IMMIGRAZIONE, NESSUN COMPROMESSO: VENGA ESPULSO CHI RIFIUTA LA NUOVA TENDOPOLI

LA C  SETTE sociologia onwebIl rifiuto degli immigrati di trasferirsi nella nuova tendopoli di San Ferdinando, recentemente realizzata per dare dignità ai lavoratori agricoli stagionali, non deve essere considerato un fulmine a ciel sereno. Non aver voluto o saputo leggere i segnali provenienti dal vecchio ghetto, dove sfruttamento e intolleranza furono tra le cause della rivolta di Rosarno del 2010, è stato un grande errore delle istituzioni, della politica e della società civile.La realizzazione della nuova tendopoli, diventata realtà solo grazie all’infaticabile opera e alla determinazione dell’attuale Prefetto di Reggio Calabria, restituisce dignità ai lavoratori stagionali e crea le premesse per ripristinare l’autorità dello Stato rispetto ad un fenomeno di illegalità per lungo tempo tollerato.E, diciamolo pure, il ghetto dei braccianti agricoli della Piana di Gioia Tauro continua ad essere materia di scontro politico, vetrina di populismi, cavallo di battaglia degli imbonitori di certa società civile. Il campo immigrati, da sempre, è uno spazio fisico senza regole: una sorta di zona franca, un territorio gestito dalle gerarchie che si sono formate senza alcuna delega democratica e, cosa ancora più grave, in violazione delle norme che sono alla base del nostro sistema repubblicano.

Il rifiuto in questione non è altro che la conseguenza di un coacervo di interessi, non escluso quello riconducibile alla criminalità comune e organizzata. Questo sistema illegale si è cristallizzato ed oggi lo Stato, che ha deciso di mettere ordine con il ripristino della sua sovranità, si trova a dover fare i conti con resistenze sostenute anche da chi predica l’eguaglianza che vorrebbe realizzare attraverso atti di disobbedienza. Il rispetto delle regole vale sia per gli italiani, dunque anche per gli abitanti della Piana di Gioia Tauro, che per gli immigrati, altrimenti le deroghe provocano una reazione a catena di piccole e grandi illegalità. Sull’immigrazione non è consentita la presenza di enclave. Chi non ha intenzione di rispettare le nostre leggi venga spedito via senza sé e senza ma. La solidarietà bisogna meritarsela e l’accoglienza deve anche tener conto degli interessi legittimi del territorio ospitante. Dunque, nessun compromesso per riportare tutti gli immigrati nella nuova tendopoli. E soprattutto niente eccezioni per cucine speciali che sono un alibi per la delocalizzazione, dal vecchio al nuovo accampamento, di forme di ristorazione illegale somministrata senza autorizzazioni di natura amministrativa e senza precise garanzie igienico -sanitarie.Da tempo i sociologi calabresi, attraverso le loro associazioni, tentano, purtroppo inutilmente, di far capire alle amministrazioni locali la necessità di realizzare una mappa della situazione esistente all’interno dell’accampamento in questione dove vige un’arcaica forma di “divisione del lavoro” che si basa sulla forza di gruppi o di singoli immigrati. Qualcuno li chiama “leader” che dalle disagiate condizioni di gran parte degli ospiti traggono benefici economici e prestigio.In una notte di tre anni fa, grazie all’aiuto della CGIL di Gioia Tauro e in particolare di Celeste Lo Giacco, telecamera in spalla entrammo sia nella tendopoli sia nell’ex cartiera. E il reportage, dal taglio sociologico, fu mandato in onda nel contesto del programma “Filo Diretto” rubrica settimanale di una emittente televisiva regionale.

auditorium 8Quello che Michele Albanese, grande conoscitore delle dinamiche socio –economiche della Piana di Gioia Tauro, ha riscritto sabato su il Quotidiano del Sud, all’epoca lo documentammo nei novanta minuti di trasmissione: il “bazar”, lo “spaccio FOTO PLATEA VIBOalimentare”, l’officina per la riparazione delle biciclette, e finanche la vendita dell’acqua fredda e calda con tariffe a scaglione rispetto alla quantità richiesta. Un sospetto di quella notte si appuntò su un rifugio di fortuna: uno strano via vai come fosse un luogo di meretricio. Nel buio fummo “invitati” a spegnere le telecamere. In quel programma parlammo del sistema dei caporali, delle gerarchie e di altri aspetti umani e sociali di quell’enclave: riserva di manodopera bracciantile che il mercato locale non garantisce ormai da tempo.In Calabria, e non solo qui, solo quando si parla di ‘ndrangheta, di boss, di picciotti, di dubbi sulla massoneria l’opinione pubblica si mobilità, mentre se vengono denunciati altri gravi fatti sociali l’allarme non è degno di essere preso in considerazione. Gli SPRAR aumentano e l’immigrazione continua ad essere un business. Sulla condizione degli immigrati, l’Associazione Sociologi Italiani, i sindacati regionali di CGIL, CISL e UIL e le associazioni di immigrati, in un recente passato hanno organizzato ben tre manifestazioni provinciali (quella svoltasi nell’auditorium della scuola della Polizia di Stato di Vibo Valentia ha registrato la partecipazione di oltre 400 immigrati provenienti da tutta la Calabria), ma si sono ritrovati soli: nessun prefetto, nessun questore, nessun sindaco. Presente la Regione Calabria, con Giovanni Mannoccio, e la Chiesa con mons. Peppino Fiorillo.Lo stesso tentativo di collaborazione i sociologi lo stanno portano avanti da quasi un anno con il Comune di Rosarno, al quale hanno offerto le loro competenze per la mappatura dei bisogni del territorio anche rispetto alla presenza degli immigrati, ma si è arenato per la latitanza della locale amministrazione comunale e del Sindaco in particolare.Da tempo consideriamo l’immigrato una risorsa, non un privilegiato o, cosa ancora più grave, un’occasione di business a beneficio di certe associazioni costituite ad hoc, di caporali indigeni o di colore.

Antonio Latella , Presidente Nazionale dell’Associazione Sociologi Italiani

 

 


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