Istituzioni, federalismo e principio di ragionevolezza

                      Il senso delle misure in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica

 

MARCO LILLI NUOVA FOTOSovente mi è capitato e capita di dire che “dove non arriva il buon senso, arriva la legge”, ma ancora più spesso mi pare assistere che dove la legge è a dir poco discutibile, allora, per fortuna, interviene la Corte Costituzionale con la sue autorevoli decisioni, che in qualche modo riallineano sul piano della ragionevolezza ciò che avrebbe dovuto comprendere ancor prima il legislatore.

Il caso oggi proposto riguarda l’articolo 14, commi 28 e 27, del Decreto-Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122, che così tra l’altro stabilisce: «I comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione d’Italia, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione» tutta una serie di funzioni fondamentali come, esemplificando, il trasporto pubblico comunale, i servizi di polizia locale, la progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali e molto altro ancora.

Pertanto, come intuibile e comunque noto da anni, la ratio della norma è quella di imporre (leggasi, obbligatoriamente) a tali Enti un esercizio amministrativo in forma associata con altri comuni limitrofi. Sicché, di recente, la Corte Costituzionale, con la Sentenza depositata lo scorso 4 Marzo 2019, ha dichiarato incostituzionale la novella qui in esame nella misura in cui non consente ai Comuni dalla medesima indicati di poter dimostrare che, in tale modo di amministrazione associata, non sono realizzabili economie di scala e/o miglioramenti nell’erogazione dei beni pubblici offerti alla cittadinanza di riferimento.

Per la precisione, il giudizio di legittimità costituzionale ha riguardato – testualmente nel suo insieme – l’art. 14, commi 26, 27, 28, 28-bis, 29, 30 e 31, del Decreto-Legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in Legge 30 luglio 2010, n. 122, anche come modificato dall’art. 19, comma 1, del Decreto-Legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in Legge 7 agosto 2012, n. 135, e dell’art. 1, commi 110 e 111, della Legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante «Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilità regionale 2014)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione Prima Ter, nel procedimento vertente tra il Comune di Liveri e altri e il Ministero dell’Interno e altri, con ordinanza del 20 gennaio 2017, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, Prima Serie Speciale, dell’anno 2017.

Tuttavia, per quanto qui di interesse, precisa la Corte, richiamando altre decisioni precedenti: «le questioni vertono essenzialmente, più che sulle forme associative in sé considerate – della cui legittimità costituzionale […] non è possibile dubitare –, sull’obbligo che di queste viene imposto». Infatti, la disciplina di riferimento non assicurerebbe il rispetto della Carta europea dell’autonomia locale; giacché per concetto di autonomia locale «s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici»; e che tale prerogativa è esercitata «da consigli e assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti». Perciò, la stessa forma associativa risulterebbe lesiva «nel contesto dell’autonomia comunale, dell’archetipo del principio rappresentativo e delle sue necessarie implicazioni: l’essere cioè in grado di ricevere dalla comunità locale un proprio indirizzo politico e di tradurlo in scelte di politica amministrativa». In definitiva, conclude la Corte Costituzionale: «Il menzionato comma 28 è pertanto illegittimo nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento».

■ Sentenza 33/2019; giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Presidente: Lattanzi – Redattore: Antonini. Udienza Pubblica del 08/01/2019; Decisione del 24/01/2019. Deposito del 04/03/2019; Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 06/03/2019 n. 10 ■

 Dott. Marco LILLI

(Giudice Onorario del Tribunale di Sorveglianza)

www.marcolilli.it

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Contributo presente anche in “Sociologia Contemporanea” (ISSN 2421-5872)

 


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