La rinuncia all’etica e lo spirito del capitalismo

di Patrizio Paolinelli

Sarà per il clima culturale che c’è oggi in Italia ma è passato praticamente sotto silenzio un libro umanamente e politicamente sconvolgente: “Il metodo Giacarta. La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo”(Torino, Einaudi, 2021, pp 340, 30,00 euro). L’autore è Vincent Bevins, un coraggioso giornalista statunitense ottimamente inserito nel circuito della stampa mainstream nord-americana.

Il libro consiste in un’inchiesta durata dieci anni e suffragata da documenti ufficiali, informazioni desecretate, pareri di storici, testimonianze dirette. Dall’inchiesta emerge senza ombra di dubbio che in ventitré nazioni del Terzo mondo la Guerra fredda fu in realtà caldissima causando la morte di milioni di donne e uomini di sinistra per mano diretta e indiretta degli Stati Uniti. Ovviamente il bersaglio principale erano i comunisti e il metodo Giacarta prende il nome dalla strategia di sterminio totale degli avversari politici sperimentata da Washington in Indonesia. Nazione in cui, tra il 1965 e il 1966, fu eliminato dalla faccia della terra il terzo più grande partito comunista del mondo, che all’epoca contava circa tre milioni di iscritti. Possono sembrare tanti, ma all’epoca l’Indonesia contava circa 100 milioni di abitanti. Va detto che il Partito comunista indonesiano non programmava alcuna presa del Palazzo d’Inverno, in Parlamento contava su una piccola pattuglia di rappresentanti, aveva accettato le regole del gioco democratico ed era autonomo sia dall’Unione Sovietica che dalla Cina. Non rappresentava dunque un pericolo. Oltretutto all’epoca la scena politica indonesiana era dominata dal padre dell’indipendenza, Ahmed Sukarno, leader di grande prestigio internazionale. Nonostante ciò, per i vertici dell’amministrazione statunitense, i comunisti indonesiani costituivano un problema e optarono per la soluzione più disumana facendo trucidare con metodi spaventosi un milione di civili per mano di Suharto, un oscuro generale la cui scalata ai vertici dell’esercito indonesiano fu favorita da Washington.

La macchina della morte avviata a Giacarta fece scuola per le violente repressioni che seguirono in Centro e Sud America, in Medio Oriente e altrove. La linea politica era chiara: fare tabula rasa di chiunque parlasse di giustizia sociale: dai socialisti ai cattolici di sinistra, dai comunisti ai sindacalisti. Occorreva creare un terrore generalizzato in grado di annichilire qualsiasi velleità di cambiamento. Torture, massacri, sparizioni, colpi di stato erano strumenti utilizzati con assoluta disinvoltura sotto la regia di Washington. Ovviamente questi incredibili crimini contro l’umanità vennero commessi e pilotati dagli Stati Uniti con la complicità delle élite borghesi dei singoli paesi interessate a mantenere i loro privilegi. Ma soprattutto, e qui sta la novità introdotta dal metodo Giacarta, a sporcarsi le mani di sangue furono gli eserciti locali, opportunamente addestrati negli States, risolvendo così un enorme problema politico per l’amministrazione di Washington. La quale era già intervenuta decine di volte dentro e fuori il proprio “giardino di casa” per reprimere rivolte popolari, defenestrare governi progressisti o semplicemente indipendenti da Washington. Un interventismo sistematico e aggressivo che aveva reso gli USA invisi alla maggioranza delle nazioni uscite da poco dal colonialismo e che si erano riunite nel Movimento dei Paesi non allineati.

