Il futuro del lavoro? L’ozio creativo

di Patrizio Paolinelli

Da diversi decenni il lavoro è un tema di cui si discute moltissimo nella sfera pubblica e nelle conversazioni private per molti motivi. I principali sono: la sua mancanza, la sua precarizzazione, il fenomeno della deindustrializzazione, quello della delocalizzazione, infine, lo spettro della disoccupazione tecnologica. Spettro che inizia a preoccupare anche professioni ad alto contenuto di sapere. Cosa è accaduto? Cosa sta accadendo? Cosa accadrà? A tali domande risponde Domenico De Masi in un ponderoso volume intitolato “Il lavoro nel XXI secolo” (Einaudi, Torino, 2018, pagg., 819, 24,00 euro).

Pur scrivendo un testo integralmente nuovo in questo libro il sociologo campano sintetizza le sue tante opere precedenti offrendo al lettore il compendio di una vita di studi e di ricerche. Già di per sé un’iniziativa del genere è meritoria. Ma lo è ancor più per il modo con cui il tema del lavoro è affrontato, ossia in una prospettiva storica e da un punto di vista sociologico. Sul piano storico De Masi ripercorre il percorso del lavoro dalla sua biblica condanna ai nostri giorni.

Mentre sul piano sociologico il lavoro non è osservato come un fattore isolato dalle restanti istituzioni. Al contrario, sono continui i rimandi alla dimensione politica e culturale secondo un approccio in virtù del quale il ruolo del lavoro e le sue trasformazioni non si spiegano se non attraverso la lettura del con Pur scrivendo un testo integralmente nuovo in questo libro il sociologo campano sintetizza le sue tante opere precedenti offrendo al lettore il compendio di una vita di studi e di ricerche. Già di per sé un’iniziativa del genere è meritoria. Ma lo è ancor più per il modo con cui il tema del lavoro è affrontato, ossia in una prospettiva storica e da un punto di vista sociologico. Sul piano storico De Masi ripercorre il percorso del lavoro dalla sua biblica condanna ai nostri giorni. testo sociale in cui agiscono. Si tratta di una lezione di metodo molto importante. Soprattutto oggi. Oggi che il dibattito pubblico sul lavoro è fagocitato da un economicismo arrogante, che il più delle volte parla in astratto, e molto autoritario, che presuppone il neoliberismo come l’unico modo per organizzare sia i processi di produzione sia i processi di riproduzione sociale.

Proprio per il grande respiro che caratterizza “Il lavoro nel XXI secolo” vale la pena ripercorrerne a volo d’uccello alcuni passaggi principali in modo da illustrare la complessità del fenomeno lavoro. Complessità che il più delle volte non percepiamo intendendo con lavoro il semplice gesto di timbrare il cartellino in fabbrica o in ufficio. Per questo motivo il lettore non si senta ingannato se del lavoro ai nostri giorni si parla solo nell’ultima parte del libro. Lo scopo di De Masi è di tipo pedagogico. Ossia accompagnare il lettore percorrendo la lunga strada che il lavoro ha compiuto dalla sua millenaria dimensione rurale a quella bicentenaria industriale fino all’attuale fase definita post-industriale. Un’altra lezione di metodo. E cioè, considerare il presente come figlio del passato perché senza memoria storica non lo si comprende. Certo, si può non essere d’accordo con De Masi su opinioni e giudizi seminati qua e là nelle centinaia di pagine che compongono la sua fatica. In alcuni casi si possono individuare limiti e in altri gli si può imputare una certa mancanza di obiettività. Ma, detto questo, gli va riconosciuto che ogni capitolo del suo libro è ricco di riferimenti, stimolante e propedeutico a successive letture di approfondimento. Insomma, un ottimo trampolino di lancio per un dibattito su un tema che interessa e qualche volta affligge tutti noi.

