Cioran e il suicidio del logos

di Patrizio Paolinelli

Ultimatum all’esistenza” è un corposo libro di interviste rilasciate da Emil Cioran tra il 1949 e il 1994 (La scuola di Pitagora, Napoli, 2020, 475 pagg., 30,00 euro). Un testo che ha il vantaggio di presentare al lettore lo scrittore rumeno senza subire il fascino della sua prosa.  Non è poco. Perché nel parlato le risposte dell’intervistato hanno, per così dire, uno spazio di manovra limitato: è necessario andare subito al sodo senza troppi giri di parole. Nell’intervista il linguaggio è privato dell’attesa, è impaziente. Allo stesso tempo un’intervista non è un bignami. È un dialogo di qualità che ha lo scopo di fare il punto: sulla personalità dell’interpellato, il suo pensiero, gli eventi storici di cui è stato testimone.

Prof. Patrizio Paolinelli == >>

Trattandosi della raccolta di numerose interviste che coprono un arco di 45 anni, Ultimatum all’esistenzaha il merito di presentarci in un unico volume la personalità, il pensiero, l’epoca in cui è inserita la biografia di Cioran. Il fattore che ci sembra emerga maggiormente dalla lettura del libro è la pressoché totale coincidenza tra la psicologia dello scrittore e la sua Weltanschauung. Una coincidenza perseguita con estrema lucidità e senza il minimo tentennamento. Intervista dopo intervista Cioran snocciola i temi portanti della sua visione della vita e del mondo. Ecco un parziale elenco: il declino dell’Occidente, la fiera opposizione al progresso, la storia come processo distruttivo, l’elogio del tragico, il sentimento di provvisorietà, il disimpegno militante verso gli affanni del mondo, l’impossibilità di risolvere la questione sociale, la rivendicata irresponsabilità verso il prossimo, il sentimento dell’irreparabile, la disperazione assunta come posizione teorica, la sconfessione dell’homo faber, la scrittura come forma di terapia, il cinismo come attitudine teorica, la vita intesa come processo distruttivo, il dramma di essere nati, l’idea del suicidio. Si potrebbe continuare. Ma queste voci ci pare siano sufficienti a tratteggiare il profilo di uno scettico radicale, anzi, violento, come diceva Cioran di sé stesso. Ora, ogni punto dell’elenco che abbiamo proposto può essere oggetto di lunghe discussioni. Prendiamo, ad esempio, un’idea che ossessionò Cioran per tutta la vita: il suicidio.

Alla ripetuta richiesta dei suoi intervistatori sul perché non si fosse tolto la vita lo scrittore confessa: senza quell’idea mi sarei sicuramente ucciso. Il suicidio viene così trasformato in una risorsa, una possibilità, un anelito di libertà. Se proprio l’esistenza ti risulta insopportabile, ecco cosa puoi fare: ti ficchi una pallottola in testa e il tormento finisce. Ma puoi anche decidere altrimenti e questo ci rende liberi. Come si vede si tratta di una concezione ultra-soggettivistica della libertà e in quanto tale utilitarista. Il borghese si compra la libertà coi soldi, Cioran col pensiero. Sono la faccia della stessa medaglia: a entrambi non importa un bel niente della libertà degli altri. 

Come è noto Cioran non si suicidò. Morì a 84 anni in una casa di cura seguito dalla compagna di una vita, Simone Boué, a cui chiedeva di ucciderlo. Fino all’ultimo fu a suo modo coerente: parlare del suicidio senza praticarlo, neanche quando aveva un piede nella fossa. D’altra parte, per lui il fare era separato dall’essere. Il che è condivisibile. Ma il problema è a quale essere Cioran fa riferimento. Non all’essere sociale. Ma a un individuo divinizzato: ora dal fallimento, ora dalla scelta mistica, ora dalla marginalità. Fascino dell’esclusione e esasperazione dell’Io si combinano nello scrittore romeno senza lasciare spazio al prossimo. Il quale, tutt’al più, è funzione degli istinti e degli appetiti di chi vola in alto con la mente. Da qui l’esaltazione delle prostitute. Che Cioran frequentò a lungo finché servirono a soddisfare il suo smisurato egocentrismo.

È vero che l’opera va separata dall’autore. Ma nei suoi libri Cioran non ha parlato di astrazioni: ha parlato del suo tempo, dell’esistenza, a suo modo ha proposto una morale, nera quanto si vuole, ma pur sempre una morale. Alla prova della vita reale quanto ha retto questa morale? Non molto. Rilasciò interviste fino a pochi mesi prima della sua scomparsa. Cosa che per uno che predicava il distacco dal mondo lascia alquanto perplessi. E come si può spiegare la sua gelosia nei confronti di una giovane amante tedesca che in Germania va a letto col suo compagno perché “l’intelligenza non si può scopare”? Non c’è problema. Cioran trova sempre il modo di assolversi. Naturalmente non gli difettava la consapevolezza delle contraddizioni del proprio pensiero. Era un uomo troppo intelligente per non rendersene conto. Messo alle strette dalle incoerenze dei suoi ragionamenti trovava rifugio nella metafisica. Va bene suicidarsi, ma in termini metafisici. E quando la metafisica non bastava ecco arrivare in soccorso il Romanticismo con tutta la sfilza di coloro che si sono tolti la vita non riuscendo a sopportare il peso di un Io troppo grande in un mondo così piccolo.