Ma per Washington non essere allineati con loro non solo era inammissibile, significava fare il gioco dell’Unione Sovietica o comunque favorire l’espansione dei comunisti nei Paesi dove godevano del consenso ottenuto attraverso regolari elezioni. E così misero in piedi una mostruosa rete internazionale del terrore in un mix di associazioni anticomuniste, guerre clandestine, pressioni economiche, attentati, campagne mediatiche, omicidi, colpi di stato. Lo scopo era duplice: da un lato, eliminare fisicamente chi si opponeva all’ingerenza americana (e i comunisti erano in prima linea non tanto in nome del socialismo quanto della sovranità nazionale); dall’altro, liquidare il fronte dei Paesi non allineati. Come sappiamo gli USA raggiunsero l’obiettivo: rinunciando all’etica rivelarono lo spirito del capitalismo. Dopo la mattanza dei comunisti, il Partito Comunista Indonesiano venne messo fuori legge e l’Indonesia divenne uno dei più fedeli alleati di Washington. Il rovescio della medaglia fu che, da Paese indipendente e guida del Terzo mondo, l’Indonesia smise di contare qualcosa sullo scacchiere internazionale e da allora vive in regime di libertà vigilata… dallo zio Sam. Così è stato per tutti gli altri Paesi in cui gli USA insediarono le dittature militari. In nome dell’anticomunismo gli Stati Uniti si sono liberati di potenziali rivali economici come appunto l’Indonesia e poi il Brasile e l’Argentina; si sono appropriati delle loro risorse energetiche; hanno favorito le élite nazionali più reazionarie, irresponsabili e predatorie; hanno relegato fino ad oggi questi e altri Paesi al ruolo di comparse della storia.

Leggendo Il Metodo Giacarta molti miti americani cadono come birilli pagina dopo pagina. Un Paese i cui esponenti politici da sempre non fanno altro che riempirsi la bocca di parole come “libertà” e “democrazia” si rivelano oppressori privi di ogni scrupolo morale (fratelli Kennedy compresi) quando si tratta di impedire l’autodeterminazione di altri popoli. In una battuta: potete essere liberi se siamo noi a comandare. Bevins giunge alla conclusione che i comunisti credettero davvero alle parole della democrazia, mentre gli Stati Uniti la calpestavano coi fatti. A uscirne a pezzi è anche la tanto osannata stampa americana la cui complicità nell’attuazione dei programmi di controllo dei Paesi del Terzo mondo, di demolizione del Movimento dei non allineati e di demonizzazione dei comunisti è stata talmente palese da non costituire un mistero per nessuno (e comunque per tutti valga, La fabbrica del consenso, di Noam Chomsky e Edward S. Herman, Tropea Editore, Milano, 1998). Il titolo e il sottotitolo del libro di Bevins traducono fedelmente gli originali in inglese e sono ricchi di significati. Innanzitutto l’anticomunismo si presenta davvero come una crociata. Perché così come i fanatici puritani fuggiti dall’Europa sterminarono i nativi americani in nome di Dio, allo stesso modo i fanatici anticomunisti dell’amministrazione USA sterminarono i comunisti in nome della libertà. L’espressione “omicidi di massa” contenuta nel sottotitolo è invece un espediente per evitare di parlare di programmi di annientamento degni della soluzione finale perpetrata dai nazisti. Oltretutto, come è noto, durante la Guerra fredda i nazisti furono usati ampiamente dalla Cia in Sud-America. Infine, senza lo sterminio dei comunisti su scala internazionale il mondo di oggi non sarebbe com’è. Ossia: non si sarebbe affermata la globalizzazione capitalistica a guida statunitense.

Dal libro di Bevins gli Stati Uniti escono fuori come una potenza che fa strame dei valori professati, utilizza senza limiti il linguaggio della violenza, adotta una politica imperialista e rappresenta la continuità storica del colonialismo europeo. Muovendosi con questa logica è inevitabile il disprezzo dei diritti umani e dei più elementari principi di tolleranza. In tal senso l’inchiesta di Bevins scuote le coscienze e contribuisce a dare un’idea chiara di come l’impero americano si affermi nel mondo passando su montagne di cadaveri.

dott. Patrizio Paolinelli

La critica sociologica, LVII, 226, Estate 2023


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