In estrema sintesi la riflessione di De Masi si concentra sul concetto di lavoro, ovvero sul valore ch’esso assume nelle diverse culture. Presenta così le interpretazioni laiche e religiose che hanno caratterizzato l’Occidente industrializzato: ossia l’interpretazione liberale, che con Smith considera il lavoro come un valore incorporato nei prodotti che realizza; l’interpretazione di Marx, il quale fa propria la spiegazione di Smith e aggiunge che il lavoro costituisce l’essenza dell’uomo; infine, la posizione della Chiesa Cattolica, che con la Rerum Novarum di Leone XIII considera il lavoro come riscatto dal peccato originale.

De Masi volge poi lo sguardo verso Oriente, soffermandosi sul significato del lavoro in India, Cina, Giappone e nel mondo musulmano. Come si può leggere le differenze sono sorprendenti pur essendo ormai il nostro pianeta unificato dalla cultura capitalistica. Cultura che a sua volta si distingue al proprio interno in relazione alla storia, alla religione, alla filosofia, all’idea di nazione e così via.

Non poteva ovviamente mancare un breve capitolo sul modo con cui la sociologia ha osservato il lavoro. E qui inizia a manifestarsi la posizione di De Masi. Posizione critica nei confronti dei suoi colleghi, in particolare di Luciano Gallino, da cui lo divide la visione prevalentemente industriale di quest’ultimo, mentre De Masi nel corso dei suoi studi ha focalizzato la propria attenzione sul lavoro intellettuale e creativo.

La seconda e la terza parte del libro di De Masi sono rispettivamente dedicate al lavoro nella società preindustriale e nella società industriale occupando la maggior quantità di pagine del volume (quasi 400). Dalla loro lettura emergono altri concetti di lavoro rispetto a quelli che abbiamo ereditato dai liberisti, dai marxisti e dai credenti. Nell’antichità classica, per esempio, erano gli schiavi a lavorare, mentre i cittadini, ossia gli uomini liberi di sesso maschile, si dedicavano all’amministrazione della cosa pubblica, alla politica, alla guerra e non potevano essere distolti da queste attività per coltivare la terra, costruire strade, case e così via. In quell’epoca il lavoro non era considerato una cosa nobile e questa concezione sarà prevalente fino alla rivoluzione industriale, che al contrario nobilita il lavoro ponendolo al centro della società e dell’identità degli individui.

In poco più di duecento anni la società industriale, aggregatasi intorno ai fronti contrapposti della borghesia e del proletariato, genera un nuovo modello: la società postindustriale. La quale si distingue dalla precedente per la sostituzione del lavoro delle braccia con quello della mente e per la produzione di beni immateriali: servizi, informazioni, cultura. Stiamo parlando della nostra società. Società in cui produttività e produzione aumentano sempre di più grazie all’istruzione, alla scienza e alla tecnologia. Ma il lavoro è ancora gestito con i criteri della società industriale. Ragion per cui abbiamo alti tassi di disoccupazione, precariato, povertà. Come superare la contraddizione di un lavoro postindustriale gestito con criteri industriali? Tramite l’ozio creativo. Ossia un mix di lavoro, studio e gioco.

A giudizio di De Masi la società postindustriale ha tutte le carte in regola per realizzare questa nuova condizione umana in cui il lavoro non sarà più al centro della vita degli individui. In questa direzione vanno le sue “Undici tesi sul lavoro nel XXI secolo”. Tesi in cui si sostiene, tra l’altro, che il futuro sarà libero dal lavoro, che le macchine svolgeranno quasi tutto il lavoro fisico e buona parte di quello intellettuale, che agli individui resterà il monopolio delle attività creative, che avremo più libertà, agiatezza e felicità. Questa posizione ci sembra un’evoluzione della teoria sociologica che tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso immaginava l’avvento di una società del tempo libero. Non andò così, com’è noto. Ma mai dire mai. E se gli scenari prospettati da De Masi si trasformeranno in prassi saremo i primi a essere contenti.

Patrizio Paolinelli, Via Po economia, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro, 16 settembre 2020,


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