Empatici non si nasce, si diventa 📤

“Se gli uomini definiscono reali certe situazioni esse saranno reali nelle loro conseguenze”

( W. Thomas)

Roberta Cavallaro

Empatici non si nasce, si diventa. Il termine empatia indica la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” ancor prima di vivere la medesima circostanza di gioia o dolore; è la capacità di “sentire dentro” lo stato d’animo del mondo che ci circonda, assorbendolo come per osmosi.

Il Covid-19 è una delle tante tragedie al quale il nostro pianeta ha dovuto assistere ed è proprio su questa azione che vorrei soffermarmi. L’azione di assistere implica l’essere presente, lo stare in un posto e dare il proprio contributo. Quanti modi ha l’essere umano di assistere? Credo che le risposte siano sommariamente due: attivamente o passivamente. Guardare il mondo solo con gli occhi è l’assistenza passiva, quella che permette di raccontare il dato di fatto, invece sentire il mondo con l’empatia è l’assistenza attiva. L’empatia non è un super potere, ma una peculiarità della specie umana quanto di quella animale che attiva i neuroni specchio. Le ricerche scientifiche degli anni ‘80 parlano di componenti viscero-motori che consentono di reagire a stimoli che non sono indirizzati direttamente a noi. L’allenamento dell’empatia potrebbe dunque garantire una più ampia reazione che superi le normali condizioni affinché questi neuroni si attivino, oltrepassando la necessaria condivisione spazio-temporale. Il teorema di W. Thomas trova il suo aspetto attuale nelle dinamiche sociali che coinvolgono ancor prima la sfera intima e personale. Alcuni estratti delle interviste sono trascritti di seguito e ne testimoniano la validità. È stato chiesto agli intervistati residenti in Calabria, di riconoscere il momento in cui hanno preso coscienza della gravità dell’emergenza Covid-19, ricostruendo brevemente l’evoluzione delle percezioni personali.

-Paolo di Arcavacata (CS): “Ho appreso la notizia della diffusione del virus, inizialmente in Cina, senza soffermarmi con troppa preoccupazione visto che ogni due anni esce fuori qualche virus potenzialmente mortale. La preoccupazione è iniziata a crescere con il primo morto in Italia ma ancora nessun allarmismo. Ho preso coscienza quando dalle zone rosse è avvenuta una fuga di massa verso il sud-Italia.”

-Giulia di Pizzo (V.V): “Inizialmente non ho dato molto peso alla cosa, pensavo rimanesse confinato in Cina e che loro, molto efficienti, riuscissero a contenerlo. Arrivato al nord Italia, per via degli spostamenti, ho pensato ancora una volta che risolvessero efficientemente. La prima presa di coscienza è arrivata con la morte di persone anziane in Italia. Con la chiusura delle scuole al nord Italia sapevo che ci sarebbero stati dei portatori al sud Italia fino a raggiungere i paesi più piccoli quindi mi sono allarmata pensando a mio figlio di due mesi.”

-Ilaria di Rose (CS): “Ho seguito tutta la faccenda più su internet che in tv. Ero tranquilla fino a sabato 7 marzo, sono uscita a mangiare una pizza, anche se con qualche precauzione, ristorante e persone che conoscevo. Durante la serata ho letto su internet la notizia dell’informatore scientifico sul farmaco, contagiato a Rende. Dal giorno seguente quarantena in casa.”

Maria Teresa di Amantea (CS): “Per quanto mi riguarda quando è uscita in Cina la notizia del Covid-19, la cosa non destava preoccupazione per me perché, anche se è brutto dirlo, la vedevo molto lontana. Quando sono avvenuti i primi casi a Codogno ho iniziato a chiedermi come ci è arrivato e cosa avremmo potuto fare per evitarlo ma sembrava comunque lontano. Poi i mezzi di comunicazione ne parlavano sempre di più però, fino a domenica 8 marzo, pensavo che ci fosse un bombardamento mediatico esagerato, non avevo la percezione della gravità, stufa del bombardamento. Poi quando ho sentito dei casi a Rende ho pensato si stesse avvicinando ma non avevo ancora timore. Solo nel momento in cui il Presidente del consiglio Conte ha fatto l’intervento straordinario in tv estendendo la zona rossa in tutta Italia, solo allora mi sono resa conto. Sembra comunque surreale, non ci credo.”

-Valentina di Decollatura (CZ):Ho preso coscienza del virus già quando era in Cina perché sapevo che sarebbe arrivato in Italia per via della mala sanità qui. Non sono molto preoccupata perché so che ne usciremo, è un’influenza cattiva ma ci sono altre malattie più gravi che vengono sottovalutate. È diventato reale anche per me quando hanno decretato queste misure restrittive, giuste, però mi hanno cambiato la vita quotidiana, le abitudini.”

-Bruno di Serra San Bruno (V.V): “Ti dico da subito che la situazione che stiamo vivendo offusca la mia memoria. Direi che le prime notizie da Wuhan ci sono giunte nella prima metà di gennaio, lo ricordo perché poi a febbraio eravamo nel pieno della psicosi dei locali cinesi, quindi se dovessi pensare ad un evento che mi ha fatto sentire per la prima volta addosso questo pericolo direi san Valentino, prima metà di febbraio, perché è stato il giorno in cui ero al Mc Donald con la mia ragazza e ho visto le persone con la mascherina, tra l’altro coincideva con le prime notizie dell’arrivo del virus in Italia in cui c’è stata la reazione delle persone di andare a depredare i supermercati. Poi c’è stato il momento in cui ho sentito la paura addosso ed è stato quando si ha avuto la notizia della possibilità che il nord Italia rimanesse isolato, allarme poi esteso in tutta Italia, ora ricordo solo l’inizio delle mie giornate in casa.”

Questi estratti hanno delle caratteristiche comuni cioè la capacità di considerare reale un evento solo quando innesca delle relazioni con la nostra sfera individuale infatti, nella maggior parte dei casi, la presa di coscienza è avvenuta solo quando la distanza fisica tra il Covid-19 e l’intimità personale si accorciava. Ritorno dunque al punto di partenza per rispondere alla domanda sull’empatia. Questa, se allenata, potrebbe superare le barriere spazio-temporali, inclinando la nostra percezione verso un ascolto più profondo delle necessità dell’altro che siano svincolate dal nostro bisogno individiuale.

dott./ssa Roberta Cavallaro – sociologa

(Centro studi di Sociologia, Emergenti Visioni)


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