Il Cammino di Santiago di Compostela: una prospettiva sociologica
di Franco Faggiano

Santiago non è la fine della strada, è l’inizio. (Paulo Coelho) Nella foto: Franco Faggiano mentre percorre il Cammino di Santiago
Il Cammino di Santiago di Compostela, una delle vie di pellegrinaggio più celebri al mondo, si estende per centinaia di chilometri, attraverso la Spagna, con diramazioni che partono anche da altri paesi europei. Sebbene storicamente legato alla religione cattolica e alla venerazione dell’apostolo Giacomo, oggi il Cammino è un fenomeno globale e polisemico, che attira ogni anno centinaia di migliaia di pellegrini e turisti da tutto il mondo. Dal punto di vista sociologico, il Cammino di Santiago rappresenta un interessante oggetto di studio. Esso incarna dinamiche complesse che riguardano la spiritualità postmoderna, il turismo esperienziale, la costruzione dell’identità individuale, la socialità temporanea e la riscoperta dei luoghi rurali. Questo articolo analizza il Cammino secondo queste lenti interpretative, cercando di comprendere perché continui a esercitare un così forte richiamo in una società sempre più secolarizzata, globalizzata e tecnologica. In molte società tradizionali, i riti di passaggio (come descritti da Arnold van Gennep e successivamente elaborati da Victor Turner) marcano i momenti cruciali dell’esistenza: nascita, pubertà, matrimonio, morte. Nella società contemporanea, però, questi riti sono spesso svuotati del loro significato o completamente assenti. Il Cammino di Santiago, pur non essendo ufficialmente un rito istituzionalizzato nella nostra cultura, ne ha assunto molte caratteristiche. Molti pellegrini intraprendono il Cammino in momenti di transizione personale: dopo un lutto, un divorzio, la perdita del lavoro, il pensionamento, o come passaggio simbolico verso l’età adulta. Il percorso diventa così uno spazio liminale, fuori dalle strutture quotidiane, dove l’individuo può riflettere, rinegoziare la propria identità e reintegrarsi nella società con una nuova consapevolezza. In questo senso, il Cammino può essere letto come una forma moderna di “rite of passage”, secolarizzato e volontario, che risponde a un bisogno di significato in una società spesso priva di riferimenti stabili.
Zygmunt Bauman ha descritto la nostra epoca come “modernità liquida”, caratterizzata da identità fluide e da relazioni instabili. Allo stesso modo, anche la spiritualità diventa “liquida”: non più legata a dogmi rigidi o istituzioni religiose, ma vissuta in modo personale, soggettivo e mutevole. Il Cammino di Santiago riflette questa trasformazione. Solo una minoranza dei pellegrini compie il percorso per motivi esplicitamente religiosi. La maggior parte lo fa per ragioni “spirituali” non codificate: bisogno di introspezione, desiderio di contatto con la natura, ricerca di autenticità, o semplice sfida fisica. Il Cammino diventa così un contenitore flessibile, capace di accogliere un’ampia varietà di significati: religioso, laico, culturale, sportivo. Questa pluralità riflette l’individualizzazione della fede tipica della modernità avanzata, in cui l’esperienza religiosa non è più imposta dall’esterno ma costruita attivamente dal soggetto. Un altro aspetto sociologicamente rilevante è la trasformazione del pellegrinaggio in forma di “turismo esperienziale”. In una società dominata dalla digitalizzazione e dalla vita urbana, cresce il bisogno di esperienze autentiche, corporee, lente. Il Cammino risponde a questa esigenza, offrendo un’esperienza concreta, immersiva, scandita dalla fatica fisica, dall’interazione con l’ambiente naturale e dal contatto diretto con altri viandanti. A differenza del turismo di massa, spesso standardizzato e passivo, il Cammino si basa sull’autenticità percepita. Anche quando è organizzato da agenzie o mediato da tecnologie (app, GPS, social media), mantiene una narrazione di “viaggio vero”, “esperienza trasformativa”, “ritorno all’essenziale”. Questo fenomeno si collega al concetto di “capitalismo simbolico”: il valore del Cammino non è solo economico ma anche simbolico, legato alla costruzione di un’identità narrativa. Chi compie il Cammino può raccontarlo come un’impresa personale, spesso mitizzata, che contribuisce alla propria autodefinizione.
Altra caratteristica sociologicamente rilevante del Cammino è la nascita di comunità effimere ma intense. Pellegrini di diverse nazionalità, età e provenienze sociali condividono per giorni o settimane esperienze quotidiane: camminare, dormire in rifugi, mangiare, affrontare difficoltà fisiche e psicologiche. Questa socialità è spesso orizzontale, priva di gerarchie rigide. I ruoli sociali tradizionali vengono sospesi: un manager può dormire accanto a uno studente o a un disoccupato, e tutti si ritrovano nella stessa condizione di pellegrini. In questo contesto nasce una forma di “communitas”, secondo la definizione di Victor Turner: una comunità spontanea e paritaria, basata sulla condivisione di uno stato liminale.Tuttavia, questa communitas è temporanea: si dissolve al termine del percorso. Ma l’intensità delle relazioni stabilite sul Cammino spesso lascia un segno profondo nei partecipanti, testimoniando il bisogno umano di connessione autentica al di là delle strutture sociali convenzionali. Il Cammino di Santiago ha anche un impatto sociale ed economico sui territori attraversati. Molti paesi e villaggi rurali, un tempo marginalizzati e in via di spopolamento, sono stati rivitalizzati grazie al flusso di pellegrini. Nascono o si rafforzano attività economiche legate all’accoglienza: albergues, ristoranti, negozi di artigianato. Tuttavia, non mancano le contraddizioni. Alcune comunità lamentano una “turistificazione” eccessiva, che altera l’autenticità locale e genera tensioni tra residenti e visitatori. Inoltre, la presenza stagionale e discontinua dei pellegrini rende difficile uno sviluppo strutturato e sostenibile. Da un punto di vista sociologico, questo fenomeno può essere interpretato come un esempio di “glocalizzazione”: un’interazione tra dinamiche globali (il Cammino come fenomeno internazionale) e risorse locali (paesaggi, cultura, ospitalità). La sfida consiste nel trovare un equilibrio tra valorizzazione e tutela, evitando la trasformazione del Cammino in una semplice “attrazione” turistica.
Il Cammino di Santiago, nella sua complessità, rappresenta un laboratorio privilegiato per l’analisi della società contemporanea. Esso incarna molte delle tensioni e delle trasformazioni tipiche della modernità avanzata: la crisi dei riti tradizionali, la ricerca di spiritualità individualizzata, il bisogno di autenticità, la riscoperta del corpo e del tempo lento, la socialità fluida e la connessione globale-local. Camminare verso Santiago oggi non significa solo percorrere un itinerario fisico, ma compiere un viaggio simbolico all’interno della propria identità e della società. Per questo, il Cammino continua ad attrarre pellegrini di ogni provenienza: perché offre una risposta, seppure temporanea e personale, a una domanda universale di senso.
Dott. Franco Faggiano, EPS (Esperto Progettazione Sociale) socio dell’ASI (Associazione Sociologi Italiani) |
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