DAL LOGORIO DELLA VITA PUO’ SALVARCI SOLO FIORELLO

di Antonio Latella

Non siamo più noi stessi e nei rapporti sociali raramente esprimiamo quelle emozioni positive di cui noi italiani andavamo fieri.  Cosa ci succede per essere così spaventati, introversi, irascibili, smarriti?

<<<=== Antonio Latella

Il fatto che per strada, in metro e spesso anche al bar nella pausa caffè rimaniamo tutti a testa bassa, muti e posturalmente inespressivi non può rimanere sempre un problema degli altri. Riguarda tutti: politica, istituzioni, corpi intermedi e semplici cittadini che più degli altri soffrono gli effetti della post modernità. Appare del tutto fuori luogo – almeno in questa circostanza – citare Montesquieu e la sua teoria sul “Clima e il carattere dei Popoli”: nord e sud, almeno su questo versante, non fanno differenza, Napoli compresa, nonostante la proverbiale simpatia dei partenopei riconosciuta anche negli angoli più remoti del nostro pianeta.

Ma neanche possiamo negare una mutazione antropologica riconducibile alla metamorfosi del mondo, trainato dalle scoperte scientifico-tecnologiche che spingono il vascello-terra (per traslare il pensiero di Morin) a navigare così veloce   da non renderci conto quale sarà il destino dell’umanità.  E soprattutto delle prossime generazioni alle quali passeremo il testimone del futuro di un pianeta in grande sofferenza sociale, economica, ambientale e relazionale.

In ogni epoca storica l’uomo ha affrontato un particolare e sempre diverso logorio. E se in passato, grazie alla genuinità dei rapporti individuali e di gruppo, di rispetto e di solidarietà, il Paese è riuscito ad affrontare i problemi ereditati dalla guerra e dalle violenze del regime fascista, oggi abbiamo perso la fiducia soprattutto nelle istituzioni. La dipendenza delle odierne sovrastrutture politiche e culturali dal capitalismo globalizzato ha letteralmente cancellato l’antica funzione di indirizzo e controllo della democrazia e, di conseguenza, ha contribuito ad annullare l’espressione delle emozioni e del pensiero dell’uomo.  Ciò determina non solo una grande sofferenza sociale, ma anche la disaffezione nei confronti del sistema politico e, di conseguenza, il rifiuto alla partecipazione democratica come registrato – ultimo esempio in ordine di tempo – nelle ultime elezioni regionali in Lombardia e Lazio.

Se non c’è empatia ci chiudiamo nel guscio dell’individualismo e, rassegnati come siamo, rischiamo di diventare i pasdaran della società dell’odio.  Il rischio di rivolta sociale, già molto alto per gli effetti della pandemia e della guerra in Ucraina, trova combustibile nella grave situazione economica in cui si trova l’Italia che si porta dietro gli effetti disastrosi delle politiche populiste di un recente passato. Le nuove povertà che si aggiungono alle pregresse, la quasi completa scomparsa delle classi medie, gli scandali, la corruzione, l’uso politico della magistratura, lo scontro tra e all’intero delle coalizioni politiche sono lo specchio di un Paese che non può più avvitarsi su se stesso nella speranza che sia  sempre l’Europa a correre in suo aiuto.

Far finta di indignarsi se cittadini senza scrupoli hanno ottenuto dalle casse dello Stato risorse per quasi 10 miliardi di euro destinate al bonus 110% sulla ristrutturazione del patrimonio immobiliare (senza averne diritto, dicono da ambienti politico -governativi), rappresenta una delle tante ipocrisie di un Paese che non rispetta i suoi cittadini che vengono munti come vacche padane.

La testa bassa, i musi lunghi, il mutismo fanno parte della comunicazione non verbale ma non si tratta di messaggi di rassegnazione. Un silenzio che diventa assordante anche se nessuno degli interessati pare abbia voglia di ascoltarlo. Ma il cittadino, prima o poi, presenta il conto: rimane lontano dai seggi elettorali. E di fronte alla disaffezione, scatta il festival dell’ipocrisia nel tentativo di spiegare un fenomeno di cui sono note origini e motivazioni.

I musi lunghi degli italiani veicolano altri messaggi per chiedere conto dello stato di salute del Welfare  e se l’Italia sarà in grado di spendere bene e subito le risorse del Pnrr. Fuori dalla retorica dell’appartenenza geografica, pensiamo a come sarà il Mezzogiorno dopo la grande abbuffata di risorse europee e, soprattutto, se questa parte della penisola otterrà l’aiuto per eliminare il gap con le altre regioni che crescono anche grazie ai migliori cervelli costretti a lasciare la loro terra. La rabbia e non già il sole abbrunisce i volti di milioni di “terroni” costretti ad accontentarsi delle mancette elargite dal governo di turno rispetto a vere opportunità occupazionali.

Il mutismo, che a questa latitudine viene etichettato come omertà, fa parte dell’atavica rassegnazione di un popolo saccheggiato dall’imprenditoria d’oltre linea Gotica, scesa al sud creando cattedrali nel deserto, che dopo il saccheggio del territorio ha puntualmente trovato l’alibi per il rientro alla base.

E’ vero, lo sviluppo del Mezzogiorno è stato frenato dalla presenza di grandi fenomeni sociali deviati e negativi (dal brigantaggio alla mafia che oggi contende allo Stato “la sovranità” del territorio), ma la politica nazionale – da Giolitti a quella repubblicana, espressione di decine di governi centrali: monocolore o di coalizione –  allo sviluppo solido e duraturo ha preferito l’assistenzialismo. Per due motivi: per trasformare questa grande area dell’Italia in serbatoio di braccia prima, e oggi di cervelli, da utilizzare al Nord per il suo livellamento con il resto dell’Europa; e per impedire rivolte sociali  come quelle che hanno caratterizzato il passato: dalla riforma agraria con l’occupazione delle terre ai Moti di Reggio del 1970, fino alle grandi manifestazioni operaie  per lo smantellamento delle poche realtà industriali.  Le rivolte sociali non necessitano di preavviso.

E mentre si lavora all’autonomia differenziata  che renderà il nord sempre più ricco e moderno e il Mezzogiorno sempre più emarginato, tra Scilla e Cariddi riappare il cavallo di Troia del Ponte sullo Stretto. Ennesima promessa di sviluppo: beffa che segue gli impegni puntualmente disattesi sull’alta velocità Salerno-Reggio Calabria, con prosecuzione nella dirimpettaia Sicilia. Il problema del Mezzogiorno non è solo dei suoi abitanti, ma dell’intero Paese:  se il primo non cresce il resto rimane con il freno a mano tirato.

A muso lungo ( o corto…) gli italiani, da troppo tempo, aspettano le riforme come quella della Giustizia madre di tutti i cambiamenti. La durata dei processi, innanzitutto. Ma anche una revisione di alcune parti del codice penale che spesso ben si prestano a comprimere al massimo le garanzie di libertà personale e riservatezza nel rispetto della volontà dei Padri costituenti. Una politica pavida che sembra ingessata nella funzione legislativa ha il compito di rinsaldare la divisione dei poteri.  E respingere con gli strumenti previsti dalla Costituzione l’uso politico della magistratura. Il cittadino che sbaglia deve pagare, ma chi, incidentalmente, finisce in un’indagine di polizia giudiziaria e poi finisce in pasto all’opinione pubblica rappresenta un atto di barbarie, con l’aggravante di essere cittadino di un Paese che si definisce patria della cultura giuridica. Lo stesso vale anche per chi dopo un lungo calvario giudiziario viene ritenuto completamente estraneo ai fatti a lui addebitati. Ma come qualsiasi altro indagato è già finito davanti ad una corte mediatica.

Italiani spaventati, introversi, irascibili, smarriti: cittadini di un Paese che, come per il passato, deve tornare ad essere ispiratore di un nuovo Umanesimo nel contesto di un’Europa, senza ideologie e divisioni, e ridare all’attività culturale, sociale e politica la funzione di governare i processi di pace, prosperità e progresso.

Non un pensiero utopistico, ma di speranza.  Altrimenti nessuno riuscirà a salvarci dal cannibalismo, neanche la satira di Fiorello che al risveglio con le sue gag   fortifica la nostra resilienza messa a dura prova dal caos prodotto dalla cattiva maestra e dai suoi nipotini.

Antonio Latella – sociologo, giornalista e presidente dell’Associazione Sociologi Italiani


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