IL MONDO HA UNA SPERANZA, E SIAMO NOI  

 

“Oggi, ad un bivio cruciale nella storia dell’umanità, abbiamo bisogno di nuovi concetti, nuovi valori, ed una nuova visione per guidare i nostri passi verso un futuro umano e sostenibile. La consapevolezza deve innalzarsi e trasformarsi da locale ed ego-centrica a globale e di dimensione planetaria. La nuova coscienza richiede una visione olistica di noi stessi, delle nostre società, della natura e del cosmo”.       (Ervin Laszlo)

 

sonia ASI

In questi giorni di tensione per la diffusione ormai su scala mondiale del Covid-19, il governo ci indica nuovi modi di vivere basati su regole restrittive, ma necessarie.

In maniera intelligente, alcuni studiosi come la psicologa Francesca Morelli, hanno fatto notare come questo Coronavirus probabilmente sia venuto a noi per insegnarci qualcosa, un modo drastico per riequilibrare questo mondo così stravolto sotto più  punti di vista: il cambiamento climatico che desta non poche preoccupazioni, le ideologie discriminatorie che disintegrano la nostra idea di umanità e fratellanza, lo stress quotidiano delle nostre vite frenetiche che riduce i tempi dedicati alle relazioni familiari, la frammentazione dei legami umani sempre più sostituiti da contatti virtuali. Il virus ci strappa il calore di un abbraccio, di una semplice stretta di mano, la possibilità di stare insieme, di condividere una cena, di brindare a un’occasione; di conseguenza, si limita la libertà di manifestare la nostra socialità.

Se questo freno da una parte ci provoca sofferenza, dall’altra parte ci costringe a ripensare i nostri stili di vita, il nostro modo di godere delle risorse apparentemente illimitate che Gaia ci dona, di ripensare anche alle modalità in cui spendiamo il nostro tempo di vita che ultimamente coincide sempre più col tempo di lavoro arrecando non poche afflizioni alla nostra vita personale.

Eppure questa inversione di tendenza è già in atto da almeno una ventina d’anni. Non è stata necessaria l’esplosione pandemica del Coronavirus per avviare una riflessione sui nostri stili di vita. Nonostante molti di noi siano indirizzati da tempo a conversioni “green” a salvaguardia dell’ambiente e a pratiche interiori ed esteriori salutari per se stessi e per gli altri, tale inversione di tendenza non ha avuto riscontri importanti a livello globale. Perché? Cerchiamo di dare un nome e un senso a quanto stiamo dicendo.

Da studi sociologici risalenti agli anni ’90  condotti  negli USA dal sociologo Paul H. Ray e dalla psicologa Sherry R. Anderson, si è cercato di comprendere chi e quanti fossero i cosiddetti Creativi Culturali, ovvero coloro che sono creatori di una nuova cultura contro la cultura dominante. In Italia, un gruppo di ricerca internazionale guidato da Enrico Cheli sotto l’egida del Club of Budapest, ha replicato la stessa ricerca sociologica sui creativi culturali in Italia e in altri Paesi europei, al fine di verificare in quale misura e con quali differenze fossero presenti i creativi culturali anche nel vecchio continente. Dalla ricerca è emerso che circa il 30% della popolazione mondiale sia orientata a una visione globale e pacifica, interculturale e rispettosa della Terra.

In generale, possiamo dire che il processo di discussione critica della cultura dominante è collocato temporalmente, come sociologicamente rilevante, già negli anni ’60. I creativi culturali sono stati da subito definiti come coloro che condividono un rifiuto della visione del mondo tipica della cultura dominante basata sul paradigma(1) materialista (edonismo e logica capitalistica), e si aggregano attorno a valori comuni di autenticità e solidarietà, seppur agenti su settori differenti: sensibilità ecologica, attenzione alla pace e alla qualità delle relazioni interpersonali, interesse verso la crescita spirituale (non religiosa) e personale, ricerca della parità di genere. I Creativi Culturali (CC) non si limitano dunque a mettere in discussione la cultura dominante, ma si impegnano nella costruzione di nuove narrazioni e nuove visioni del mondo.

E’ importante porre in risalto che questo paradigma materialista che governa la cultura dominante, è un modello dicotomico che contiene in sé una visone del mondo a compartimenti stagni: divisione tra materia e coscienza, tra mente e corpo, tra natura e cultura; ad esempio, la qualità della vita viene misurata dal PIL, variabile puramente economica che non tiene conto di altri aspetti importanti della vita, quali le relazioni interpersonali, la felicità, lo stato di salute, ecc… I CC, invece, intendono il sistema sociale come un sistema interdipendente in cui lo scambio di informazioni con l’ambiente è di primaria importanza: non siamo uno più uno, ma siamo un insieme di individui connessi tra loro e inseriti in un contesto a sua volta legato agli individui  stessi, in cui l’azione di uno si ripercuote e influenza l’azione dell’altro. Così la dimensione corporea non può essere separata da quella mentale, emozionale e spirituale. L’essere umano non può essere oggetto di una scienza divisa in compartimenti disciplinari, ma deve essere osservato nella sua complessità e nella sua totalità. Non esiste una medicina senza anima, una psicologia senza coscienza, un’economia senza etica (Montecucco, 2009). La qualità della vita, di conseguenza, non può essere un mero prodotto economico, ma deve essere la risultante di un equilibrio globale tra i diversi bisogni dell’essere umano.

Questa è la visione olistica (dal greco olos: il tutto, l’intero) che va a definire il paradigma olistico dei CC contrapposto al paradigma materialista della cultura dominante e che non nasce da una ideologia organizzata, ma dalla spontanea rivoluzione della coscienza quotidiana di milioni di creativi culturali di tutto il pianeta: una trasformazione sociale e individuale che tende ad assumere una dimensione planetaria.

Si distinguono due categorie di Creativi Culturali, non antagonisti ma complementari:

  • I CC verdi, orientati ad affrontare le problematiche con un approccio principalmente imperniato sui movimenti, sull’azione politica e sulla sensibilizzazione collettiva su temi come pace, ambiente, etica.
  • I CC interiori, orientati ad agire a livello intimo, più individuale, sul miglioramento di sé, degli stili di vita e delle proprie relazioni interpersonali.

Qual è il fine ultimo di questi CC? Quello di creare una Massa Critica in grado di realizzare  il cosiddetto worldshift, ovvero un salto quantico, un mutamento mondiale importante, una rivoluzione/evoluzione ella società prima che l’umanità raggiunga il Punto del Caos,  il punto di non ritorno caratterizzato da irreversibilità degli eventi catastrofici. Cos’è una Massa Critica? La massa critica è una minoranza attiva che raggiunge un certo grado di numerosità o intensità (Cheli, 2009). Un esempio spesso utilizzato per spiegare il concetto di massa critica è il “fenomeno della centesima scimmia”. La scimmia giapponese Macaca fuscata, è stata osservata allo stato selvaggio per un periodo di oltre 30 anni. Nel 1952, sull’isola di Koshima, alcuni scienziati davano da mangiare alle scimmie delle patate dolci sepolte nella sabbia. Alle scimmie piaceva il gusto delle patate dolci, ma trovavano la sabbia assai sgradevole. Un giorno una femmina di 18 mesi chiamata Imo, scoprì che era in grado di risolvere il problema lavando le patate in un ruscello vicino. In seguito insegnò questo trucco a sua madre. Anche i suoi compagni di gioco impararono a lavare le patate e lo insegnarono anche alle loro madri. Questa innovazione culturale fu gradualmente accolta dalle varie scimmie mentre gli scienziati le tenevano sotto osservazione.

Tra il 1952 e il 1958 tutte le scimmie giovani impararono a lavare le patate dolci per renderle più appetitose. Solamente gli adulti che imitarono i loro figli appresero questo miglioramento sociale, gli altri continuarono a mangiare le patate sporche di sabbia. Poi accadde qualcosa di veramente notevole. Possiamo dire che nell’autunno del 1958 vi era un certo numero di scimmie sull’isola di Koshima che aveva imparato a lavare le patate, non si conosce il numero esatto.

Supponiamo che un dato giorno, quando il sole sorse all’orizzonte, vi fossero 99 scimmie che avevano imparato a lavare le loro patate. Supponiamo inoltre che proprio quella mattina, la centesima scimmia imparò a lavare patate. A quel punto accadde una cosa molto interessante: alla sera di quel giorno praticamente tutte le scimmie sull’isola avevano preso l’abitudine di lavare le patate dolci prima di mangiarle. L’energia mentale aggiunta di questa centesima scimmia, andò a costituire una “massa critica” ed aprì in qualche modo una sorta di varco ideologico. La cosa più sorprendente, osservata da questi scienziati, fu il fatto che l’abitudine di lavare le patate dolci attraversò rapidamente il mare. Infatti colonie intere di scimmie sulle altre isole ed anche gruppi di scimmie a Takasakiyama cominciarono a lavare le loro patate dolci. Sembra perciò che quando viene superato un certo numero critico di elementi che raggiungono una nuova consapevolezza, la medesima viene passata da una mente all’altra. Sebbene il numero critico possa variare, il Fenomeno delle “Cento Scimmie” indica che quando vi sono poche persone che conoscono qualcosa di nuovo, questo nuovo concetto rimane di loro esclusiva proprietà e fatica molto ad estendersi. Ma se a loro si aggiunge anche una persona in più, e si raggiunge il numero critico, si crea una idea così potente da poter entrare nella consapevolezza di quasi tutti i membri di quel gruppo anche a distanza, una sorta di macroshift che causa un cambiamento improvviso e radicale. La centesima scimmia rappresenta la soglia di innesco del cambiamento, significa che se un numero sufficiente di persone cambia in meglio un comportamento o realizza una nuova consapevolezza, si crea una massa critica che catalizza in una società una trasformazione quasi istantanea. La goccia del mare che si aggiunge alle altre gocce formando un oceano. Per questa ragione la nostra azione individuale è importante. Ma non basta!

Cosa impedisce a questa nuova cultura emergente di affermarsi come Massa Critica? Possiamo riassumere gli ostacoli in tre categorie:

  1. La maggior parte dei soggetti detentori di potere economico e politico non concepiscono il paradigma olistico del Creativi Culturali, ma rimangono ancorati (per conservazionismo o per comodità) ai vecchi schemi materialistici della cultura dominante.
  2. I CC non sono consapevoli della loro consistenza numerica, convincendosi di essere pochi e marginali, per diversi motivi: sono stati sempre sottovalutati dalle prime statistiche degli anni ’70; i mezzi di comunicazione (tv, radio) dedicano poco spazio alle narrazioni dei CC.
  3. L’azione dei CC è fortemente frammentata, non si coglie l’interconnessione sistemica tra i diversi movimenti culturali. Questo crea una realtà non coesa,  una miriade di associazioni, gruppi, movimenti sulla pace, i diritti, l’ecologia, ecc, che non agisce collettivamente.

Per questo FARE RETE è l’unica strada che potrebbe portare alla formazione di una Massa Critica. Cambiare il nostro stile di vita è importante , ma non basta se non ci coordiniamo con gli altri intorno a noi, se non comunichiamo e confrontiamo i nostri valori e le nostre modalità di azione, se non trasmettiamo nuove visioni del mondo con i fatti e gli esempi ai nostri figli, se non mettiamo in atto un’azione sistemica di resistenza alla immobilità.

Questo Coronavirus non ci chiede solo di cambiare il nostro stile di vita, ci chiede di guardarci intorno con occhi diversi, consapevoli che non siamo destinati alla deriva, che il potente non avrà sempre la meglio su di noi, che non siamo burattini manovrati dall’alto. Il mondo ha una speranza, e siamo noi!

 Dott./ssa Sonia Angelisi – sociologa e ricercatrice

 

Note:

 [1] Il paradigma è uno schema collettivo di interpretazione della realtà.


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