Il disprezzo: riflessioni sul significato antropologico e sociologico di questa emozione complessa

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Le emozioni rendono più efficace ed immediata la reazione dell’individuo in situazioni per cui è conveniente e desiderabile avere una risposta pronta, adatta ai fini della sopravvivenza. La reazione immediata e pronta non utilizza processi cognitivi ed elaborazione cosciente, ma avviene in modo automatico, direi d’istinto. Dal punto di vista sociologico la funzione delle emozioni è relazionale poiché comunicano agli altri le nostre reazioni psicofisiologiche potendo creare aggregazione e complicità necessarie per il consolidamento dei legami sia in ambito famigliare che comunitario. Le emozioni hanno quindi una funzione psico-auto-regolativa, facilitando la comprensione dei propri stati d’animo e delle reazioni fisiologiche in risposta agli stimoli ambientali e soprattutto all’interazione con gli altri.

 La religione come mezzo di coesione nel popolo

All’interno di un popolo la religione rappresenta un elemento di coesione formidabile: favorisce il senso di appartenenza e di fratellanza tra le persone. Partecipare ad una funzione, cantare in coro, pregare insieme, prendere parte ad una celebrazione, recarsi tutti insieme ad un pellegrinaggio ci fa sentire popolo, popolo di Dio, tutti fratelli. Anche quando non ci si conosce, appartenere alla stessa fede ci rende simili, ci avvicina l’un l’altro, rende possibile l’aiuto reciproco, la condivisione. Nella stessa fede si condividono ideali comuni, si prega per intenti comuni, si lavora ad un progetto condiviso. È molto più facile sviluppare il senso di appartenenza e l’autorealizzazione per chi professa una fede. Nei bisogni esplicitati dalla piramide di Maslow metteremmo la religione al vertice.  D’altra parte, se due famiglie all’interno di una medesima nazione professano religioni differenti, (o anche due persone nella stessa famiglia) avranno una visione del mondo e della vita differenti, il più delle volte invece di arricchirsi reciprocamente grazie alla pluralità dei punti di vista, professare credi differenti rappresenta un possibile elemento di divisione. È sufficiente differenziarsi anche di poco, per odiarsi, farsi la guerra. La religione è stato spesso nella storia un elemento di divisione tra i Popoli.

 Il disprezzo alla base delle divisioni tra le religioni

Nel ricercare quale sia il meccanismo con cui la religione crea divisioni ed odio troviamo in modo abbastanza costante il disprezzo. Il disprezzo è agito nei confronti di chi non professa la stessa fede. Questo nonostante tutte le religioni insegnino il rispetto della vita, della famiglia, e professino l’amore. Le religioni monoteiste di matrice giudaico-cristiano-islamica traggono parte della propria forza di coesione dal disprezzo per le altre religioni.Non è un caso che tra i 10 comandamenti che Dio ha dato a Mosè sul monte Sinai, non esista “non disprezzare”. Nei comandamenti si tratta della preghiera, della proprietà privata, dell’adulterio, della sincerità ma non una parola, né un accenno al disprezzo. Non può essere certo una dimenticanza. Riteniamo che il disprezzo sia funzionale alla religione, alla diffusione di un credo religioso, alla sua affermazione a discapito delle altre religioni. Disprezzo qui inteso non come qualità morale ma come in senso psicodinamico e neurofisiologico. Il disprezzo è una emozione fondamentale. È una delle emozioni fondamentali presente in ogni cultura. Fa parte dell’essere umano stesso.I cristiani si sentono sdegnati dai mussulmani, i mussulmani si sentono disprezzati dai cristiani. Questo è quanto emerso dai sondaggi eseguiti nei diversi Paesi ed è quello che si evince andando ad analizzare sul piano neurofisiologico il significato del disprezzo.

Un metodo di indagine scientifica per il confronto tra religioni monoteiste è stato ideato tra il 2001 e il 2007 dalla Gallup Organization. Sono state eseguito decine di migliaia di interviste lunghe un’ora, strutturate, con i residenti di più di 35 nazioni a maggioranza musulmana, o caratterizzate da una massiccia presenza musulmana, il metodo di campionamento era casuale e comprendeva tutte le fasce di età e di estrazione sociale, aree urbane e rurali. Il sondaggio che rappresenta in modo statisticamente significativo più del 90% del miliardo e trecento milioni di musulmani presenti nel mondo, costituisce uno dei maggiori e più vasti studi sull’Islam mai eseguiti. In questo sondaggio si tentò di rispondere alle domande: quali sono le radici del fondamentalismo islamico, chi sono i fondamentalisti? Che radici hanno? I musulmani vogliono la democrazia? A cosa aspirano le donne musulmane?

Le risposte date dai musulmani si possono riassumente nelle seguenti:

  1. Chi parla a nome dell’Occidente? Ogni Paese occidentale viene visto e giudicato a sé, non viene sistematicamente identificato l’Occidente con gli USA.
  2. Quale è il principale desiderio/aspirazione dei musulmani? Avere un lavoro migliore è la risposta più frequentemente data sia da uomini che da donne.
  3. È accettabile un attacco contro i civili per punire lo stato? Moralmente è inaccettabile è stata la risposta unanime.
  4. È giustificabile il terrorismo? La maggioranza rifiuta e condanna il terrorismo.
  5. Cosa ammira di più un islamico dell’Occidente? La tecnologia e la democrazia.
  6. Cosa critica di più un islamico dell’Occidente? La decadenza morale e l’abbandono dei valori tradizionali.
  7. Rivolta alla donne: desidera la giustizia di genere? Solo al pari della religione, le donne desiderano sia avere pari opportunità sia restare nel rispetto della legge religiosa.
  8. Cosa può fare l’Occidente per migliorare i rapporti con l’Islam? Mitigare le opinioni nei confronti dei musulmani e rispettare l’Islam.
  9. Crede nel rapporto tra autorità religiosa e politica? La maggioranza vorrebbe che la religione ispirasse le scelte politiche pur desiderando tenere distinti i due poteri: civile e religioso.

Sdegno e disprezzo

Un secondo sondaggio questa volta di portata davvero mondiale è stato eseguito sempre dall’Istituto Gallup dal dicembre 2005 al dicembre 2006, in più di 130 paesi e aree, con risultati statisticamente rappresentativi del 95% della popolazione mondiale, allo scopo di comprendere le credenze, i valori, il senso e l’importanza della famiglia, della religione, le ragioni del terrorismo a matrice islamica, del fondamentalismo islamico, le difficoltà di integrazione tra Islam ed altre religioni. I risultati, numerosissimi e pubblicati a più riprese, consultabili nei siti web sono tali da sorprenderci. Riassumiamo le domande più significative: “cosa vuol dire famiglia per lei?” “cosa vuole dire per lei battaglia spirituale?” “cosa ammira di più del mondo islamico?” “quanto amore ritiene di avere nella sua vita?” “quale considerazione ha della famiglia” “quale considerazione ha della maternità” hanno mostrato, al di là delle singole risposte che non c’è alcuna differenza statisticamente significativa tra persone di fede islamica rispetto ai non islamici. In special modo mussulmani e cristiani hanno dato risposte simili.In particolare, possiamo dire che i cristiani si sentono sdegnati dai mussulmani, i mussulmani si sentono disprezzati dai cristiani. Il disprezzo è una emozione fondamentale che permea il rapporto tra le diverse religioni. Lo sdegno è una forma di disprezzo misto a disapprovazione e a risentimento. Il disprezzo genera in chi lo subisce imbarazzo o comunque profondo disagio. Lo sdegno genera altro disprezzo e crea distanza.Dal momento che chi disprezza o sdegna si sente bene, chi prova queste emozioni si sente bene, si sente migliore in senso morale dei disprezzati o degli sdegnati rispettivamente, non si rende nemmeno conto di metterli in atto. Non guarda a sé stesso criticamente guarda l’altro o gli altri dall’alto in basso.

 

Il disprezzo per le altre religioni come elemento di coesione per ogni religione

Il disprezzo è una emozione fondamentale.

Nello sviluppo normale di un individuo è di particolare rilevanza lo sviluppo emozionale, ossia entrare in contatto con le proprie emozioni, esserne consapevole, sperimentarle nel contesto corretto, e questo è al contempo tanto importante quanto avere un buon rapporto con il “care giver”, di solito la madre ed al poter contare su una “base sicura”, di solito la famiglia. La consapevolezza che l’individuo ha delle proprie ed altrui emozioni, è fondamentale sia per il buon funzionamento del sé che per le relazioni con gli altri. Ciascuno di noi vive le emozioni in modo molto personale, molti non sono neppure consapevoli di provare una emozione. Circa il disprezzo, la rabbia, o il disgusto spesso sono agiti in modo inconsapevole. Oppure c’è che vive nella paura e non se ne rende conto. Sta di fatto che, consapevoli o meno, tutti devono confrontarsi con vari tipi di emozione ogni giorno e le nostre reazioni istantanee ed involontarie a ciò che ci accade, dipendono sia da ciò che abbiamo interiorizzato nelle fasi precoci della nostra vita, sia da quanto abbiamo elaborato in un momento successivo.

