle strutture locali, perché manca il coinvolgimento diretto di tutta la comunità, anche se solo per quel po’ che ognuno potrebbe fare;
  • una mancanza di fiducia nei confronti delle Istituzioni;
  • un elevato coinvolgimento ed investimento emotivo, al verificarsi di un evento reale o anche solo “annunciato”, che porta a facili cambi di prospettiva e allarmismo generalizzato.
  • la difficoltà a mettere in atto comportamenti di autoprotezione e di attivare risposte adeguate alla situazione (viene o sovrastimata, o sottovalutata);
  • una falsata percezione del rischio
  • un diffuso atteggiamento di individualismo.

Un sistema sociale i cui membri presentino tali “caratteristiche”, è un sistema estremamente vulnerabile, che non ha ancora fatta propria una dimensione “cognitiva” dell’emergenza. La prima conseguenza di questa vulnerabilità è il panico. Il Panico è il livello estremo della paura: risultato dell’incapacità temporanea dell’individuo di controllarla che si traduce in un comportamento in genere dannoso per la sua salvaguardia; è la sensazione acuta che impedisce all’organismo di elaborare una strategia di salvezza, moltiplica in modo esponenziale il numero delle vittime, porta a reazioni primitive di fuga incontrollata e una volta scatenato non si argina. Il panico provoca l’abbassamento -fino anche al livello zero- dello stato di coscienza, della soglia di attenzione, della soglia di vigilanza, della facoltà di ragionamento e della capacità del corpo di rispondere ai comandi del cervello.

Nel momento in cui le persone si trovano a vivere l’emergenza, fra i tanti “bisogni” che emergono vi è anche quello di “sapere che cosa è accaduto” e “sapere che cosa bisogna fare”; perché in situazioni “dominate dal mutamento e dall’incertezza”, solo la conoscenza consente di razionalizzare l’accaduto, offrendo maggiori garanzie per gestire in modo meno emotivo l’evento, così da ridurre in modo significativo il danno. COMUNICAZIONE in linguistica è: TRASMISSIONE DI INFORMAZIONE MEDIANTE MESSAGGI DA UN EMITTENTE AD UN RICEVENTE Non necessariamente solo VERBALE, come si è in genere portati a pensare nella maggior parte dei casi, ma anche NON-VERBALE (che tanta rilevanza può assumere in situazioni “precarie” e/o particolari) Nella comunicazione vi è sempre: – un ASPETTO TECNICO – un ASPETTO RELAZIONALE ognuno dei quali ha un livello tecnico e un livello pratico. Se dunque consideriamo la COMUNICAZIONE una TRASMISSIONE DI INFORMAZIONI, mediante MESSAGGI da un emittente ad un ricevente dobbiamo ricordare che è importante definire: CHI dice qualcosa CHE COSA dice IN CHE MODO viene detto e/o dato il messaggio A CHI viene rivolto il messaggio CON QUALI effetti A CHE SCOPO viene detto, ovvero: qual è l’ OBIETTIVO In emergenza, ci sono talmente tante e diverse informazioni in ingresso e in uscita, che l’individuo rischia di non sapere più cos’è vero e cosa non lo è. In emergenza l’informazione diventa anch’essa un bisogno fondamentale, perché “l’essere a conoscenza” di quanto è accaduto e di ciò che si deve fare, serve a ridurre lo stato di ansia che sempre prende le “vittime”; ma non solo loro. In emergenza informare ed ancor più ESSERE INFORMATI significa “RAZIONALIZZARE” il problema e, quindi, divenire consapevoli e coscienti che il problema esiste. La COMUNICAZIONE è strategica per la messa in atto di comportamenti adattivi che consentono di vivere nell’emergenza. COMUNICARE, PRODUCE SEMPRE UN EFFETTO IMPARARE A GESTIRE LA COMUNICAZIONE E IMPARARE A GOVERNARE I PROCESSI INFORMATIVI E’ ELEMENTO ESSENZIALE NELLA GESTIONE DELL’EMERGENZA.

La sociologia presenta una letteratura ricca in merito alle situazioni di emergenza. Le scienze sociali hanno sondato i risvolti e le implicazioni culturali degli eventi inattesi e catastrofici in grado di modificare, anche radicalmente, l’identità sociale degli individui. Citando i padri della sociologia, per Emile Durkheim (1858-1917), lo stato di anomia, cioè la mancanza di norme e di regolatori sociali in grado di contenere la disgregazione della solidarietà sociale, costituisce il pericolo maggiore per l’armonia delle comunità (Durkheim, 1897). Un cambiamento improvviso o un evento inaspettato possono determinare stati di anomia acuta, potenzialmente letali per la coesione sociale.

Teorie importanti sono state prodotte anche sul dramma sociale (Turner, 1982) e sul trauma culturale (Alexander, 2004). Secondo queste interpretazioni, la traumaticità degli eventi non sarebbe una caratteristica intrinseca all’evento, ma un prodotto della sua rappresentazione. Ad essere traumatizzante per le collettività, sarebbero cioè la narrazione e la rappresentazione degli eventi, più che gli eventi in sé. La catastrofe,  quindi, diventa un laboratorio di produzione di significati, di strutturazione di particolari relazioni sociali e anche di articolazione del conflitto tra gruppi sociali opposti che è importante analizzare allo scopo di affinare le strategie operative di intervento.

Nel dibattito pubblico si sta facendo sempre più concreta l’idea di ricorrere alle competenze di esperti, quali psicologi e sociologi, in grado di spiegare ai cittadini cosa sta succedendo in termini scientifici, indicando le linee fondamentali da seguire per gestire in maniera organica e sistematica il panico e le emergenze sociali.

Per questa ragione, ritengo che l’ASI (Associazione Sociologi Italiani), associazione di categoria che vanta adesioni da tutta Italia e può contare molteplici figure di rilievo al suo interno dalle competenze trasversali e multidisciplinari, debba mettere al servizio della Regione Calabria le proprie competenze per fronteggiare quella che oggi sembra essere un’emergenza “dormiente” nella nostra regione, ma che potrebbe avere risvolti inaspettati per le quali è necessario mettere in atto misure preventive di contenimento.

Dott.ssa Sonia Angelisi, sociologa e ricercatrice indipendente


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