Tre domande a… Giorgio Benvenuto

di Patrizio Paolinelli

Occorre individuare nuovi meccanismi che prevedano la presenza dello Stato nei settori economici strategici del Paese”

<<== Giorgio Benvenuto

Nel mondo politico ha fatto molto rumore l’apertura di Romano Prodi a un governo che includa Forza Italia. Cosa ne pensa

Patrizio Paolinelli ==>>

Mi pare che ci si stia convincendo che non continuare ad andare avanti con un clima di contrapposizione politica come l’attuale. E, badi bene, la contrapposizione non è solo tra maggioranza e opposizione ma anche interna agli stessi schieramenti. Siamo alla guerra di tutti contro tutti. Consideri poi la situazione del Paese. A causa della pandemia c’è disagio, incertezza, confusione e le istituzioni hanno affrontato l’emergenza sanitaria in maniera disarticolata tra di loro. Perciò penso che Prodi abbia voluto lanciare un segnale per riportare la dialettica politica a un confronto tra parti che si rispettano e non si demonizzano a vicenda. Credo anche che abbia voluto richiamare l’attenzione dell’Italia sul fatto che sui temi dell’Europa all’interno degli altri Paesi dell’Unione i partiti sono abbastanza compatti, mentre da noi le divisioni sono profonde e non riusciamo ad approfittare dell’abbandono della linea dell’austerità da parte di Bruxelles. Ritengo che, seppure a una prima lettura l’uscita di Prodi appaia come l’inizio delle grandi manovre in vista dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, si tratti in realtà di un modo per uscire dalla paralisi politica e amministrativa nella quale siamo finiti.

Sul tema delle concessioni autostradali è un corso un confronto tra i 5 Stelle e gli altri partiti della maggioranza. Al di là di come andrà a finire non le sembra che questo confronto abbia il merito di riportare al centro del dibattito politico la questione delle privatizzazioni?

Indubbiamente. Se non ci fosse la stagnazione e la confusione in cui ci troviamo penso che andrebbe fatta da parte di tutti, maggioranza e opposizione, una seria riflessione sul fallimento della politica delle privatizzazioni. Politica che ha portato a escludere la presenza dello Stato in settori cruciali per l’economia del Paese col risultato di dividere l’Italia in un Nord sempre più avanzato e un Sud sempre più arretrato. Vorrei ricordare che con le partecipazioni statali c’era maggiore concorrenza di oggi, c’erano imprese pubbliche competitive a livello internazionale, vennero realizzate infrastrutture che fecero crescere l’intero Paese e così via. Non dico che si debba tornare al passato, però le privatizzazioni hanno dato dei risultati negativi. Tra cui appunto le autostrade. Ma in generale i privati che sono subentrati allo Stato non hanno saputo mantenere l’Italia ai livelli di progettazione, realizzazione e innovazione precedenti. La grande impresa è in decadenza e abbiamo un pulviscolo di piccole aziende che non sono in grado di confrontarsi adeguatamente col mercato globale. Occorre quindi individuare nuovi meccanismi che prevedano la presenza del pubblico nei settori economici strategici del Paese. È così in Francia, in Germania e persino negli ultraliberisti Stati Uniti.

Finalmente è stato varato il decreto semplificazioni. La soddisfa?

No, sono molto deluso. A mio avviso non è un provvedimento che ci permette di correre. Ci sono troppe riserve e troppe contraddizioni e non consente l’avvio di processi decisionali rapidi. Cosa di cui invece ci sarebbe molto bisogno. Come si usa dire gli errori derivano dalla testa. Perché l’esempio che danno governo, maggioranza e persino opposizione è quello dell’inconcludenza. Prenda il caso del Mes: non si riesce a decidere. Mentre la prima semplificazione da fare sarebbe proprio quella di usare queste risorse per attrezzare il nostro sistema sanitario in previsione di una probabile recrudescenza della pandemia. Purtroppo le iniziative che vengono prese somigliano alla propaganda. Ci sarà una vera modifica quando i decisori politici elencheranno le cose che hanno fatto e che stanno facendo non quelle che promettono di fare. Sono mesi che si sente dire faremo questo, faremo quello e poi? E poi il nulla. Ecco, mi pare beffardo che si parli di semplificazione quando non si riesce ancora a fare le cose essenziali. La prima, investire nella sanità utilizzando le risorse che l’Europa ci mette a disposizione. La seconda, mettere al più presto ordine alla cassa integrazione guadagni, che peraltro viene ancora è pagata in ritardo.

Mi fermo qua perché non è mio compito suggerire programmi. Mi permetta però di aggiungere qualche dato di uno studio della Uil proprio sulla cassa integrazione. Ammortizzatore a cui si è ricorsi massicciamente a causa della pandemia e che ha riguardato quasi otto milioni e mezzo di lavoratori, dei quali cinque milioni a zero ore. Conti alla mano in due mesi le buste paga si sono alleggerite mediamente dal 18% al 37% e un dipendente che, poniamo, guadagnava 1.400 euro al mese ne ha persi poco meno di 450. Si tratta di una perdita consistente del potere d’acquisto delle famiglie italiane. Anche per questi motivi più volte il governo ha annunciato che occorre riformare la cassa integrazione perché va semplificata e perché significa una perdita secca in busta paga. Bene, la domanda allora è: quando, come e in che maniera verrà semplificata? Questa è la risposta che si aspettano milioni di lavoratori non decreti graficamente ben confezionati.


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