DONNE PERSEGUITATE

 

MARIA RITA MALLAMACI 25 NOVEMBRE 2015Oggi, 25 novembre, si celebra in tutto il mondo “La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”, istituita il 17 dicembre del 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, essendo un Organismo Internazionale, ci restituisce il carattere mondiale di questo problema.

“Donne perseguitate”, pone la questione della violenza di genere non solo all’interno nell’evento ultimo di un percorso aggressivo, cioè il femminicidio, ma piuttosto in tutta quella serie di fatti e situazioni che, ogni giorno, accompagnano e caratterizzano i rapporti fra un uomo ed una donna. L’atteggiamento persecutorio è un comportamento legato all’abuso e alla vessazione, è una sorta di procedimento angoscioso che qualifica alcuni, purtroppo tanti, rapporti umani.

Una donna è perseguitata quando non è libera di sé stessa, quando non ha spazi né fisici, né mentali, quando non ha autonomia.

Una donna è perseguitata quando, non avendo risorse economiche proprie, è tenuta con una precisa e malevola strategia, al di fuori di qualunque scelta, soprattutto all’interno della propria famiglia.

Ma noi….non sentiamo sempre teorizzare sulla famiglia?

Non ci viene rappresentata sempre come una sorta di “isola felice”, all’interno della quale ogni componente dovrebbe avere un proprio spazio in cui compiere un percorso di educazione e maturazione personale?

E’ evidente che non è sempre così.

Allora, facciamo un passo indietro e proviamo a capire quali e quante possono essere le radici di un unico problema……

Ogni volta che mi è stato chiesto di parlare di donne e, nello specifico, di violenza sulle donne ho avuto l’impressione che ci si aspettasse da me un esame della questione sociale meridionale.

Cioè è un’opinione diffusa che la persecuzione delle donne sia un fenomeno del Sud, della Periferia, della Provincia del mondo.

Invece, personalmente, non credo che gli uomini del sud siano più violenti, meno sensibili o meno comprensivi, rispetto agli uomini del nord.

La società, dal mio punto di vista, è composta da uomini intelligenti e uomini poco acuti, gentili e molto sgradevoli, lavoratori e parassiti sociali, rispettosi ed irrispettosi, onesti e disonesti… e potrei continuare.

Posso, invece, confermare che il problema esiste a livello mondiale senza differenza tra sud e nord ed è molto più grande e diffuso di quanto noi stessi non riusciamo a percepire.

E’ un fenomeno trasversale, cioè lo possiamo riscontrare in qualunque tipo di rapporto fra uomo e donna, sia che essi siano operai o contadini, sia che si tratti di liberi professionisti o comunque persone che abbiano completato tutto il percorso scolastico.

Ma le domande che, credo, ci facciamo spesso sono:

“Perché?”

“Da dove proviene tutta questa violenza e questa voglia di sopraffazione?”

“Qual è l’origine di questa morbosità?”

Da sempre si è detto che laddove la struttura di una famiglia è patriarcale è più facile che si creino le condizioni per generare violenza e soprusi nei confronti del genere femminile, ed in effetti in questo tipo di famiglia che vede il padre, quindi la figura maschile, al comando di ogni cosa e di ogni situazione, accade spesso che le figure femminili siano marginali e senza voce in capitolo.

Una famiglia che ha per protagonista assoluto il padre-padrone o il marito-padrone rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di questa cultura dell’annientamento della figura femminile, e ad essere sinceri è vero che il nostro territorio ha ancora questo genere di cultura ma, a volte, ho avuto l’impressione che la faccenda si sia chiusa sbrigativamente, della serie: “Beh, gli uomini del sud si sa, sono tutti maschilisti ed arretrati….”.

Invece, da qualche anno per motivi di lavoro, mi sono ritrovata a fare delle ricerche e delle analisi di contesto proprio sulla questione della violenza di genere ed ho trovato che questo fenomeno ha anche un profilo “moderno”, è determinato, cioè, dal cambiamento che la nostra società ha compiuto negli ultimi decenni.

Non si tratta, dunque, solo di uomo-padrone ma anche di uomo-incompiuto.

Chi è l’uomo (il maschio) incompiuto?

E’ il frutto della modernità, laddove dagli anni ’70 in poi è cambiato lo stile educativo all’interno delle famiglie, cioè per molti anni si è pensato che le rigide regole dell’educazione familiare che avevano identificato la famiglia patriarcale, dovessero essere a tutti i costi smantellate e, con l’aiuto della pedagogia moderna, si dovessero educare i figli senza costrizioni o regole.

In effetti è stato giusto non continuare ad essere così inflessibili, dare maggiore fiducia e libertà di azione a tutti i componenti della famiglia, ma questo ha generato anche confusione nella definizione dei ruoli.

Da un lato le donne hanno colto al volo l’opportunità di liberarsi dalle vecchie costrizioni, hanno conquistato una maggiore autonomia di pensiero e si sono attrezzate per far fronte ad una vita incentrata sulle proprie esigenze e sulla propria voglia di realizzazione.

Da quello stravolgimento sociale, rappresentato proprio dalla rivoluzione femminista, le donne hanno lottato per poter ripartire, cioè dividere e condividere in modo equo, tutti i carichi che fino a quel momento avevano dovuto portare da sole.

Dall’altro gli uomini non hanno risposto univocamente a questa richiesta di cambiamento, anzi, una parte di loro ha pensato di aver perso il proprio “specchio di riferimento”, cioè le donne, essendo cresciuti con la convinzione che anche attraverso il matrimonio e la paternità veniva stabilito e riconosciuto il proprio ruolo (maschile) nella società.

Oggi non parliamo più di ruolo di comando ma piuttosto di ruolo personale da sostenere all’interno di un rapporto di coppia, e questo vale per entrambi i generi.

Alla luce di tutto ciò, e con la mente lucida rispetto a questi fatti, non possiamo che ricominciare.

Ricominciare proprio dall’educazione dei più piccoli e dei giovani, promuovendo nuove modalità nella definizione dei ruoli e spiegando, soprattutto ai bambini, sia maschietti che femminucce, che la differenza del loro genere non è un merito per i maschi e un demerito per le femmine, né lo è il contrario.

Occorre ripristinare il valore della differenza di genere, promuovendo la meraviglia e la fortuna del non essere uguali, come un fattore di crescita, non più concetti di tolleranza o accettazione dell’altro sesso, ma quasi una esaltazione della complementarità fra i due sessi, e questo è un percorso che passa attraverso la conoscenza e la consapevolezza.

Giornate come questa ci rendono consapevoli e ci fanno conoscere altre sfumature legate alla bruttezza di questo fenomeno, ma noi vogliamo abituarci al bello…..ma vorrei lanciare un messaggio, soprattutto alle generazioni più giovani, quello di coltivare sempre la curiosità verso la vita e verso sé stessi, per crescere e maturare una identità autonoma, e mettere in primo piano il rispetto verso gli altri senza distinzione di genere.

Maria Rita Mallamaci – sociologa, criminologa (vicepresidente Dipartimento Calabria Associazione Nazionale Sociologi).


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio