Buono out, cattivo in. Nuovi paradigmi di una società materialista

di Davide Franceschiello

Le generazioni degli anni ’60 sono cresciute con il mito degli eroi buoni, del bene che trionfa sempre sul male, dei nordisti buoni e dei sudisti cattivi, dei marines buoni e dei giapponesi carogne, con i film di Walt Disney che raccontavano della strega malefica e della candida Biancaneve e poi cappuccetto rosso ed il lupo cattivo dei fratelli Grimm e così i supereroi come Superman, di Jerry Siegel, e dei tanti altri che sono stati creati successivamente, ma con le stesse caratteristiche, eroi buoni che mettevano i loro super poteri al servizio dell’umanità contro i cattivi di turno. Un messaggio implicito, qualcuno scriverebbe subliminale, ma inequivocabile: il giusto è dalla parte del buono, l’amore che sconfigge ogni forma di odio e di crudeltà.

Un messaggio figlio, evidentemente, di una società idealista opposta al materialismo che esprime la società odierna, dove anche i super eroi sono più aggressivi e anticonformisti, individualisti. Secondo il professor Brancato, sociologo della comunicazione all’Università di Salerno: “Negli anni ’50 si promuoveva la purezza del mito. Oggi l’immagine dell’eroe buono e pronto a tutto per salvare l’umanità non funziona più, il pubblico è più complesso e chiede dei miti altrettanto complessi”. Ma si tratta di ricerca di complessità o di vacuità? La trasmissione di sani principi per educare o inculcare sani valori, solidi valori, non interessa più a nessuno in una società, definita da Bauman, liquida. Secondo il sociologo polacco infatti, nell’età moderna tutto veniva percepito come una solida costruzione, oggi giorno, invece ogni aspetto della vita può essere rimodellato artificialmente, viviamo d’altronde nell’epoca della realtà virtuale. Il ventesimo secolo era caratterizzato dalla stabilità lavorativa, dai legami forti ed inscindibili, dal familismo (secondo lo studioso americano Banfield, amorale) dal rispetto delle regole e delle tradizioni, per arrivare ad oggi dove, per dirla alla Durkheim, vige l’anomia, ossia la piena mancanza di regolamentazione sociale e soprattutto morale, che avrebbe potuto irregimentare il comportamento degli esseri umani.

Alle stesse generazioni sono stati tramandati i principi teologici della religione cristiana che idealizzano l’amore di Dio verso il prossimo, enfatizzano la pratica della carità e della misericordia e la virtuosa inclinazione alla pietà ed al perdono, al sostegno caritatevole del più debole, del povero e del malato, dell’ultimo, addirittura anelando una vittoria finale degli esclusi e degli emarginati: “gli ultimi saranno i primi”. Principi che marchiano con il fuoco la differenza tra bene e male, tra angeli e demoni. Principi che per decenni hanno influenzato le nostre coscienze, ponendoci dei problemi morali secondo i quali quando facciamo del bene proviamo un senso di soddisfazione e quando ci rendiamo conto di fare del male proviamo un senso di colpa e vergogna. Principi che stimolano a rispondere, prima che alle leggi ed alle regole della società, alla nostra coscienza, secondo regole morali che sono diverse da persona a persona.

Di converso è indubitabile che negli ultimi secoli si è vieppiù rafforzato il processo di Secolarizzazione, che ha avviato un percorso di desacralizzazione e nichilismo. Giovani sempre più avversi a forme di cultura tradizionale, in specie quella morale e religiosa, rinunciatari tout court, spinti invece da materialismo ed individualismo frenetico ed esasperato. Lo stesso Nietzsche, già sul finire dell’800, prefigura l’inarrestabile decadenza della cultura cristiana e la distruzione teorica e pratica dei valori della tradizione. Sulla stessa falsariga Durkheim riteneva che il progresso avrebbe portato la religione tradizionale ad un declino irreversibile e con sé tutti i valori solidi, capaci di stimolare sostanziali legami di solidarietà, partecipazione e fratellanza, tessuto connettivo di cui nessuna società può fare a meno. Max Weber pone alla base della secolarizzazione invece il capitalismo e l’etica protestante, con un’età moderna contraddistinta da “disincantamento” e da forme di razionalità sempre più invadenti in contrasto con la religione.

In questo passaggio dall’idealismo al materialismo, dalla solidarietà all’individualismo, dall’essere all’avere, al possedere, da una società solida ad una liquida, dal reale al virtuale, all’avvento della secolarizzazione e del nichilismo, del capitalismo e liberismo più bieco, è andata persa la qualità morale della bontà, non più riconosciuta, non più apprezzata e mal tollerata. In una società dove impera la superficialità, l’apparire, l’affarismo e l’egoismo, desacralizzata, la bontà non è vista come una virtù, ma è sinonimo di falsità e ipocrisia. In altre parole la bontà non può esistere e chi la ostenta è mosso solo da scopi reconditi e capziosi, per certi versi è ritenuta più cool una persona non empatica, d’altronde i siciliani dicono: “Megghiu u’ tintu canusciutu ca u bonu a’ canusciri” (meglio un cattivo conosciuto piuttosto che un buono sconosciuto).

È quello che succede alle aziende che praticano il woke capitalism, una sorta di capitalismo etico che propone, e per alcuni propina, un mix tra incentivi idealisti e business, aziende che sostengono apertamente cause progressiste, coniugando affari e promozioni di temi ambientalisti, Lgbtq+, indentity politics. Sullo stesso treno è salita anche la nota influencer Chiara Ferragni che, dopo il Pandoro-gate, è stata travolta dagli haters, rea di praticare del finto buonismo e di avere ben altri interessi che quelli di trasmettere sani valori di solidarietà e beneficienza. Aziende woke e la Ferragni hanno provocato una forte irritazione dei consumatori conservatori che hanno inscenato azioni di boicottaggio, con conseguente crollo del fatturato. Addirittura c’è chi riporta il caso della Victoria’s Secret che, dopo aver deciso di far sfilare donne comuni, trans e donne che sono emerse per le loro capacità ed intelligenza, ha visto parimenti crollare il proprio fatturato e costretta a ritornare alle modelle convenzionali. In sostanza, più che crollo di fatturato, possiamo parlare di crollo dei valori che hanno tutelato le generazioni passate. L’uguaglianza, i diritti sociali (chi è ultimo si arrangi da solo, d’altronde è colpa sua direbbero i liberisti, negando i criteri dei determinanti sociali) le lotte ambientaliste interessano pochi anzi sono considerate una scocciatura, tranne poi riversare fiumi di finte lacrime quando si verificano disastri ambientali.

“Nonno che cosa devo fare per essere buono e giusto? Il nonno risponde: “sei forse tu a far sorgere il sole?” Il bimbo stranito richiede: “nonno, ma ti ho chiesto cosa devo fare.! Ed il nonno ribatte: “fai risplendere sempre la tua luce, il sole lo fa da sempre senza che nessuno glielo chieda..!”

Dott. Davide Franceschiello, sociologo, segretario generale Associazione Sociologi Italiani e presidente Deputazione Calabria ASI


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