Per sua natura l’incoerenza trova sempre coerenti formalismi per giustificarsi. Tanto più se i formalismi provengono da un erudito che ha fatto del paradosso la chiave di volta del suo pensiero. Scrivo sapendo che è perfettamente inutile scrivere, ci fa capire Cioran. Una scrittura in cui a suicidarsi è la parola. Da qui il privilegio dell’estasi, l’attrazione per i mistici, l’ammirazione per i grandi moralisti. Da qui l’allergia per ogni tipo di appartenenza. A chi lo incalza chiedendogli se è un nichilista, un ribelle o un disperato Cioran risponde: “non sono niente”.

Regge una filosofia del logos anti-logos, del libro anti-libro, dello scrittore anti-scrittore, dell’asociale immerso nella società? Fatica parecchio. Certo Cioran si fa forte di una lunga tradizione filosofica, a iniziare dai cinici greci. E quando un compiacente intervistatore gli offre un assist rilevando l’atto positivo di una scrittura che attacca l’esistenza stessa, Cioran non si lascia sfuggire l’occasione per uno dei suoi funambolismi: “Per me, scrivere è un ultimatum all’esistenza. Questo è il significato di tutti i miei libri. È così: una sorta di ultimatum reiterato all’esistenza. È un attacco liberatorio. Si può sopportare l’esistenza, demolendola. Ho un po’ un temperamento combattivo, sebbene io non faccia nulla. Non mi attivo nella vita. Ma in realtà, per temperamento sono un po’ aggressivo. Ma l’attacco per me, ha questa funzione, dal momento che non si può fare altro”.

Dinanzi a questa affermazione viene da chiedersi: un ultimatum reiterato non è un eterno penultimatum? Non è un modo del tutto illusorio di fermare il tempo? Una negazione del divenire che aiuta a comprendere la ridondanza delle posizioni di Cioran: sempre la stessa acqua pestata nello stesso mortaio, dal primo all’ultimo dei suoi libri. Con Cioran il logos muore per mancanza d’ossigeno. Oscillando tra rare estasi personali e tragedie collettive lo scrittore trova un equilibro per andare avanti nella vita. Ultimatum dopo ultimatum eccolo pubblicare un libro dopo l’altro. E al millesimo gorgo nero in cui tutto è risucchiato e annullato le sue pagine riescono persino a strappare un sorriso: dopo tanto penare Cioran approda al comico, o al grottesco, se la parola comico può offendere qualcuno.

Come prendere sul serio uno che passa la vita a guardarsi l’ombelico? Infatti, più di tanto non si dovrebbe. Ma i libri di Cioran non sono privi di ricadute culturali e politiche. Tutt’oggi hanno un pubblico, mentre la figura di questo grande scettico desta ancora interesse come dimostra la pubblicazione di “Ultimatum all’esistenza”. Perciò sono libri di cui tenere conto. Libri che non sono letti dallo “scarto dell’umanità” come Cioran sostenne una volta per darsi un tono dinanzi a un ammiratore. Sapeva bene che non era così. I suoi lavori finiscono nelle mani di persone istruite, spesso molto istruite. Generalmente appartenenti alla piccola e media borghesia. Classi sociali che, ieri come oggi, nelle taglienti pagine di Cioran trovano confermato il loro disprezzo per coloro che non sono raggiunti dall’illuminazione: e cioè che l’uomo è disperatamente solo, che l’unica cosa che conta nella vita è il culto del proprio Io e che tutto il resto è bieca necessità.    

Dunque Cioran è attuale, attualissimo. Come potrebbe non esserlo in un’epoca di narcisisti che vivono per il presente? Inoltre, in “Ultimatum all’esistenza” Cioran esprime, direttamente o indirettamente, le proprie opinioni politiche: terribilmente reazionarie. Ma soprattutto, lo scettico di ogni tempo non disturba il potere. L’uomo è quel che è, un’irrimediabile delusione, e non vi si può porre rimedio. La storia pure. Perciò, a che serve cercare di cambiare il mondo? È bene che tutto resti com’é. Fermo restando che a coltivare la terra e sturare le fogne devono pensarci gli altri.

Patrizio Paolinelli, Via Po cultura, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro, maggio 2021.


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