Significato delle emozioni

Facciamo un passo indietro e chiariamo cosa si intende per emozioni secondo la definizione neurofisiologica: le emozioni sono stati mentali e fisiologici generalmente brevi ed istantanei, associati a modificazioni psicofisiologiche, per lo più si evocano in risposta a stimoli interni od esterni o a ricordo e rievocazione degli stimoli stessi. Questa è la definizione che di emozione troviamo nel Kandel il testo di neurofisiologia a cui facciamo riferimento. Comunemente identifichiamo quali emozioni primarie la gioia, la sorpresa, la tristezza, la rabbia, già presenti alla nascita; in un secondo tempo, ma sempre entro il terzo anno di vita, compaiono la paura, l’imbarazzo ed il disgusto (vedi per maggiori informazioni Oppure sempre dello stesso autore Le basi neurofisiologiche dello sviluppo emozionale, Aceranti A. et al. Ed eFBI, novembre 2015).

Paura, imbarazzo e disgusto meritano un discorso a parte.

Le reazioni della paura come abbiamo già detto sono innate: il riflesso di Moro che è la sua espressione più precoce, è presente alla nascita in tutti i neonati sani e si evoca scuotendo leggermente il piano su cui è adagiato il neonato, lo spavento, riflesso complesso per rumori violenti o luce intensa, si sviluppa nelle prime settimane di vita. Le reazioni che mettiamo in atto quando abbiamo paura sono “antiche”, fortemente “autonome”, fanno capo:

  1. al sistema “limbico” arcaico e comune a tutti gli animali,
  2. al sistema nervoso autonomo ortosimpatico
  3. al surrene, organo endocrino che produce cortisolo ed adrenalina indispensabile per la sopravvivenza. Come tutti noi possiamo sperimentare non possiamo controllare il ritmo e la frequenza del nostro battito cardiaco quando abbiamo paura, né il diametro delle nostre pupille. Le reazioni di questo tipo ci preparano alla fuga o alla lotta e sono necessarie alla nostra sopravvivenza. Invece il “senso di pericolo” e “l’oggetto della nostra paura” è acquisito (fatta eccezione per alcune paure che sono innate, come ad esempio la paura dei serpenti o di qualcosa che striscia ed ha forma allungata): un bambino piccolo non ha paura di nulla e proprio per questo motivo, va protetto.

Il disgusto è una emozione acquisita, compare dopo il 2 anno di vita come risposta alle sollecitazioni materne nell’educare al controllo degli sfinteri. L’imbarazzo è la risposta del bambino al disgusto che la mamma manifesta in caso di fallimento nei primi traguardi proposti. L’importanza del disgusto è intuitiva: protegge il bambino e poi la specie umana dalle malattie. Senza disgusto cresceremmo come gli animali, con apprezzamento per le proprie ed altrui deiezioni. Il disgusto si esprime per qualsiasi sostanza abbandoni il corpo: saliva, muco, urine, feci, vomito

L’emozione più tardiva nel fare la propria comparsa è il disprezzo. Questo pur acquisito, si è affermato in ogni cultura e si manifesta all’incirca dopo il quinto anno di vita, richiede un buon funzionamento di circuiti corticali superiori. Il disprezzo è importante per la “funzione aggregativa” che genera nei “disprezzati” intesi come gruppo. Ad esempio, il disprezzo esercitato dal capofamiglia per ribadire il proprio ruolo di maschio alfa, genera cameratismo tra i figli, il disprezzo dell’insegnante verso gli studenti, genera cameratismo nella classe. Forse proprio per questa funzione socializzante ed aggregativa che tale emozione, pur totalmente acquisita, si è affermata in tutte le culture. Vittima del disprezzo è spesso il figlio maschio, il padre per ribadire il proprio ruolo di maschio alfa potrà esercitare un atteggiamento sprezzante senza neppure accorgersene. Infatti, raramente chi esercita il disprezzo ne è consapevole, il disprezzare è un’emozione piacevole, veicola il messaggio: “io sono meglio in senso morale, io sono il tuo modello”. In chi subisce il disprezzo reiterato, in questo caso nel figlio, si favorisce lo sviluppo di un super-Io intransigente. Se il comportamento sprezzante è tollerato, condiviso, vissuto come normale e non smascherato dalla madre o da un altro testimone, il danno coinvolgerà anche la costruzione del sé. Oppure il figlio imiterà il padre ed interiorizzerà l’atteggiamento sprezzante riproponendolo a propria volta. Nei casi estremi di disprezzo pervasivo diventerà un organizzatore primario della psiche, ossia il sentimento prevalente e produrrà il disprezzo patologico. Il disprezzo patologico è alla base del disturbo di personalità di tipo antisociale che si definisce proprio come disprezzo patologico per le regole del vivere civile.

Dottoressa Simonetta Vernocchi

 

 


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