Gadget a stelle e strisce. La bandiera USA nell’immaginario collettivo

di Patrizio Paolinelli

Ho deciso di scrivere questo articolo dopo avere visto in Tv un filmetto intitolato “Il mostro di Cleveland“. La pellicola si ispira a fatti realmente accaduti nella città dell’Ohio, dove nel 2002 un conducente di scuolabus rapì e tenne sequestrate nel seminterrato della propria abitazione tre giovani ragazze allo scopo di abusarne sessualmente.

Dieci anni dopo le tre ragazze riescono fortunosamente a richiamare l’attenzione dei vicini e a evadere. Nel film, mentre una delle sfortunate protagoniste esce dalla casa del sequestratore scortata da un nugolo di poliziotti, appare all’improvviso la bandiera degli USA che sventola al ralenti. Cosa c’entra tale sequenza all’interno della narrazione di un terribile fatto di cronaca? Nulla. Anzi, ci sarebbe solo da vergognarsi che cose del genere accadano nel proprio Paese. Allora perché questa forzatura? Perché l’intento della regista, Alex Kalymnios, è ideologico: associare la bandiera USA alla libertà. A chi è diretto tale messaggio? A un pubblico acritico e culturalmente fragile dato che il film è di scarsissima qualità. Deficit che però ha autorizzato la forzatura narrativa.

Spegniamo la Tv e usciamo per strada: ovunque si vada è quasi impossibile non incontrare qualcuno che non porti impresso sui propri vestiti o su qualche accessorio la bandiera USA. Un lunga serie di oggetti e di indumenti offrono docilmente le loro superfici: borse, zaini, portachiavi, accendini, montature per occhiali, custodie per cellulari, astucci, magliette, cappelli, scarpe sportive, caschi per motociclette, bigiotteria e così via. Le strade non sono l’unico spazio pubblico dove si può notare la costante presenza di portatori della bandiera USA. Anche la spiaggia è un teatro per la sua esibizione: asciugamani, costumi da bagno, bermuda, canotte, bandane, giochi di diverso tipo, tavole da surf hanno frequentemente impresse le stelle e le strisce a volte corredate da un’accigliata aquila calva. Capita anche – e questo accade un po’ ovunque – che la bandiera non sia riprodotta fedelmente. Ma che l’asciugamano o la maglietta presentino motivi che ne richiamano i colori e le forme. Questa riduzione assume un significato particolare: la bandiera degli States è stata talmente assorbita dall’immaginario collettivo che non c’è bisogno di insistere con l’originale. Anzi, meglio non insistere: che sia il portatore e l’osservatore a ricostruire mentalmente l’immagine originaria, così gli apparirà ancora più naturale, come qualcosa di spontaneo, qualcosa che gli nasce da dentro.

Senza insistere oltre su luoghi e prodotti che vedono la presenza della bandiera USA si può affermare che in Italia e più in generale in Occidente essa è entrata a far parte della vita quotidiana. Non altrettanto si può dire delle altre bandiere nazionali, compresa la nostra.

Prof. Patrizio Paolinelli ==>>

E’ evidente che si tratta di un’occupazione simbolica dei territori dell’immaginario e della coscienza. Occupazione che lascia pochissimo spazio ad altre bandiere. Ovviamente al verbo occupare molti preferirebbero il verbo prevalere, ma non ci sembra questo l’essenziale. Ovvero: è essenziale sul piano politico: con la Seconda guerra mondiale gli USA hanno liberato l’Italia e la Germania o le hanno conquistate? Per quanto riguarda la Germania, Hans Magnus Enzensberger parla apertamente del suo paese come di un protettorato statunitense, mentre in Italia il tema è un vero e proprio tabù. In ogni caso è forse altrettanto essenziale comprendere, almeno a un primo livello, il meccanismo che ha prodotto lo sbilanciamento quantitativo e qualitativo tra bandiere a favore di quella USA. Possiamo iniziare partendo da un semplice fatto: all’onnipresenza della bandiera a stelle e strisce nel nostro paesaggio urbano non corrisponde un’altrettanta onnipresenza nella pubblicità. Il motivo è semplice: urterebbe il sentimento nazionale di italiani, tedeschi e così via. Dunque il mito della bandiera statunitense non può essere veicolato con le stesse tecniche con cui sono promossi tanti altri prodotti che sostanziano l’immaginario made in USA: dai jeans alla Coca-Cola, dalle Marlboro al rock and roll, da McDonald all’i-Phone e così via. La bandiera a stelle e strisce impressa in una maglietta è un mito afasico perché non c’è nessuno che lo promuova ufficialmente; la sua diffusione avviene trasversalmente, discretamente, talvolta in silenzio, mentre altri miti a stelle e strisce sono strillati quotidianamente dai mass-media con valanghe di parole e di immagini.

A sostegno della bandiera che prolifera su oggetti materiali acquistati volontariamente dal consumatore, nel cinema e in Tv la bandiera statunitense sventola di continuo per decisione unilaterale dei produttori di immagini (si provi per qualche sera a tenerne il conto). Nonostante la complementarietà muta il contesto: dal mondo dalla realtà siamo passati al mondo delle apparenze. E qui la musica cambia. Poliziotti che scovano cattivi, avvocati in cerca di verità e spie che salvano il mondo, tutti insieme e ognuno per la sua parte, fanno giustizia, affermano le norme, ripristinano l’ordine e la legalità. Soprattutto: danno prova di forza e non si contano i morti tra gli avversari di turno (dai pellirosse agli arabi). Al cinema la sicurezza nazionale è invocata di continuo e in suo nome non si va tanto per il sottile. Spionaggio illegale dei cittadini, guerre sporche, nemici crudelissimi assicurano all’eroe di turno il lieto fine: comunque vada gli USA vincono sempre. Qual è dunque il significato della sovraesposizione mediatica della bandiera USA? Quella di dire al pubblico che la vedono per così tante volte al cinema e in televisione che gli States sono invincibili; sono la potenza carismatica del mondo.

Ma mostrare i muscoli non basta. Ed ecco che, sempre tramite i media, la bandiera USA rappresenta un valore universale: la libertà. Per coloro che vedono negli Stati Uniti un impero con intenzioni di dominio sull’intero pianeta la libertà a stelle e strisce è estremamente parziale e si riduce essenzialmente a produrre e consumare. La stessa società statunitense con le sue enormi contraddizioni, la sua endemica violenza, la sua scandalosa povertà affiancata a un’altrettanto scandalosa ricchezza non offre certo un modello sociale su cui fondare una democrazia sostanziale. Tant’è che ai tempi d’oro del movimento contro la globalizzazione capitalistica in Rete circolavano i détournement dei sabotatori culturali di Adbusters. I quali modificavano la bandiera USA sostituendo le stelle con teschi, bombe, marchi di multinazionali, il simbolo del dollaro e così via. Fuori da Internet o dalle riviste cartacee del movimento tali irriverenti manipolazioni erano e sono praticamente invisibili. In altre parole, per strada e sui media la bandiera originale detiene il quasi monopolio. Criticare è possibile purché si resti in un recinto ben definito e assai distante dal grande pubblico. Indumenti, calzature, accessori e oggetti su cui è rappresentata la bandiera USA sono prodotti di largo consumo, pertanto in genere a basso costo. Il che ovviamente facilita l’affermazione di un mercato che pare essere in continua espansione. Ma chi sono i maggiori consumatori di tale mercato?

Ad un’osservazione empirica sembra siano prevalentemente adolescenti e proletariato urbano. Gli adolescenti paiono i destinatari privilegiati sia perché sono i maggiori consumatori dei prodotti della cultura di massa  – di cui in Occidente gli USA costituiscono la principale fonte di novità – sia perché è in quella fase della vita che si aderisce a visioni e idee politiche. Visioni e idee che, salvo esperienze traumatiche, solitamente rimangono le stesse per tutta l’esistenza. Non a caso la bandiera USA applicata all’abbigliamento non segue i ritmi della moda. La sua presenza è infatti perenne. E in quanto perenne atemporale. E in quanto atemporale l’ideale politico è compendiato nella solita parola: libertà. Un valore buono per tutte le epoche e per tutti gli usi: quale despota si sognerebbe mai di dire che tiranneggia il popolo? Di quale libertà si parla allora? Di quella delle ragazze che dopo anni di prigionia riescono a sottrarsi dalle grinfie di uno stupratore come nel film “Il mostro di Cleveland”? Sì. Ed è sì perché l’ideale di libertà promosso dalla bandiera USA stampata nell’abbigliamento e nei più diversi accessori è talmente vago che ognuno può fabbricarsi il proprio, anche se poi il sogno americano coincide regolarmente col conto in banca. E comunque in tanti non si fabbricano alcun ideale di libertà. In metropolitana mi è capitato una volta di chiedere a dei ragazzi perché indossassero cappelli e magliette decorati con la bandiera statunitense. Dopo un attimo di smarrimento eccoli rifugiarsi nel principio estetico: “Perché ci piace”. Risposta che non ammette repliche. Ovviamente ci ho provato lo stesso e alla domanda: “Vi piace più di quella italiana?” Ne è seguito un breve dibattito in cui è emerso: 1) la bandiera USA fa tendenza, quella italiana “E’ vecchia, sa de muffa”; 2) la bandiera a stelle e strisce rappresenta un segno di distinzione collegato alla moderna mitologia della gioventù. Avrei potuto obiettare che piace anche ai meno giovani, i quali non disdegnano di indossare indumenti che la riproducono. Non l’ho fatto perché alla fin fine come sindacare il gusto? Lo si può criticare fin che si vuole, ma dal momento che ha occupato uno spazio mentale e dona piacere allo sguardo non si può che prendere atto della sua affermazione, così come non si può non prendere atto dell’esistenza dei nani da giardino per quanto siano relegati dagli esperti di estetica nella categoria del kitsch.

Intendiamoci: per gli statunitensi la bandiera rappresenta davvero la libertà e in particolare quella personale. Tant’è che non è infrequente trovarla esposta nei giardini o sui tetti delle abitazioni private e dalle scuole elementari gli scolari sono abituati a salutare la bandiera. La sua importanza simbolica è tale che, su pressione della stampa neoconservatrice, persino un critico della politica USA come Michael Moore, dovette dichiarare anni fa di averla esposta davanti alla porta di casa. Insomma gli fu chiesta prova dl suo patriottismo. Perché è proprio il patriottismo il valore di fondo incorporato nella bandiera. E alcuni ne sono più di altri i portatori: gli uomini di Stato, quelli politici e i militari. Non è un mistero per nessuno che, sotto la supervisione  della Casa Bianca, Hollywood, Pentagono e sistema universitario siano integrati per la difesa del Paese. Da questa integrazione sono scaturite le note dottrine dell’hard-power e del soft-power. Nell’ambito delle relazioni internazionali con la prima si intende l’uso della forza militare ed economica; con la seconda la diffusione mondiale dei propri valori culturali. Qual è dunque la funzione principale della propagazione della bandiera USA riprodotta dentro e fuori lo schermo? Quella di far sentire gli stranieri anche un po’ patrioti americani. Stranieri al servizio di due bandiere: quella propria e quella acquisita. Quali migliori alleati?

Patrizio Paolinelli via Po cultura, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro


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