“Annullamento dei freni inibitori nel virtuale: gli haters e il linguaggio dell’odio”

 

 

CONVEGNO AVVOCATIPrima di affrontare il tema “dell’annullamento dei freni inibitori nel virtuale: gli haters e il linguaggio dell’odio”, credo sia necessaria breve analisi di contesto della società – mondo. E ciò per aiutarci a capire quanto il progresso tecnico- scientifico continui ad influenzare l’attività umana. È innegabile che noi tutti siamo cittadini di un mondo sempre più difficile da decodificare. Un mondo che, secondo il sociologo tedesco Ulrich Beck, è continua metamorfosi: “Perché ciò che prima veniva escluso a priori e per noi tutti inconcepibile, oggi accade. Sono eventi globali che passano generalmente inosservati e si affermano, al di là della sfera politica e della democrazia, come effetti secondari di una radicale modernizzazione tecnica ed economica del pianeta”.  Siamo dunque difronte agli effetti provocati dai paradigmi della società post industriale: digitale e globalizzata.

Ma stiamo anche subendo le conseguenze della postmodernità: di quella società liquida indagata da Zygmunt Bauman, secondo il quale sradica le radici socio-culturali dell’uomo. La perdita dei valori morali, come il rispetto dell’altro, la solidarietà, la tolleranza, il buon senso, il comportamento civile e l’osservanza di tutte le altre leggi morali che albergano nel nostro subconscio – Freud, il padre della psicoanalisi, le chiamò freni inibitori – frantuma la coesione sociale fino a spingerci nella giunga dove si combatte la quotidiana guerra di tutti contro tutti.  Secondo alcuni studiosi di scienze sociali, post moderno e post industriale, agiscono profondamente sulla natura e sui comportamenti dell’uomo provocando così una mutazione antropologica.  Nella scansione del tempo, dagli anni ottanta ad oggi, troviamo il declino del fordismo, l’affermazione del fenomeno della comunicazione globale, l’espansione dei mercati funzionali alla logica del consumismo, il miglioramento delle tecnologie di rete, la nascita dei social: nel 2004 Facebook, l’anno dopo Twitter, fino a YouTube con la condivisione dei video.CONVEGNO AVVOCATI 2

Le odierne tecnologie della comunicazione intervengono sulla realtà: la modificano, consentendo al virtuale di diventare reale. Questi due termini tendono a coincidere: le relazioni, è vero, sono a distanza, ma al tempo stesso in prossimità. Questo perché il computer, il tablet, l’IPhone sono delle macchine fisiche: le tocchiamo, le vediamo, le percepiamo con i sensi. Attraverso il virtuale ne constatiamo gli effetti e quando introduciamo un messaggio, una mail, una foto) otteniamo dei risultati. E allora possiamo dire che il virtuale è un comportamento effettivo e reale. che otteniamo utilizzando un computer o altri strumenti della comunicazione di cui non abbiamo una percezione diretta. Da notare inoltre che l’uso della rete ha destrutturato in parte il tradizionale sistema di comunicazione interpersonale a tutto vantaggio del virtuale. Sul piano pratico c’è da rimarcare l’enorme differenza tra   la comunicazione “vis a vis” e quella mediata dai social. Soprattutto perché nella seconda mancano gli elementi caratterizzanti della prima: i non verbali del parlato (l’intonazione della parola o della frase, la paralinguistica) e, soprattutto, gli elementi cinesici: mimica facciale, sguardo, movimenti del corpo o di parte di esso.

Con la mancata interdipendenza del repertorio comunicativo interpersonale si corre il serio rischio di interloquire con persone spesso celate da anonimi nick name, defilati dal contatto “faccia a faccia”.  In questo caso non si esclude che il processo comunicativo diventi tanto più degradato quando subentrano fattori culturali, devianze criminali, appartenenza a gruppi che fanno dalla violenza fisica e verbale il loro modo di essere, l’uso di alcol, droghe, disagio sociale, scarse capacità relazionali, cybernauti per curiosità. E tanti altri comportamenti riconducibili alle addictions da navigazione: sexting, sextorsion, cyberbullismo, stalking resi possibili   dall’erosione del nostro “self controll” che provocano l’annullamento dei freni inibitori. La mancata risposta alle sollecitazioni di queste leggi riguarda  anche cittadini apprezzati socialmente e professionalmente.  È stato dimostrato, però, come una stessa persona nella comunicazione mediata dai social affronti un argomento in modo rissoso, arrogante, prepotente, mentre nel “faccia a faccia” lo stesso tema lo tratta in maniera diametralmente opposta.

