INTERCULTURA: Flessibilità come luogo cognitivo del potere

 

di Antonino Calabrese

Sommario

La multiforme condizione di erranza necessita di nuove soglie interpretative poiché comporta nuove comunicazioni qualitativamente e quantitativamente più intense. Il relativismo culturale ha decostruito ogni certezza e pertanto diventa difficile costruire nuovi schemi alternativi, ove l’identità diviene necessariamente e coattamente flessibile. Le dinamiche di trans-figurazione non sono però neutrali, in quanto sono viziate da esigenze socio-culturali esogene, quindi non rispecchianti l’esigenza timica dell’individuo. Ciò sottintende frammentazioni e difficoltà coabitative che possono essere superate mediante il concetto della cittadinanza. Tale problematica implica la ri-mediazione del concetto di sé che, se colta nella sua naturale dilatazione positiva, può condurre a conclusioni affatto pessimistiche.

Abstract

The multiform condition of wandering requires new interpretive thresholds because it involves new forms of communication, which are qualitatively and quantitatively more intense. The cultural relativism deconstructed every certainty and therefore it becomes difficult to construct new alternative patterns, where the identity becomes necessarily and coercively flexible. However the dynamics of trans-figuration are not neutral, as they are vitiated by exogenous socio-cultural needs, which don’t reflect the individual’s thymic need. This implies fragmentations and cohabitation difficulties that can be overcome through the concept of citizenship. This problem involves the re-mediation of the self-concept which (if taken) in its natural positive expansion can lead to no pessimistic conclusions.

Parole chiavi

Intercultura, alterità, integrazione, pluralismo, immigrazione, flessibilità, etnocentrismo, razzismo, cittadinanza

Key words
Interculture, otherness, integration, pluralism, immigration, flexibility, ethnocentrism, racism, citizenship

1. La demitizzazione dell’uomo occidentale, attuata soprattutto dall’antropologia culturale, è sicuramente una grande conquista. L’approccio ermeneutico ha dato risalto al relativismo culturale e dunque ha lasciato spazio alla valorizzazione dell’altro. Centrale diviene pertanto il concetto di integrazione basato su un’interazione sistemica di elementi istituzionali, ideativi, simbolici e valoriali. Si è passati così da un’integrazione fondata sul legame parentale a un’integrazione basata sul diritto, spazio attivo in cui l’azione deve essere tesa alla costruzione di un’interdipendenza reciproca, piuttosto che su una mera annessione (Harrison G., 1998).

L’inter-cultura è l’elaborazione di un sapere e di un agire che porta a nuove intuizioni e a nuovi spazi per la conoscenza. È caratterizzata da un processo di inclusione delle differenze che ha il compito di prevenire le emarginazioni e di incrementare la densità coesiva sociale; essa è certamente una sfida.

Il continuo decorrere delle trasmigrazioni dalla periferia al centro (e viceversa) promuove percorsi di scambi interculturali sponsorizzati da programmi di mobilità europea, al fine di dar luogo a salienti pratiche d’incontro. L’opera di sensibilizzazione è attualmente attiva con la collaborazione e la progettazione di associazioni di stampo per lo più umanistico sia con organismi internazionali che con enti locali. Accogliere significa oggi valorizzare le diversità, lavorando su prospettive comparative in grado di cogliere dissonanze ed elementi comuni, mediante uno strategico sguardo etnografico e un più saggio atteggiamento post-colonialistico. L’inter-cultura diviene dunque una prassi pedagogica di educazione e mediazione, caratterizzata da un pluralismo in continua rielaborazione, contraddistinto a sua volta da percorsi interattivi.

Tuttavia, Il pluralismo che nasce e cresce sull’humus della differenza, alligna oggi in una situazione paradossale – vista l’inclinazione della divergenza capitalistica dell’omologazione.

La dialettica interposta tra mondo globale e realtà locali impone che essi si contendano i medesimi spazi. Spazi pubblici sempre più ridotti che – come ha sottolineato Touraine – sono frutto della desocializzazione e della compressione dell’attore sociale

La globalizzazione è stata smodatamente celere ed ha evidenziato l’impreparazione collettiva a un cambiamento non sentito, ma imposto in modo esogeno.

2.Oggi l’immigrato viene vissuto come capro espiatorio di conflitti sociali, generando ansie e paure che distolgono dalla sostanzialità del problema.

Quello dell’interculturalità è un tema nodale in relazione alle seguenti cagioni: 1) ritorno del razzismo e conseguenti chiusure tendenzialmente irrazionali; 2) migrazione dei popoli in virtù della bomba demografica e del problema lavoro; 3) crisi della cultura occidentale con la ridiscussione di valori guida ed esigenze di autocritica.

Attualmente le tendenze razzistiche si manifestano sovente con politiche di esclusione e controllo delle minoranze, mostrando atteggiamenti di ostilità e frammentazione, rappresentando cioè spesso sotto mentite spoglie una nuova polarizzazione culturale.

Il panorama descritto da Serge Latouche in L’occidentalizzazione del mondo, vede oggi molti popoli affascinati dal mondo occidentale, i quali agognano di approdarvi mediante processi di imitazione, giacché hanno preso direttamente o indirettamente coscienza del loro “sottosviluppo” – diventando invero delle copie mal riuscite e attuando intrinseche dinamiche di deculturazione. Tale vicenda appare avere esiti ambigui, poiché in talune realtà viene meno la stima di sé e spesso l’imitazione diviene solo un sentimento illusorio di conquista della libertà.

Ciò ci spinge ancora una volta a congedare l’etnocentrismo, evitando ad ogni modo qualsiasi forma di sciovinismo, e riconoscendo marcatamente la titolarità dei diritti individuali all’interno della comunità quali assetti di mutua rappresentazione.

Le società stanno divenendo mosaici multietnici e proprio per tale motivo è necessario sviluppare una coesione spirituale che implichi lo smussamento di polimorfe resistenze. La convivenza è, innanzitutto, una coabitazione morale. Bisogna quindi spostarsi sul “noi”, mettendo in atto una visione laica della cultura e della convivenza sociale, concependo tale scopo come autentica rivoluzione culturale.

Se ciò non verrà realizzato, si ricalcheranno i molteplici effetti di sradicamento, perdita e confusione, nonché di inquietudine e spaesamento già affermati dalla dislocazione e dalla reificazione del soggetto-merce.

L’accettazione diviene, in maniera duplice, emergenza sociale e compito etico-politico per rispondere a interrogativi urgenti e complessi. Richiede, quindi, volontà e vigilanza, poiché l’altro è portatore di modelli difformi.

La cultura del meticciato implica lo sforzo cognitivo della presa di coscienza dell’instabilità dell’io e reclama l’archiviazione delle resistenze. Tale transfigurazione comporta un mutamento di forma e struttura, nonché una frantumazione dell’implicito.

Se da parte dei tradizionalisti l’altro viene concepito come un nemico, è l’identità che è vissuta nel medesimo modo dai globalisti: identità in quanto negazione della differenza e privilegiamento dell’identico. Posizione affatto non criticabile, in quanto nella modernità l’identità non è più la riconduzione all’unico sostenuta dai greci (arché) ma, diversamente, fondamento delle radici psichiche individuali e collettive in ottica psicoanalitica. Quest’ultima ha il merito di aver decostruito l’io, relativizzandolo, ma legandolo al contempo a un passato e a un presente, risultato dell’interazione con l’ambiente e con le relazioni socio-affettive – l’identità può essere altresì ritenuta patrimonio etnoantropologico. Vivere l’identità significa trovare la sicurezza della permanenza del sé e della radicazione sociale, l’ancoramento a un cosmo di valori che crea un senso di equilibrio interiore e che produce soddisfazione (Cambi F., 2008).

Oggi si parla di io minimo o di soggetto debole, per riferirsi a identità mobili, incerte e costantemente aperte, ove la cultura della migranza, del nomadismo e del meticciato rappresentano un’individualità fluttuante e inattingibile.

