La sfida socio-educative contemporanea, tra emergenza e nuove mete

a cura di Luca Raspi

In questi ultimi due decenni si è parlato spesso di emergenza educativa. Una situazione che è stata percepita a livello sociale come una realtà effettiva, ma ad un tempo eterea, difficilmente afferrabile nelle sue complesse pieghe. Con ciò, per poter comprendere la fenomenologia della questione, potrebbe risultare utile riflettere anzitutto sul concetto di emergenza.

<<=== dott. Luca Raspi

Quando si parla di emergenza anche il senso comune si richiama ad una situazione di difficoltà circoscritta nel tempo, imprevista, accidentale e che, proprio per le sue caratteristiche, richiede un intervento immediato e specifico. Quando una difficoltà travalica uno spazio temporale limitato, cessa di essere qualcosa di emergenziale e assume i tratti di una problematica incancrenita. Quando una realtà permane in uno stato di crisi per lungo tempo, non è possibile optare per soluzioni mirate e rapide come nelle emergenze; occorre, invece, andare a fondo e raccogliere, attraverso un concreto sguardo sul mondo, gli elementi che hanno originato e nutrito le difficoltà. In una situazione di crisi educativa come quella emersa in questi primi due decenni del XXI secolo, bisogna, dunque, andare oltre una visione del problema in termini emergenziali e provare a rileggere la questione in termini di sfida socuiale. Se è evidente che il campo dell’educazione è disseminato di ostacoli, non è altrettanto evidente quali possibilità di fronteggiare questi ultimi possono prendere forma: si può parlare di difficoltà da superare in una prospettiva meramente emergenziale, oppure si può parlare, in una logica di sfida, di traguardi e mete da raggiungere e conquistare. La seconda opzione potrebbe essere il punto da cui ripartire, attraverso orizzonti socio-educativi che potrebbero essere volti a creare e ritrovare, magari a fatica, il buono sempre presente nella realtà. Le sfide, dunque, sospingono l’intelligenza e la volontà a ricercare obiettivi a cui tendere. Raccogliere una sfida e impegnarsi nel trovare un orizzonte di senso verso cui dirigersi è il primo passo di un cammino che non può sussistere senza delle vie che possono condurre alla meta.

Prospettive socio-pedagogiche nel mondo onlife

Le sfide educative del nostro tempo, seppure in parte dipanate da molti studi, risultano, comunque, in continuo divenire ed evolversi e per poter essere affrontate necessitano di itinerari pedagogici, che, in quest’ora, paiono essere ancora nebulosi e difficilmente identificabili. Gli ultimi vent’anni sono stati segnati da una costante digitalizzazione dell’esistenza ed Internet è entrato nelle vite, occupando, in breve tempo, uno spazio sempre più ampio. Oggi gli adulti, che vivono sulla propria pelle la responsabilità educativa, vivono un gap culturale con le nuove generazioni. Gli adulti di oggi, che hanno vissuto parte della loro vita senza Rete e l’hanno vista nel tempo, apparire, sempre di più nella loro quotidianità, percepiscono un distinguo tra quando si trovano connessi, online, e quando sono disconnessi, ovvero offline. Per le nuove generazioni, chiamate generazione Z (coloro che sono nati tra la seconda metà degli anni 90 e il primo decennio del Terzo millennio) e, generazione Alpha (coloro che sono nati dopo il 2010), porre in essere un distinguo tra l’essere connessi ad Internet o meno, non viene più sentito e neppure pensato: la Rete è qualcosa che appartiene all’esistenza e ad essa si è costantemente collegati.

Il cambiamento antropologico nella esistenza nell’ Onlife

Interessante, a questo proposito è stato lo studio dello studioso Luciano Floridi, docente di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab, il quale ha parlato di una gioventù onlife, una società definita come le “mangrovie”, che «vivono in acqua salmastra, dove quella dei fiumi e quella del mare si incontrano. Un ambiente incomprensibile se lo si guarda con l’ottica dell’acqua dolce o dell’acqua salata. Onlife è questo: la nuova esistenza nella quale la barriera fra reale e virtuale è caduta, non c’è più differenza fra “online” e “offline”, ma c’è appunto una “onlife”: la nostra esistenza, che è ibrida come l’habitat delle mangrovie”»[1]. Siamo innanzi ad un cambiamento antropologico epocale, ovvero alla trasformazione in atto nel genere umano causata dalla realtà digitale dei cosiddetti nuovi media. La questione antropologica è ancora il nucleo centrale della sfida socio-educativa attuale e le nuove vie per affrontarla necessitano di essere ancora tracciate. La sociologia dell’educazione è chiamata a confrontarsi con una rivoluzione e per offrire proposte per l’educazione non deve cadere né in catastrofiche visioni della realtà e neppure in ingenue forme di esultanza; piuttosto, con una forte dose di realismo, può spendersi nel cogliere limiti e potenzialità, costatando che la via aperta dalla rivoluzione digitale non può essere percorsa a ritroso: la digital age[2] è già ora. 

Il panorama culturale contemporaneo immerso nella digital age non può cancellare la richiesta di senso del singolo e la necessità dell’educazione di far maturare l’individuo in un cammino personale irripetibile. L’educazione trova il suo fondamento nella trasmissione del patrimonio culturale del passato e nella certezza del poter fornire gli strumenti culturali, morali necessari, perché nel futuro i giovani possano trovare il loro autentico esserci nella società: «Una traditio aperta all’ad-ventura (al futuro), poggiata sulla testimonianza, tesa a che la libertà dell’educando vada incontro al reale con umile curiositas, ne assapori la pienezza, non si blocchi di fronte alla contraddizione e al male suo e degli altri: a questo deve tendere con il contributo di ogni comunità di appartenenza ogni comunicazione del sapere»[3].

Tenendo fermi questi punti che costituiscono la linfa vitale del contenuto dell’educare, quale contributo può offrire la sociologia dell’educazione per dare vita a nuove vie per educare oggi in epoca on life? Credo che, anzitutto, possa restituire una diagnosi della realtà, grazie alla quale si possa rileggere adeguatamente la contemporaneità. In questo modo penso che si possa arrivare alla comprensione del superamento dei dualismi virtuale e reale: «Così come, finora, abbiamo distinto tra offline e online, abbiamo distinto anche tra mondo “reale” e mondo “virtuale”, non nascondendo il fatto che al concetto di «virtuale» si è sempre associato quello di realtà “finta, non vera, non …reale”. Ebbene, anche qui serve un cambio di consapevolezza: il mondo virtuale, cioè digitale, è un mondo reale. Digitale, certo, ma reale. La nostra busta paga arriva come cedolino elettronico e se vogliamo chiedere un trasferimento dobbiamo attivare un’istanza online. Tutto nel mondo sta virando dall’analogico all’informatico ed è vita vera». Questa è la premessa necessaria con cui la sociologia può restituire a coloro che operano nel campo dell’educazione gli strumenti per a entrare in vero contatto con le nuove generazioni e per poter dialogare autenticamente con loro, con la loro vita vera, superando eventuali precomprensioni che possono bloccare l’adulto in una posizione autoreferenziale[4].

Proprio a partire da un sano realismo è possibile costruire dei ponti dialogici con i giovani e qui innestare un processo educativo, riscoprendo la tradizione e progettando il futuro. Le vie per l’educazione, che da qui possono prendere le mosse, potrebbero essere davvero tante ed i processi paidetici possono assumere le più svariate forme, purché resti fermo il contenuto essenziale di ogni processo educativo che tale possa dirsi, ovvero quello di aiutare la persona umana, nel proprio tempo, a rispondere al suo principale dovere, che è quello, come diceva Maritain, di «divenire uomo».

Dott. Luca Raspi – Sociologo ASI


NOTE

[1]J. D’Alessandro, Luciano Floridi: “Vi spiego l’era Onlife, dove reale e virtuale si (con)fondono”, in Repubblica

[2] Cfr P. Benanti, Digital Age, San Paolo, Cinisello Balsamo 2020.

[3] A. Scola, Educare nella società in transizione, Omelia in occasione della Festa del Santissimo Redentore, Venezia,

[4] D. Mecenero, La didattica dell’IRC e le nuove tecnologie, in L. Raspi (ed), Pedagogia e didattica dell’insegnare Religione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2020, p. 136


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