CONVEGNO AVVOCATI 3Il web ci chiude in un eterno presente in un indefinito qui e ora: “da una parte ci illude di essere onnipotenti, di avere in pochi secondi milioni di informazioni su fatti più disparati;  di conoscere e comunicare  con tutte le persone che vogliamo in ogni parte del mondo, di fatto però ci trattiene in una gabbia invisibile priva di spazio e tempo impoveriti nella nostra capacità di percepire e pensare, nella capacità espressiva del nostro linguaggio in cui l’esperienza degli altri e del mondo circostante smette di farsi compartecipazione per trasformarsi in mera fruizione (Paolo Ercolani “Ultimo Dio”). Il web non va criminalizzato, ma usato nel rispetto delle libertà dei singoli e dei gruppi.La rete è un mezzo che ha ampliato le nostre libertà, soprattutto quella di opinione. Ma gli haters non sono certo gli speaker corner dell’Hyde Park di Londra dove la domenica chiunque, senza essere annunciato, decide di affrontare pubblicamente qualsiasi argomento: a volte provocando la reazione dei pochi spettatori presenti, portatori di idee diverse dall’oratore. Il quale a difesa di quella liberà ci mette la faccia, mentre i predicatori di odio del web, quasi sempre, operano nell’anonimato. I social rappresentano lo specchio d’acqua del narcisismo di milioni di persone che all’apparire rinunciano a malincuore.

Ecco perché sempre più cittadini sono chiamati a fare i conti con dei veri e propri incubatori di odio.  Il cui linguaggio, in prevalenza aggressivo, diventa strumento in uso a personaggi pubblici: politici, rappresentanti del mondo dello sport, dello spettacolo, opinion leader, influencer, giornalisti tanto per citare alcune categorie di riferimento per milioni di cybernauti.Nell’ultimo mese ci siamo resi conto di quanto l’odio razziale sia diffuso in Italia e quanta forza devastante i social conferiscono a questo inumano sentimento. Oltre duecento sono gli insulti giornalieri veicolati contro Liliana Segre, l’ottantanovenne senatrice a vita sopravvissuta ad Auschwitz e testimone dell’Olocausto; anche la sorellina di Greta Thumberg, Bea, 13 anni, è vittima degli hater; ed ancora. i calciatori di colore costretti, dentro gli stadi e sui social,  a subire cori e post razzisti.Abbiamo molti esempi di cybernauti che vengono contagiati dall’odio veicolato dai social. Nel mese di maggio di quest’anno per alcuni post offensivi nei confronti del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la Procura di Palermo ha emesso 9 avvisi di garanzia. Uno di questi provvedimenti ha raggiunto una pensionata di Bologna. Alla domanda del Pubblico Ministero che indaga sull’episodio, “perché l’ha fatto?”, la sessantottenne emiliana, ammettendo di aver sbagliato e dichiarandosi pentita, ha risposto: “Era un periodo molto caldo, in cui gli animi erano surriscaldati da alcuni parlamentari di cui ero simpatizzante e mi sono fatta stupidamente contagiare da questi fatti”.

CONVEGNO AVVOCATI 5L ’uomo della globalizzazione- come la signora Eleonora – vive l’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro che alimentano la più spaventosa e meno sopportabile delle nostre paure, che Bauman chiama “il demone più sinistro di quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo”. E sottolinea la condizione degli uomini della post modernità: “Incerti, fragili, insicLuri, ci sembra di non controllare più nulla, da soli, in tanti o collettivamente. A rendere la situazione peggiore, concorre l’assenza di quegli strumenti che consentirebbero alla politica di ricongiungersi al potere, permettendoci di riacquistare il controllo sulle forze che determinano la nostra condizione comune, fissando la gamma delle nostre possibilità e i limiti della nostra libertà di scelta” (Il demone della paura”, ed. 2014).

Forse non ci rendiamo conto che lo strumento più efficace per comprimere la libertà dei cittadini sia quello di alimentare le nostre paure fomentando l’odio come antidoto. Odio fallace veicolato dai nuovi linguaggi, dalle fake news, da una distorta rappresentazione della realtà contestuale che agevola il controllo sociale e spiana la strada alla presa del potere. Ai  populismi, al sovranismo: al ritorno a quel passato le cui profonde ferite, nonostante i 70 anni, di pace non si sono ancora rimrginate. Rivolgiamo, per un attimo, il pensiero al romanzo fantascientifico “1984” di Orwell: al Grande fratello e ai suoi due “minuti di odio” per fotografare l’attuale momento storico.   La rete  ha un fascino particolare:  ad essa  guardiamo come “l’ultimo   Dio”:  Una sorta di entità  – scrive il filosofo Paolo Ercolani –  “a cui noi ci votiamo  per superare i limiti della nostra esistenza per trovare una realtà – appunto la rete – che ci renda onnipotenti, capaci di conoscere tutto, superare le barriere, gli spazi temporali, incontrare chiunque, parlare con chiunque in  tempo reale o virtuale e sapere ogni cosa  attraverso un solo clic. Una sorta di religione molto contemporanea a cui sembra che la nostra società occidentale sia votata”.

Fascino e potenzialità dei social media che – per Edgar Morin – “non rappresentano una questione tecnologica e nemmeno l’ultima moda della società occidentale centrata sulla tecno -economia; semmai lo specchio della complessità dell’uomo”.Negli ultimi tempi, come già evidenziato, l’infinito universo web è alle prese con il fenomeno degli hater; dei troll (utente di una comunità virtuale, solitamente anonima, che veicola messaggi provocatori e irritanti ( spesso decontestualizzati dal tema trattato)  che intralciano il normale svolgimento di una discussione); degli shistorm ( appartenenti ad un’autoproclamata  “religione”: ragazzi che, quasi divertendosi,   fanno di tutto per appropriarsi di gruppi social per postare immagini,  video, post frasi e volgari) e cyberbulli..    Il fenomeno hate speech si autoalimenta ed è difficilmente governabile. Sei sono le categorie contro cui si dirigono le shitstorm: le donne (63% dei tweet negativi); gli omosessuali (10,8%), i migranti (10%), i diversamente abili (6,4 %), e gli ebrei (2,2%) La morte, il sesso, la violenza fisica fanno parte della semantica preferita per veicolare l’odio

CONVEGNO AVVOCATI 4  “Nessuno nasce odiando qualcun altro per il colore della pelle, il suo ambiente sociale, la sua religione: le persone odiano perché hanno imparato ad odiare e se possono imparare ad odiare possono imparare ad amare”, diceva Nelson Mandela.Allora – e mi avvio alla conclusione – siamo di fronte ad un grave handicap culturale che merita di essere colmato dopo che gli effetti di questa grande rivoluzione ci hanno colto di sorpresa.Considerato che l’hate speech è diventato normale nella quotidianità dei nostri ragazzi che non si rendono conto – forse perché noi delle generazioni precedenti non li aiutiamo a comprendere le potenzialità e   i rischi del web – che nel loro linguaggio c’è la percezione dell’odio di una società sempre più litigiosa e sempre più disgregata. La influenza negativa colpisce tutti  componenti dell’attuale famiglia tecnologica. Al cui interno finanche i componenti della generazione dei baby boomers al dialogo con i loro nipoti proferiscono l’uso di chat e post che dissacrano finanche i momenti della convivialità giornaliera.  Si avverte oggi la necessità di un nuovo patto tra scuola e famiglia. Con al centro un progetto curriculare contro la cultura dell’odio e l’uso improprio dei social network. In discontinuità con il passato, perché come diceva l’indimenticato presidente Sandro Pertini “I giovani non hanno bisogno di sermoni, ma di esempi”.  Iniziando   dalla rinuncia all’autoreferenzialità e alla cultura dell’apparire che vanifica la sostanza di piccoli e grandi progetti pedagogici.

 

Latella testone Antonio Latella

giornalista e sociologo

 

 

Dalla relazione al convegno “Avvocati e social network: libertà di manifestazione del pensiero e deontologia” ,del Movimento Forense di Reggio Calabria (29 novembre 2019 aula “Giuditta Levato” Consiglio Regionale della Calabria-

 


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