La “flessibilità” diviene luogo cognitivo del potere, esca dell’oggettivazione soggettiva dell’individuo, nonché appiglio di mediazione asimmetrica improntata alla dis-armonia delle classi proletarizzate.

Vi è così una nuova axiologia fondata su valori-in-movimento che elabora una tassonomia di atteggiamenti che interiorizzino la disposizione alla mescolanza. Il decostruzionismo fondante – di per sé costruttivamente critico – produce un sé in perenne formazione e mai realizzato in toto che, se valorizzato opportunamente, può rappresentare la più grande scommessa per il futuro.

3. L’integrazione deve riprodurre un vantaggio e non uno sfaldamento identitario sociale e personale. Per tale motivo non è possibile pensare all’uomo post-moderno come l’eterno avventuriero, il viaggiatore imperterrito e camaleontico, capacità che spetta solo ad alcuni individui e che non può travolgere la tranquillità socio-esistenziale di chi ha il diritto di condurre una vita in antitesi alle volate del progresso.

Rilevare la precarietà dell’identità storica può essere una questione appassionante, ma ci sono delle limitazioni da rispettare: se è vero che l’identità è un mix storico-evolutivo, essa è anche una dimensione spazio-temporale che volenti o nolenti caratterizza socialmente e individualmente l’animale sociale.

Nella società niente è irreversibile, ma tutto ha un suo tempo. La perentorietà del tropo della Roma Imperiale deve essere novamente vagliata, in quanto siffatta società era sì multiculturale, ma era violenta, autoritaria e totalitaria, ovvero basata su dinamiche non sovrapponibili a quelle odierne.

La krasis come esperienza arricchente finisce col de-centrare la badiale questione economica. Le conquiste della modernità non possono essere di certo ammainate e per tale motivo è necessario cogliere i segnali di disagio, senza nasconderli sotto il tappeto dell’individuo open-mind. Il nostro è certamente un tempo di rottura e innovazione con conseguenzialità inedite che vanno peculiarmente al di là dei ricorsi storici.

L’assetto melting pot non può essere ricondotto alla retorica dell’incontro, ma deve proporre soluzioni che riescano a mediare le identità, senza metterle in contrasto tra loro. A tal proposito il concetto di cittadinanza può racchiudere e rappresentare al meglio una comunità basata su processi ibridativi, sotto un’accoglienza responsabile e reciproca. Bisogna pervenire al mutamento del frame interpretativo corrente, spostando il bando della matassa dai criteri di appartenenza a quelli di rispetto della persona, inserita in un contesto di leggi e regole.

Il concetto di tolleranza, esaltato da figure quali Erasmo e Voltaire, è una risorsa preziosa che servirà ad aprire nuovi spazi comunicativi e tracciare percorsi comuni in un clima di rispetto cosciente e giammai per mezzo degli artifici equivoci di un’acculturazione cogente.

Riferimenti bibliografici

Beals R., Acculturation, in A. L. Kroeber (a cura di), Anthropology Today, The University Chicago Press, Chicago 1954
Bolognari V., Intercultura: Paideia per una nuova era. Studi e ricerche del Dottorato in Pedagogia Interculturale dell’Università di Messina, Pensa Multimedia, Lecce 2004
Callari Galli M., Lo spazio dell’incontro, Meltemi, Roma 1996
Cambi F., Intercultura: Fondamenti pedagogici, Carocci, Roma 2008
Hoffe O., Globalizzazione e diritto penale, Comunità, Torino 2001
Rodotà S., I diritti non hanno confine, in “La Repubblica”, 10 febbraio 2000

unione-europea-finanzia-progetti-istruzione-e-formazione-professionale-678x381

Author

Antonino Calabrese

 

Dott. Antonino Calabrese
Sociologo della Comunicazione, Esperto in Semiotica e Scienze Cognitive
Responsabile Comunicazione Associazione Sociologi Italiani
calabrese.antonino89@gmail.com

 

 

 

 


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio