LA GIUSTIZIA E IL BENE GIURIDICAMENTE TUTELATO

Nuova foto Marco LilliCon il presente contributo propongo un tema che renderà appagati alcuni e probabilmente insoddisfatti molti altri, perché la domanda che si potrebbero porre è: ma con tutti i problemi che ha la giustizia italiana, dove si trovano risorse e tempo per trattare certi casi?L’oggetto in esame riguarda un pollaiolo, qui inteso come proprietario e allevatore di galline ovaiole, il qualche veniva condannato dal giudice del merito «perché, per crudeltà e senza necessità, con il proprio fucile regolarmente detenuto, aveva sparato» e ucciso un cane razza Springer Spaniel Inglese, responsabile, il cane, di essersi intrufolato nel pollaio di sua proprietà e aver fatto strage di galline.La questione arriva al vaglio della Corte di Cassazione, dove i giudici di legittimità, nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto dall’uccisore del cane, hanno di fatto reso definitiva la sentenza di condanna, così motivando: «La Corte territoriale ha […] osservato che, nella specie, difettava in concreto la necessità di uccidere il cane, perché lo stesso aveva già azzannato la gallina e stava uscendo dalla proprietà dell’imputato quando questi gli aveva sparato, con la conseguenza che il pericolo poteva considerarsi in atto al momento dell’aggressione della gallina, ma cessato, siccome la gallina era stata presa ed il cane si stava allontanando con la preda».Inoltre, prosegue la sentenza: «la morte della gallina, animale da cortile destinato alla produzione di uova o alla macellazione, non rappresentava un danno giuridicamente apprezzabile tale da giustificare l’uccisione del cane, animale non solo di maggior valore economico, ma soprattutto d’affezione, e quindi tutelato»; perciò, si legge ancora: «il danno patrimoniale dell’imputato poteva essere risarcito con la dazione del controvalore della gallina, come già avvenuto in un’occasione, mentre l’uccisione del cane, come si poteva arguire anche dalla testimonianza della moglie dell’imputato, costituiva un’immotivata ritorsione per le reiterate molestie recate dai cacciatori».

E non è tutto, poiché: «Quanto all’elemento psicologico, la persona offesa ha dichiarato che l’imputato aveva affermato che “lui i cani che entravano nella sua proprietà li uccideva”, frase che l’imputato stesso non aveva contestato. La Corte territoriale ha quindi concluso che l’imputato non aveva sparato al cane perché stava difendendo la sua proprietà ma solo per punirlo dei danni ricevuti e dell’invasione della sua proprietà. Del resto, la moglie aveva riferito che ben quattro galline ovaiole erano state uccise dai cani» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, Sentenza n. 49672/2018, decisa il 26 aprile 2018).Ebbene, fin qui l’evento squisitamente giuridico dal punto di vista tecnico del diritto, ma ciò che a me interessa porre all’attenzione del lettore, seppur in sintesi, è uno dei punti focali della questione trattata, che sembra rinvenirsi proprio nel fatto che l’aggressore, il cane, non è stato attinto dal colpo di fucile dell’allevatore di galline nel momento in cui faceva razzia dei pennuti, bensì mentre si dava alla fuga, e che quindi non venendosi a creare quella situazione di immediato pericolo per l’intero pollaio, la reazione dell’uomo uccisore risultò abnorme.Ora, la si pensi pure come si vuole, ma se si tentasse di mettere in relazione la fattispecie giuridica appena narrata con tutta una serie di attività propagandistiche di chi cerca di far credere che nel nostro Paese sia possibile uno stravolgimento dell’attuale norma sulla legittima difesa, allora credo che realmente ci si possa rendere conto dell’inconsistenza del contenuto dell’attuale testo unificato per i disegni di legge in materia di legittima difesa, approvato il 24 ottobre 2018 dal Senato e ora all’esame della Camera, il quale, se così resta, credo che ben poco cambierà la situazione rispetto ad oggi.

In verità, a parte l’effetto mediatico, tutto sembra preludere verso una certa continuità nel lasciare al giudice una sconfinata discrezionalità nel decidere, che difficilmente si discosterà dalla prevalente giurisprudenza, ovvero particolarmente contraria al concetto di difendersi offendendo.In sostanza: se in termini di autodifesa, della persona o di un bene proprio, il concetto di immediato pericolo risulta avere valore giuridico all’indirizzo di un animale, pensate voi che a maggior ragione non venga tenuto in considerazione quando si spara ad una persona?E allora il suggerimento è, e resta, quello della prudenza difronte certi slogan.

Dott. Marco LILLI – sociologo e criminologo


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio