Eponimi: un po’di sociolinguistica

Il termine eponimia ha diversi significati. Da un punto di vista strettamente linguistico indica la relazione di inclusione che c’è tra due lessemi, ossia le unità minime che costituiscono il lessico di una lingua, per quanto riguarda il piano del contenuto, se il significato di uno è incluso in quello dell’altro. Tale relazione si caratterizza secondo due diversi rapporti d’inclusione fra loro complementari: l’iperonimia e l’iponimia. MARINO D'AMORELa prima si palesa quando il significato del primo lessema, più generale, è incluso nel significato, più specifico, del secondo: ad esempio fiore è iperonimo di rosa.La seconda, invece, si ha quando il significato del secondo lessema è incluso in quello del primo secondo una logica meramente speculare: rosa è iponimo di fiore. Due o più iponimi di un iperonimo sono detti co-iponimi: rosa e tulipano sono quindi co-iponimi di fiore. Le due relazioni costituiscono in sostanza una sorta di gerarchia linguistico-semantica connotandosi in maniera reciproca. Ma il termine eponimo definisce anche un ulteriore concetto, un altro tipo di relazione tra significati e significanti entrata prepotentemente, e ormai radicata, nel background lessicale dei parlanti di una lingua.Tale relazione si palesa nell’attribuzione del nome di un personaggio (dal greco epónymos, composto di epí “sopra” e ónyma “nome”; cioè “soprannominato”), sia esso reale o fittizio, ad una città, un luogo geografico, una dinastia, un periodo storico, un movimento artistico, o altro.

In seguito ad Atene e a Roma, si attribuirono all’anno in corso rispettivamente il nome dell’arconte e del console in carica. Titolare di questo diritto era anche il presidente degli efori a Sparta. Più recentemente il termine eponimo ha assunto un’altra valenza: invenzioni, leggi scientifiche, teoremi matematici e formule vengono infatti ricordati col nome del loro scopritore o inventore. La conoscenza di tali eponimi è considerata in genere utile, per la sua valenza mnemonica, ma anche doverosa, per il giusto tributo d’onore che si rende al merito e a queste menti. In campo medico tale utilizzo, attestato già dall’antichità (basti ricordare la “successione ippocratica” o il “preparato galenico”, che fanno riferimento rispettivamente a Ippocrate e a Galeno, i due più famosi personaggi della Medicina Antica), vale per numerose sindromi, malattie, segni clinici, metodiche diagnostiche e terapie. In qualche sparuto caso viene invece ricordato il nome del primo paziente al quale è stata diagnosticata la malattia (per esempio nel caso dell’olio di Lorenzo, del fattore di Hageman o del morbo di Gehring).

Stephen Stigler, figlio dell’economista George Stigler, ha enunciato una legge dell’eponimia, che afferma che il soggetto eponimo non è il reale demiurgo della scoperta-invenzione, ma è colui che interviene essenzialmente nel processo di diffusione e promozione della stessa: A una scoperta scientifica non si dà mai il nome del suo autore. Si possono enunciare numerosi esempi che avallano, confermandola, questa teoria. La legge di Snell della rifrazione era nota a Ibn Sahl nel X secolo, il disco di Newton è descritto da Claudio Tolomeo; Robert Hooke ha scoperto, tra l’altro, la ruota di Savart, gli anelli di Newton e la legge di Boyle, ma non il giunto universale di Hooke, che, prima di essere chiamato giunto di Cardano , risaliva all’antichità, la formula di quest’ultimo per la soluzione delle equazioni di terzo grado, d’altra parte, prima che a Cardano, era nota a Tartaglia, ma non era neppure una sua creazione, e così via. Le scoperte tendono ad essere attribuite il più delle volte a pochi personaggi che svolgono un ruolo analogo a quello degli eroi dell’antichità: Isaac Newton e Cartesio sono alcuni degli esempi più rappresentativi di questa tendenza. Da un punto di vista linguistico il fenomeno dell’eponimia ha contribuito a creare nuovi significanti come detto, nuove parole entrate a far parte integrante del nostro bagaglio lessicale. Il verbo pastorizzare, per esempio, che oggigiorno troviamo declinato al participio passato sulle confezioni del latte non è nient’altro che la trasformazione del nome del famoso scienziato Louis Pasteur, il quale per primo scoprì e applicò sugli alimenti il processo di risanamento termico (la pastorizzazione appunto)  allo scopo di eliminare microrganismi non sporigeni patogeni.

Per non parlare di Joseph-Ignace Guillotin, il quale è stato un medico francese, originario della città di Saintes ed è divenuto celebre per aver dato il nome alla macchina per le pene capitali tramite decapitazione, la ghigliottina appunto, sebbene non ne sia stato l’inventore effettivo. Altri casi molto interessanti che si possono citare e che caratterizzano tale fenomeno linguistico sono certamente quelli che riguardano John Montagu, Charles Cunningham Boycott e Mitridate. Montagu, quarto conte di Sandwich, fu un ammiraglio e diplomatico britannico,  notoriamente un uomo molto impegnato e spesso lo si indica come l’inventore dell’omonimo panino, il sandwich appunto. Pare che l’invenzione sarebbe stata fatta per permettere al conte di mangiare mentre giocava, ma i suoi biografi affermano che non andò così: è però alquanto probabile che il panino fosse un modo per mangiare senza allontanarsi dalla scrivania per permettere al diplomatico di continuare a lavorare. Charles Cunningham Boycott fu un imprenditore e amministratore terriero inglese, il quale scatenò l’ostracismo della sua comunità locale in Irlanda che sosteneva la campagna per i diritti dei mezzadri del 1880 e dette alla lingua inglese il verbo “to boycott”, ovvero boicottare.

Mitridate VI, noto anche come Mitridate il Grande e Mitridate Eupatore Dioniso, fu re del Ponto dal 120 a. C. sino alla sua morte. È ricordato come uno dei più formidabili avversari della Repubblica Romana, che costrinse a ben tre guerre, impegnando tre dei più grandi generali romani: Lucio Cornelio Silla, Lucio Licinio Lucullo (da cui l’aggettivo luculliano che indica un pasto particolarmente lauto e delizioso) e Gneo Pompeo Magno.

Si tramanda che, quando Mitridate VI fu finalmente sconfitto da Pompeo, essendo in pericolo di essere catturato dai Romani, egli tentasse il suicidio per mezzo di un veleno; tuttavia, questo tentativo fallì a causa della sua immunità allo stesso (da qui il verbo mitridizzare, ossia rendere un individuo immune al veleno).Questi sono solo alcuni degli esempi che evidenziano la ricchezza della nostra lingua che connota e influenza il nostro agire sociale, come direbbe Weber, e che ci responsabilizza sul nostro ruolo di comunicatori di cultura e tradizione.

dott. Marino D’Amore

sociologo della comunicazione


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