“I CANNIBALI DI MAO”, MARCO LUPIS RACCONTA LA NUOVA CINA ALLA CONQUISTA DEL MONDO

Cina-Terre-rare-i-cannibali-di-mao-marco-lupis-714x1024“Come mai la Cina, fino a ieri produttore di mercanzia a basso costo, oggi domina il mercato high-tech mondiale, si impone come attore globale, assume il controllo economico e finanziario di intere nazioni ed è in grado di ‘richiamare all’ordine’ persino gli Stati Uniti d’America?”. La risposta la troviamo ne “I cannibali di Mao”, un libro di Marco Lupis edito dalla Rubbettino Editore.  Questo volume sulla “Nuova Cina alla conquista del mondo” lo trovai nella mia abituale visita alla “farmacia della mente” (la Nuova Ave di Fabio Saraceno) poco prima della fine di luglio di quest’anno. Ma la fretta – era l’orario di chiusura della più antica libreria di Reggio Calabria, dove in bella vista c’è una foto di Corrado Alvaro con tanto di dedica- sbarrò la porta a qualsiasi tentazione. La grafica ammiccante della copertina del volume però rimase impressa nella mia mente, assieme al proposito di approfondire il contenuto della pubblicazione.

Nella seconda metà di agosto, nel corso di una passeggiata serale nell’abituale soggiorno estivo a Camigliatello Silano, nel piccolo anfiteatro situato nella parte terminale di via Roma, “ritrovai quasi per caso un vecchio amico”: Marco Lupis che non vedevo da oltre dieci anni.  In un partecipato dibattito, moderato da Antonio Cavallaro, dell’ufficio stampa della Rubbettino, Lupis raccontava la sua lunga permanenza in terra cinese: “Cominciando da quell’alba umida e rovente  del 1995 – quando Marco, giovane reporter poco più che trentenne – atterrava per la prima volta nella sua vita nel vecchio aeroporto  ‘Kai Tak’ di Hong Kong, lembo di terra in Cina,  allora ancora saldamente  colonia di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra, ed aveva  inizio così quella che Lupis definisce “una vera storia d’amore , vissuta non con un’altra persona, ma con un continente, l’Asia e con un popolo in particolare: i cinesi”.A Hong Kong, Marco – salvo brevi pause – è ancora di casa da dove, come corrispondente di importanti testate italiane e della Rai, ha raccontato “l’attualità più stringente, gli avvenimenti più imprevisti e curiosi e quella diversità” che rende unica la Cina.

MARCO LUPIS FOTO Il ricordo di quei pochi minuti della sera del 21 agosto 2019 rimane vergato dalla dedica dell’autore sul libro: “Ad Antonio, vecchio amico ritrovato quasi per caso”.   Un incontro, quasi un confronto, tra due vecchi amici e colleghi che hanno grande nostalgia di un mondo fatto di ricerca della notizia, di scarpinate quotidiane, di contatti umani (non virtuali) con le fonti e, soprattutto, di rispetto per colleghi, lettori e appartenenti a culture diverse dalla nostra. I nostri pensieri si integrarono e Marco, precedendomi, esclamò: “Antonio, il giornalismo è finito”. In un flashback   ritrovai la citazione di Indro Montanelli: “Questo sono e questo voglio restare: soltanto un giornalista, un testimone del mio tempo”.  Le testimonianze  di quel tempo, il mio tempo,  fermatesi ai primi vagiti   del XXI secolo, appaiono oggi delle semplici e interessate narrazioni, quasi delle fake news.Una libera e personale riflessione: probabilmente anche Marco Lupis rimpiange il giornalismo integro da contaminazioni sovraniste- populiste e dalle discriminazioni dell’attuale società consumistica dove i beni materiali “valgono” più della dignità delle persone.

I Cannibali di Mao è un volume ricco “di notizie e di avventure, di emozioni, testimonianze e anche di ironia”. Si tratta di “un ininterrotto reportage lungo venticinque anni e un irripetibile viaggio, ma soprattutto è l’appassionante romanzo della storia umana di un giornalista, di un uomo, che ha attraversato le trasformazioni e gli sconvolgimenti degli ultimi decenni in Cina, e per questo è in grado, più di molti altri, di aiutarci a comprendere l’attualità e i pericoli rappresentati dalla Cina di oggi”.Secondo Marco Lupis: “Mentre la Cina si appresta a festeggiare i 70 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese – il prossimo martedì 1° ottobre – ovvero la nascita dell’attuale Cina moderna, un silenzio assordante si leva dalla comunità internazionale, che sembra avere del tutto ‘dimenticato’ quanto essa rimanga la nazione più illiberale, meno democratica e più totalitaria del Mondo (con l’eccezione poco significativa della Corea del Nord). Una nazione, tra l’altro, fondata su decine di milioni – alcuni storici affermano, non senza ragione, che siano centinaia di milioni – di morti innocenti. Basti soltanto pensare a quelli causati dalla follia di Mao durante ‘il Grande Balzo in Avanti’, quando la sua folle corsa all’industrializzazione a ogni costo causò una carestia di tale dimensione da ridurre decine e decine di milioni di cinesi alla fame e alla morte per fame. Fino al verificarsi di quei terribili episodi di cannibalismo, ormai documentati dalla Storia.
Non si debba pensare che la Cina di oggi, quella che sembra una nazione moderna, ipertecnologica, tesa ad imporre ad ogni costo una sua nuova ‘governance’ globale, sia in realtà radicalmente diversa da quella di quei tempi atroci, o che abbia mai inteso disconoscere e prendere le distanze dalle tragedie del maoismo. Al contrario, il presidente-a-vita Xi Jinping, nei suoi scritti ormai entrati a far parte della Costituzione, non rinnega quegli orrori, ma rivendica le scelte passate come quelle fondanti – e le uniche possibili – che hanno consentito alla Cina di diventare quella che è diventata oggi: l’unico esempio nella Storia di dittatura (globale) del danaro.E siccome ‘pecunia non olet’, inutile aspettarsi che questo imminente anniversario, che Pechino intende celebrare in pompa magna con festeggiamenti epocali, possa diventare l’occasione per un serio ripensamento dei rapporti tra l’Occidente e la nuova Cina. Semmai, – conclude Lupis – come ho scritto nel chiudere il mio nuovo libro ‘I Cannibali di Mao – la nuova Cina alla conquista del Mondo’: una cosa sembra certa e cioè che, a meno di inediti e ad oggi assolutamente imprevedibili sconvolgimenti geopolitici globali,  presto o tardi, verremo anche noi ‘assimilati’ e diventeremo tutti ‘comunisti’ cinesi”.

 

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Antonio Latella -Giornalista e sociologo

Presidente nazionale dell’Associazione Sociologi Italiani


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