L’intermissus: categoria liminale tra ruolo, identità e sospensione, nell’etica delle istituzioni simboliche
di Antonio Rossello
Questo contributo propone una sistematizzazione in chiave psico-sociologica della figura dell’intermissus, recentemente emersa in forma preliminare all’interno del lessico analitico di alcuni articoli divulgativi. Assunto in via ipotetica come categoria sociologica autonoma, intermissus designa l’individuo che, in contesti organizzativi a forte codificazione rituale e rappresentativa, si colloca in uno stato di sospensione operativa non formalizzata. La figura dell’intermissus non si configura come deviante nel senso classico, bensì come esito di una frizione tra aspettative etiche di ruolo e condotte inadeguate, in assenza di infrazioni sanzionabili. Il saggio, basato anche su un caso empirico, analizza l’intermissus alla luce delle teorie dell’interazionismo simbolico (G.H. Mead) e del riconoscimento (A. Honneth), collocandolo nella cornice della devianza soft e della marginalità relazionale.
1. Premessa terminologica e metodo
Il termine intermissus, dal latino intermittere (sospendere, frapporre, interrompere), è assunto in questo lavoro non in senso storico-letterale, bensì come costrutto euristico atemporale utile a descrivere fenomeni emergenti nelle strutture ad alta intensità simbolica, come ordini onorifici, consessi rappresentativi, corpi collettivi ritualizzati. Nel rispetto del principio metodologico espresso da Marc Bloch secondo cui “il cattivo storico è quello che, per pigrizia o per amore di generalizzazione, applica a ogni epoca gli stessi schemi”¹, si intende qui evitare impropri travasi semantici: l’intermissus non è un archetipo, né un eroe tragico o un dissidente politico, ma una configurazione relazionale contestuale e situata, derivante da tensioni non risolte tra identità individuale e regolazione collettiva.
2. L’etica attesa nei contesti rappresentativi
In contesti in cui il peso dell’identità formale (titoli, ruoli, onorificenze) è elevato, la condotta personale è soggetta a un’etica implicita di coerenza. Essa comprende riservatezza, equilibrio comunicativo, riconoscimento dei limiti statutari, e consapevolezza simbolica del proprio agire.Tali codici non sono sempre scritti, ma producono effetti normativi reali. La frattura tra comportamento e ruolo atteso — anche in assenza di trasgressioni formali — può produrre forme latenti di sospensione operativa. L’intermissus è colui che non viene espulso, ma progressivamente neutralizzato: le sue proposte non trovano più risposta, la sua presenza non è sollecitata, il suo status formale resta intatto ma la sua incidenza si azzera.
3. Il dispositivo della sospensione silenziosa
Contrariamente alle forme classiche di esclusione, l’intermissus non è oggetto di un provvedimento punitivo. Si attiva un meccanismo che potremmo definire “di diritto muto”: la persona non è rimossa, ma il suo ruolo viene svuotato di ogni funzione reale.Tale processo è coerente con logiche di autotutela collettiva: evitare conflitti, salvaguardare l’integrità simbolica dell’istituzione, proteggere la persona da un’umiliazione esplicita. Si tratta di una zona grigia di tolleranza formale e di marginalità operativa.“L’organizzazione non espelle, ma assorbe nell’indifferenza; non cancella, ma dimentica gentilmente.”
4. Maturità, identità e legittimazione
4.1. La maturità come aspettativa tacita
Chi occupa posizioni rappresentative è gravato da una precondizione di maturità psicosociale. Si presume che esista una coerenza tra ciò che il soggetto è (per età, formazione, competenza) e ciò che fa o dice. Quando tale coerenza viene meno per ragioni psico-relazionali — immaturità, narcisismo, scarsa consapevolezza dei contesti — si produce una rottura della legittimazione. In questo quadro, l’individuo non perde il titolo, ma perde il riconoscimento.
4.2. Mead e Honneth: una lettura teorica.
Secondo George H. Mead, la costruzione del sé avviene nel dialogo tra Io (sé spontaneo) e Me (sé socializzato)². L’intermissus manifesta una frattura interna tra impulso soggettivo e ruolo condiviso, tra iniziativa personale e aspettativa collettiva. Honneth, a sua volta, nella sua teoria del riconoscimento, identifica la mancata reciprocità relazionale come fonte di disfunzione sociale e psichica³. L’intermissus soffre di una mancanza di riconoscimento nelle tre sfere descritte da Honneth: affettiva (fiducia), giuridica (rispetto) e sociale (stima).
5. Il caso studio: la sospensione autoinnescata
L’osservazione clinica alla base di questo contributo riguarda un individuo in possesso di titoli onorari e ruoli consultivi in una struttura rappresentativa sovra-nazionale. Dopo aver comunicato formalmente le proprie dimissioni, il soggetto ha tentato — in modo unilaterale e reiterato — di sospenderle, continuando a diffondere comunicazioni non autorizzate su canali privati e pubblici.Questo comportamento ha generato:uso disinvolto di credenziali non più operative; oscillazioni comunicative tra collaborazione e rivendicazione; reiterazione di comportamenti non in linea con l’etica del contesto. L’individuo non era formalmente sanzionabile, ma l’organizzazione ha cessato ogni interazione attiva, senza revocare i titoli onorifici: classico caso di intermissus.
6. Conclusioni: una categoria funzionale alla devianza soft
L’intermissus rappresenta un meccanismo di equilibrio implicito tra istituzioni e soggetti dissonanti. Invece di operare rotture formali, il sistema assorbe la tensione tramite la sospensione. Il soggetto non viene colpito da una sanzione, ma invisibilizzato con garbo. La sua identità viene mantenuta, ma privata di incidenza. Questa figura liminale si colloca nell’ambito della devianza soft, non criminale, ma relazionale. Essa interroga il rapporto tra ruolo e identità, tra forma e sostanza, tra appartenenza e alterità. In un’epoca in cui le organizzazioni sono sempre più chiamate a conciliare inclusività e ordine simbolico, l’intermissus si configura come una risposta sistemica alla disfunzione relazionale, un punto cieco della struttura che permette di evitare conflitti aperti, pur senza risolverli.
dott. Antonio Rossello, Sociologo e Presidente del Centro XXV Aprile, Membro del Direttivo ASI – Deputazione Nord Ovest
Note:
- M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1997 (ed. orig. 1949), pp. 32-34.
- G.H. Mead, Mind, Self and Society, Chicago: University of Chicago Press, 1934.
- A. Honneth, La lotta per il riconoscimento, Roma, Meltemi, 2002 (ed. orig. Kampf um Anerkennung, 1992).
Bibliografia di riferimento
- Goffman, E. (1961). Asylums: Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates. New York: Anchor Books.
- Honneth, A. (1992). Kampf um Anerkennung: Zur moralischen Grammatik sozialer Konflikte. Frankfurt a.M.: Suhrkamp.
- Mead, G.H. (1934). Mind, Self, and Society. Chicago: University of Chicago Press.
- Bloch, M. (1949). Apologie pour l’histoire ou métier d’historien. Paris: Armand Colin.
- Turner, V. (1969). The Ritual Process: Structure and Anti-Structure. Chicago: Aldine.






